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Deducibilità spese di rappresentanza professionisti: serve prova concreta

24 Novembre, 2025

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La recente pronuncia della Suprema Corte torna a porre l’accento sul requisito dell’inerenza nelle spese promozionali. Un commercialista si era visto contestare la deduzione di acquisti di pregio. I giudici hanno stabilito che classificare un bene come spesa di rappresentanza non basta se poi non si dimostra l’uso effettivo.

🕒 Cosa sapere in un minuto

Principio giurisprudenziale

  • Cassazione ord. n. 26553/2025: insufficienza della qualificazione astratta del componente negativo quale spesa di rappresentanza
  • Necessaria prova rigorosa della destinazione effettiva a finalità promozionali dell’attività professionale
  • Onere probatorio integralmente a carico del contribuente ex art. 2697 c.c.

Fattispecie decidendi

  • Commercialista torinese, anno imposta 2013: acquisti opere d’arte, gioielli, oggetti di pregio
  • Carenza documentazione su eventi promozionali, destinatari omaggi, modalità effettivo utilizzo
  • Conferma indeducibilità per difetto di prova dell’inerenza

Adempimenti probatori richiesti

  • Documentazione analitica degli eventi e delle iniziative promozionali
  • Elenchi nominativi dei destinatari con indicazione del rapporto professionale
  • Conservazione di inviti, programmi, corrispondenze, attestazioni fotografiche
  • Verifica proporzionalità economica tra valore beni e dimensione reddituale attività
  • Utilizzo esclusivo di strumenti di pagamento tracciabili dal 2025

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Quando la classificazione astratta non basta più

I professionisti si trovano spesso a dover gestire la sottile linea che separa le spese legittime da quelle personali. Con l’ordinanza 26553 depositata il 2 ottobre 2025, i giudici di Piazza Cavour hanno ribadito un concetto che nella prassi viene ancora troppo spesso trascurato.

Non è sufficiente dimostrare che un determinato acquisto potrebbe, in teoria, rientrare tra le spese di rappresentanza professionisti. Serve qualcosa di più, molto di più. Secondo la Corte infatti occorre provare in modo documentale e concreto che quel bene è stato effettivamente utilizzato per promuovere l’attività professionale.

La vicenda riguardava un consulente fiscale torinese che aveva contabilizzato tra le spese deducibili l’acquisto di gioielli, opere d’arte e altri oggetti di valore. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione rilevando l’assenza di prove sulla destinazione d’uso. Il professionista aveva impugnato l’atto sostenendo che si trattava di beni tipicamente utilizzabili per omaggi ai clienti o iniziative promozionali.

Il principio di inerenza al centro della decisione

La questione finita all’attenzione della Cassazione mette in luce un aspetto fondamentale del sistema tributario italiano. Il principio di inerenza non è un optional né una formalità burocratica. È il cuore pulsante della deducibilità fiscale.

Secondo quanto previsto dall’articolo 54-septies del TUIR, i professionisti possono dedurre le spese di rappresentanza entro il limite dell’1% dei compensi annui percepiti. Ma questo tetto quantitativo rappresenta solo il primo filtro. Il vaglio successivo, quello qualitativo, passa attraverso la dimostrazione dell’effettivo utilizzo promozionale.

I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che quando si acquistano beni che per loro natura intrinseca potrebbero prestarsi sia a utilizzi professionali sia personali, l’onere probatorio diventa ancora più stringente. Opere d’arte, gioielli, oggetti di lusso: sono tutti beni che astrattamente possono servire per consolidare rapporti con clienti importanti. Ma nella pratica concreta occorre dimostrarlo.

Nel caso esaminato, il contribuente non era riuscito a fornire alcuna evidenza documentale sull’impiego promozionale dei beni acquistati. Nessuna lista di destinatari, nessun riscontro di eventi aziendali, nessuna corrispondenza che attestasse la distribuzione degli omaggi. Per i giudici questo silenzio documentale ha fatto pendere la bilancia verso la natura personale degli acquisti.

La tracciabilità entra in scena dal 2025

A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge una novità normativa rilevante. Con l’articolo 1, comma 1, lettera e) del decreto legge 84 del 2025, il legislatore ha introdotto un requisito aggiuntivo per la deducibilità delle spese di rappresentanza professionisti.

Dal periodo d’imposta 2025 diventa obbligatorio effettuare il pagamento con strumenti tracciabili. Niente più contanti dunque per questo tipo di spese, pena l’integrale indeducibilità. La norma si inserisce in quel filone di disposizioni volte a contrastare l’evasione fiscale attraverso la tracciabilità dei flussi finanziari.

Questa previsione si applica non solo alle spese di rappresentanza in senso stretto ma anche a quelle per vitto, alloggio, viaggi e trasporti. L’obiettivo del legislatore è duplice: da un lato favorire la trasparenza fiscale, dall’altro rendere più agevoli i controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Cosa emerge dal caso concreto deciso

La fattispecie giunta all’esame della Cassazione presentava caratteristiche emblematiche. Il commercialista torinese aveva inserito nella propria contabilità l’acquisto di un vaso Gallé d’epoca, opere pittoriche e alcuni gioielli. Il valore complessivo degli acquisti contestati non era irrilevante.

Davanti alla Commissione Tributaria Provinciale prima e alla Commissione Regionale poi, il professionista aveva sostenuto che si trattava di beni destinati a omaggi per clienti particolarmente importanti, oppure utilizzati come premi in occasione di eventi formativi organizzati dallo studio. Gli uffici dell’Agenzia però avevano replicato evidenziando che non esisteva alcuna documentazione a supporto di queste affermazioni.

I giudici di merito avevano dato ragione al Fisco. E la Suprema Corte ha confermato questa impostazione. Secondo i giudici di legittimità infatti, quando si parla di beni di particolare pregio economico che per loro natura possono essere utilizzati tanto in ambito professionale quanto personale, la prova dell’inerenza deve essere ancora più rigorosa e dettagliata.

Come dimostrare l’utilizzo promozionale

Dalla lettura dell’ordinanza emergono indicazioni operative preziose per chi opera nel settore. La Cassazione suggerisce infatti quali elementi possono considerarsi idonei a dimostrare l’effettiva destinazione promozionale delle spese.

Innanzitutto occorre conservare documentazione relativa agli eventi o alle occasioni in cui i beni sono stati utilizzati. Programmi di convegni, inviti a clienti, elenchi di partecipanti: tutto può risultare utile. In secondo luogo può essere opportuno predisporre prospetti nominativi dei destinatari degli omaggi, magari con l’indicazione del rapporto professionale esistente.

Anche la corrispondenza commerciale acquisisce rilevanza. Email di ringraziamento da parte dei clienti che hanno ricevuto omaggi, oppure comunicazioni interne dello studio che attestino la decisione di effettuare determinati acquisti per finalità promozionali. La prassi suggerisce inoltre di fotografare gli eventi aziendali dove i beni vengono distribuiti o esposti.

Per i beni di maggior pregio può essere utile redigere una sorta di registro interno dello studio professionale dove annotare data di acquisto, destinazione prevista, e successivamente utilizzo effettivo con indicazione del destinatario finale.

Differenze con le spese pubblicitarie

Un aspetto che merita attenzione riguarda la distinzione tra spese di rappresentanza e spese pubblicitarie. Nella prassi professionale capita spesso di confondere le due categorie, ma dal punto di vista fiscale la differenza è rilevante.

Le spese pubblicitarie hanno come obiettivo la promozione specifica di prodotti o servizi offerti dal professionista. Sono contrattualmente corrispettive e, aspetto fondamentale, sono integralmente deducibili senza vincoli percentuali. Le spese di rappresentanza invece mirano ad accrescere il prestigio generale dell’attività professionale, sono gratuite per il destinatario e sottostanno al limite dell’1% dei compensi annui.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 34 del 2009, le spese di rappresentanza devono essere gratuite, avere finalità promozionali e risultare ragionevoli rispetto al settore di attività. Devono inoltre generare benefici economici, anche solo potenziali, per lo studio professionale.

Implicazioni operative per chi esercita libere professioni

L’ordinanza della Cassazione offre spunti di riflessione importanti per la corretta gestione fiscale degli studi professionali. Il primo suggerimento operativo riguarda la necessità di evitare acquisti promiscui, vale a dire beni che per loro natura potrebbero facilmente essere utilizzati sia per finalità professionali sia personali.

Se proprio si decide di acquistare beni di particolare pregio da destinare a omaggi clienti, diventa essenziale predisporre fin da subito un sistema documentale adeguato. Non basta conservare la fattura d’acquisto. Serve costruire un fascicolo completo che dimostri il percorso del bene dall’acquisto fino alla consegna al destinatario finale.

Il secondo aspetto riguarda la proporzionalità. Un professionista con compensi annui contenuti difficilmente potrà giustificare l’acquisto di omaggi particolarmente costosi. La Suprema Corte infatti valuta anche la coerenza economica tra valore del bene e dimensione dell’attività professionale.

Terzo elemento: la periodicità. Se un professionista acquista sistematicamente beni di un certo tipo senza che risulti una successiva distribuzione ad esterni, sorge il legittimo sospetto di un utilizzo personale. Nella prassi si consiglia quindi di evitare acquisti seriali di beni della stessa categoria senza una chiara strategia promozionale documentata.

Il vaso Gallé e gli altri beni contestati

Un dettaglio curioso della vicenda riguarda proprio il vaso Gallé rosso d’epoca 1900 che era stato acquistato dal commercialista torinese. I giudici di merito avevano riconosciuto che in astratto un’opera d’arte di questo tipo potrebbe rientrare tra i beni utilizzabili per rappresentanza. Un oggetto del genere infatti potrebbe essere esposto nello studio per impressionare i clienti, oppure donato a un cliente particolarmente importante.

Il problema però stava nella completa assenza di riscontri sull’effettivo utilizzo. Il vaso era ancora di proprietà del professionista? Era stato donato a qualcuno? Era stato esposto nello studio? A tutte queste domande mancava una risposta documentata. E in assenza di prova, i giudici hanno ritenuto che il bene fosse stato acquistato per finalità personali, magari per arredare l’abitazione privata del contribuente.

Prospettive e sviluppi futuri della normativa

La pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Già in passato la Cassazione aveva affermato che l’onere probatorio dell’inerenza grava interamente sul contribuente. Con questa nuova ordinanza però il principio viene ribadito con particolare enfasi proprio in relazione alle spese di rappresentanza professionisti.

Ci si attende che questa decisione produca effetti significativi sulla prassi operativa degli studi professionali. Da un lato potrebbe spingere molti professionisti a rinunciare alla deduzione di beni particolarmente ambigui. Dall’altro potrebbe favorire lo sviluppo di prassi documentali più rigorose, con la creazione di veri e propri protocolli interni per la gestione degli acquisti promozionali.

L’introduzione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti dal 2025 rafforza ulteriormente questo trend verso una maggiore trasparenza e documentabilità delle spese. Nella pratica, la combinazione tra onere probatorio rigoroso e obbligo di pagamenti tracciabili renderà sempre più difficile dedurre spese che non abbiano una chiara e dimostrabile finalità professionale.

Suggerimenti per una gestione corretta

Sulla base dell’analisi giurisprudenziale emerge un decalogo operativo che i professionisti farebbero bene a seguire. Primo: predisporre una delibera interna dello studio che individui le tipologie di beni acquistabili come omaggi e i criteri di distribuzione.

Secondo: mantenere un registro cronologico degli acquisti promozionali con indicazione di data, fornitore, importo, destinatario previsto. Terzo: conservare tutta la documentazione relativa agli eventi in cui i beni vengono distribuiti o utilizzati.

Quarto: privilegiare beni che per loro natura sono chiaramente destinabili solo a finalità promozionali, come gadget personalizzati con logo dello studio. Quinto: verificare che l’importo complessivo delle spese di rappresentanza professionisti non superi il limite dell’1% dei compensi percepiti.

Sesto: utilizzare esclusivamente mezzi di pagamento tracciabili. Settimo: evitare beni eccessivamente costosi che risulterebbero sproporzionati rispetto all’attività svolta. Ottavo: fotografare gli eventi aziendali dove avviene la distribuzione degli omaggi.

Nono: richiedere quando possibile una ricevuta di consegna al destinatario dell’omaggio. Decimo: predisporre una relazione annuale sulle iniziative promozionali realizzate dallo studio, da allegare alla documentazione fiscale.

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