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Spese promozionali: quando diventano rappresentanza per il fisco

30 Settembre, 2025

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La Suprema Corte ha tracciato una linea netta nella classificazione fiscale delle erogazioni promozionali aziendali. Con la pronuncia del 13 settembre 2025, numero 25143, i giudici di legittimità hanno respinto l’appello di un’impresa che rivendicava la natura pubblicitaria – e quindi la piena deducibilità – di diverse iniziative commerciali.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • La Cassazione, con sent. n. 25143/2025, ha ribadito che non è sufficiente il semplice intento promozionale per qualificare una spesa come pubblicitaria e deducibile integralmente.
  • Spese gratuite, senza vincoli per il destinatario e prive di correlazione diretta e misurabile ai ricavi sono generalmente spese di rappresentanza soggette ai limiti dell’art. 108, comma 2 Tuir.
  • Per la deducibilità piena delle spese promozionali serve un ritorno economico concreto e dimostrabile; non basta generare solo immagine o “posizionamento”.
  • L’impresa ha l’onere probatorio su inerenza, coerenza e proporzionalità rispetto all’attività.
  • Attenzione a eventi, regalie e sponsorizzazioni gratuite: possono essere riqualificati in caso di controlli.

Il caso che ha fatto scuola

L’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato alcune spese sostenute dall’azienda. Eventi promozionali, omaggi ai clienti, sponsorizzazioni mirate al consolidamento della presenza sul mercato… tutte voci che il contribuente considerava pubblicitarie. Il risultato? Una parziale indeducibilità per sforamento del tetto previsto dall’articolo 108, comma secondo del Tuir.

La società aveva opposto resistenza, sostenendo che quelle spese fossero direttamente correlate all’attività d’impresa. Un rapporto sinallagmatico tra investimento e ritorno economico, secondo la tesi difensiva.

Criteri distintivi: oltre l’intenzione

I giudici hanno ribadito che la distinzione tra spese promozionali e di rappresentanza non può fondarsi solo sull’elemento soggettivo dell’intento promozionale. Occorre verificare le modalità concrete di realizzazione e la natura effettiva del vantaggio perseguito.

Nel caso specifico, tre elementi hanno fatto propendere per la qualificazione rappresentativa: la gratuità delle prestazioni offerte, l’assenza di obbligazioni contrattuali a carico dei beneficiari e la mancanza di un nesso diretto tra spesa e incremento dei ricavi.

La Cassazione ha così confermato principi già consolidati nella giurisprudenza precedente (sentenze 21184/2019 e 13588/2018). Una spesa pubblicitaria richiede un ritorno economico direttamente riconducibile all’attività svolta – non meramente potenziale o riflesso.

Quando il vantaggio resta solo d’immagine

La correlazione economico-funzionale tra costo e attività produttiva di reddito si indebolisce quando il beneficio rimane confinato all’immagine o al posizionamento di mercato. Senza effetti certi e misurabili sulla produzione di ricavi.

Per questo motivo, eventi conviviali, regalie, sponsorizzazioni senza obbligo di controprestazione e altre forme di liberalità vengono classificate come spese di rappresentanza, anche quando perseguono finalità promozionali dichiarate.

L’approccio sostanzialistico della giurisprudenza

Negli ultimi anni la giurisprudenza di legittimità ha adottato un metodo sostanzialistico nella distinzione tra le due tipologie di spesa. Prevale la verifica dell’effettiva funzione economica rispetto alla mera etichetta contrattuale o contabile.

L’interesse dell’impresa alla promozione del marchio o alla fidelizzazione della clientela, pur legittimo e fisiologico, non giustifica l’integrale deducibilità se manca una controprestazione del beneficiario. O se il ritorno economico resta eventuale.

Implicazioni operative per le imprese

Questa pronuncia richiama le aziende a maggiore attenzione nella pianificazione delle spese promozionali. Soprattutto quando si tratta di eventi, regalie o iniziative gratuite. Il rischio? Rilievi fiscali e successive contestazioni sull’inerenza o riqualificazioni come spesa di rappresentanza.

La Corte ha ribadito implicitamente la centralità dell’articolo 108, comma 2 del Tuir e del decreto ministeriale Economia del 19 novembre 2008. Senza dimenticare la prassi amministrativa (circolare 34/E/2009) che fornisce i criteri interpretativi per distinguere le due categorie di spesa.

Onere probatorio e documentazione

Rimane confermata la sussistenza dell’onere probatorio in capo al contribuente. Non basta dimostrare l’effettivo sostenimento della spesa. Occorre provare anche l’inerenza, la coerenza e la proporzionalità rispetto all’attività dell’impresa.

La sentenza si inserisce in un orientamento consolidato che privilegia la sostanza sulla forma. Una tendenza che le imprese devono tenere presente nella strutturazione delle proprie strategie promozionali e nella relativa documentazione fiscale.

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