Le Direzioni provinciali dell’Agenzia delle Entrate stanno mettendo a punto una prassi operativa sempre più sistematica che trasforma gli ISA e accertamento induttivo in un binomio inscindibile. Quello che emerge dalla casistica applicativa mostra come un punteggio inferiore a 8 e margini di redditività contenuti possano diventare il trampolino per verifiche sostanzialmente extracontabili.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Gli ISA con punteggio inferiore a 8 spesso attivano controlli induttivi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
- Margini di redditività bassi, senza criteri di raffronto trasparenti, vengono usati come “presunzioni qualificate”.
- La metodologia ispettiva applica ricarichi medi di settore per rideterminare i ricavi e fondare l’accertamento.
- Le criticità: forte grado di discrezionalità, scarsa trasparenza dei dati e rischio di quantificazioni arbitrarie.
- Il “contraddittorio preventivo” può trasformarsi in uno strumento a sfavore del contribuente, costringendolo spesso a mediazioni o contenziosi.
- L’approccio attuale si scontra con i principi di trasparenza e di non arbitrarietà promossi dalla riforma fiscale.
Metodologia ispettiva consolidata
Gli schemi pre-accertativi seguono ormai uno schema ricorrente. Si parte sempre dal punteggio scarso, diciamo sotto l’8. Poi si analizza quella che viene definita “bassa redditività” rispetto ai competitor con votazione migliore. Ma qui già si manifesta il primo aspetto problematico: i dati del campione di raffronto non vengono mai messi a disposizione del contribuente.
La gestione viene bollata come antieconomica. Su questo punto l’amministrazione si appoggia a un orientamento giurisprudenziale opinabile – parliamo delle sentenze della Cassazione n. 6918/2013, n. 31814/2019 e n. 1282/2021. L’idea di fondo è che l’antieconomicità connessa ai margini risicati possa determinare l’inversione dell’onere della prova.
Presunzioni qualificate o semplice elemento segnaletico?
Il nodo centrale sta proprio qui. L’Agenzia sostiene che punteggio ISA basso combinato con redditività ridotta costituisca presunzione grave, precisa e concordante secondo gli articoli 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972.
Ma la questione è più delicata. Gli ISA nascono per “verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale” esprimendo “su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale” (art. 9-bis, comma 1, D.L. n. 50/2017). Sono strumenti di selezione, non di accertamento.
La differenza con i vecchi studi di settore è sostanziale. Quelli erano inizialmente concepiti come predeterminazioni normative utilizzabili quali presunzioni per l’accertamento. L’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 consentiva infatti di fondare i rilievi “sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche dell’attività svolta, ovvero dagli studi di settore”.
Ricostruzione dei ricavi: i metodi applicati
Una volta stabilito il presunto fondamento presuntivo, si passa alla quantificazione. Al costo del venduto viene applicata la percentuale di ricarico degli operatori con punteggio ISA superiore a 8 (talvolta 8,5). I ricavi così ricalcolati vengono confrontati con quelli dichiarati.
In alternativa, si calcola la percentuale considerando quella applicata dall’impresa in determinati periodi o su specifici prodotti ritenuti rappresentativi. Come se si potesse mettere in discussione il margine complessivo sulla base dell’arbitraria scelta del margine su alcuni prodotti.
Per le attività artigianali, la determinazione diventa ancora più articolata: ricavi dalla vendita del materiale (con ricarico medio di settore) sommati alla valorizzazione delle ore di lavoro del titolare, soci e dipendenti sulla base di un presunto prezzo di mercato.
Criticità metodologiche evidenti
Questa impostazione presenta fragilità strutturali evidenti. Anzitutto, l’inconsistenza dei presupposti: definire presunzioni gravi, precise e concordanti l’accoppiata punteggio basso/redditività contenuta appare discutibile.
La metodologia risulta poi grossolana per l’accavallarsi delle presunzioni utilizzate e la scarsa trasparenza dei dati di raffronto. I risultati accertativi diventano facilmente manipolabili: basta scegliere il campione con punteggio superiore a 8 piuttosto che quello con voto sopra 8,5.
Ma soprattutto, chi ha margini contenuti normalmente ottiene anche una “pagella” sotto l’8. Si tratta quindi di un unicum concettuale che non può assurgere al rango di presunzione qualificata.
Contraddittorio preventivo: strumento o insidia?
Il sistema del pre-accertamento ex art. 6-bis dello Statuto del Contribuente dovrebbe garantire confronto e trasparenza. Nella pratica rischia di trasformarsi in uno strumento per mettere il contribuente davanti alla scelta tra accettare una riduzione dell’originaria proposta (spesso illegittima) o affrontare i costi di una causa.
Questo meccanismo genera inevitabilmente una dilatazione della pretesa di partenza. I funzionari, nell’idea che tutto si possa “sistemare” successivamente, tendono a non “dimenticare per strada” alcun rilievo.
Il contraddittorio preventivo diventa così un momento della fase istruttoria, con possibilità per l’ufficio di modificare metodi e contenuti dell’accertamento. I contribuenti più avvertiti finiscono per posticipare una difesa accurata alla fase processuale.
Interrogativi sulla funzione degli ISA
Sorge una riflessione che va oltre i tecnicismi: l’utilizzo degli ISA quale fonte di innesco di accertamenti sostanzialmente induttivi (ma formalmente analitico-induttivi) non dipenderà anche dalla centralità che hanno assunto nei meccanismi del concordato preventivo biennale?
Oppure – ed è forse il dubbio più insidioso – non sarà che l’affermazione di un modello procedimentale imperniato sullo schema d’atto induce fatalmente gli uffici a considerare quest’ultimo come momento iniziale di un procedimento concordato di determinazione degli imponibili?
Conflitto con la riforma fiscale
Se questi dubbi fossero fondati, dovremmo prendere atto che tale “stato delle cose” confligge con lo spirito della riforma fiscale. Una riforma certamente pensata (anche per effetto del varo dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/1992 sulla ripartizione dell’onere della prova) per lasciarsi definitivamente alle spalle strumenti accertativi imprecisi e grossolani.
La questione tocca anche la natura delle presunzioni utilizzate. Se i ridotti punteggi ISA fossero davvero presunzioni qualificate, dovrebbero considerarsi tali anche gli scostamenti che il sistema restituisce rispetto al punteggio massimo ottenibile adeguando i ricavi secondo l’art. 9-bis, comma 9, del D.L. n. 50 del 2017. Ma questi scostamenti sono sempre inferiori rispetto ai maggiori proventi “proposti” dagli uffici.
Quantificazione su presunzioni semplicissime
Anche prescindendo dalla natura delle presunzioni utilizzate, rimane il problema della quantificazione. L’accertamento si basa sul mero raffronto con percentuali di redditività medie calcolate considerando solo soggetti con punteggi ISA alti.
In questo modo la determinazione dell’imponibile evaso si fonderebbe su presunzioni semplicissime, ammesse nell’ordinamento solo nelle ipotesi di accertamento induttivo extracontabile ex artt. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 e 55 del D.P.R. n. 633/1972.
La “manovrabilità” dei risultati e l’opacità dei dati di raffronto non possono essere giustificate dalla possibilità di revisione tramite accertamento con adesione o controdeduzioni. Il contraddittorio pre-accertativo non dovrebbe trasformarsi in strumento per costringere il contribuente a scegliere tra accettazione di una riduzione o affrontare i costi processuali.