Arriva dal Ministero dell’Economia la conferma che gli operatori del non profit attendevano da mesi. Il passaggio al nuovo sistema impositivo per gli enti associativi e le organizzazioni sportive dilettantistiche subirà un differimento di lungo periodo, probabilmente nell’ordine di dieci anni. A fornire le indicazioni è stato Andrea Giannone, funzionario dirigente del MEF, nel corso della settima edizione di Cantieri Viceversa, l’appuntamento annuale promosso dal Forum terzo settore insieme al Forum finanza sostenibile. La questione riguarda migliaia di realtà associative che operano sul territorio nazionale. Parliamo di associazioni culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale, sindacati e organizzazioni di categoria. Tutte strutture che, stando alle disposizioni vigenti, dal 1° gennaio 2026 dovrebbero transitare dal regime di esclusione IVA a quello di esenzione, con conseguenze operative di non poco conto.
🕒 Cosa sapere in un minuto
La notizia principale
- Il MEF ha confermato l’arrivo di una proroga decennale per il nuovo regime IVA del terzo settore
- Il rinvio porterebbe la data di entrata in vigore dal 2026 al 2036
- Sarebbe la quinta proroga consecutiva dall’introduzione della norma nel 2021
Chi è coinvolto
- Associazioni sportive dilettantistiche
- Associazioni culturali, di promozione sociale
- Organizzazioni di volontariato
- Sindacati, partiti politici e organizzazioni di categoria
- Tutti gli enti che erogano prestazioni a soci dietro corrispettivi specifici
Cosa cambierebbe senza la proroga
- Passaggio dal regime di esclusione IVA a quello di esenzione
- Obbligo di apertura della partita IVA per migliaia di enti associativi
- Nuovi adempimenti: fatturazione, registrazioni contabili, dichiarazioni annuali
- Forte incremento del carico amministrativo per le piccole organizzazioni
Il veicolo normativo
- Decreto legislativo approvato in via preliminare dal CdM il 22 luglio 2024
- Identificato come “Atto del Governo 295” presso le commissioni parlamentari
- Contiene disposizioni su terzo settore, crisi d’impresa, sport e IVA
- Già ricevuto parere favorevole con osservazioni dalla VI Commissione Finanze
Le origini della questione
- Procedura di infrazione UE avviata nel 2008 contro l’Italia
- Bruxelles contestava incompatibilità del regime italiano con la direttiva 2006/112/CE
- Prima norma introdotta col D.L. 146/2021, convertito in legge 215/2021
- Quattro rinvii successivi dal 2022 al 2026
Altri provvedimenti in arrivo
- Decreto attuativo sul RUNTS in fase di finalizzazione
- Previste modifiche al sistema delle deleghe gestionali
- Possibilità di affidare a terzi le procedure amministrative del Registro
- Semplificazioni per le organizzazioni più piccole
Le richieste delle commissioni parlamentari
- Introduzione di soglie di franchigia per esentare gli enti minori dall’apertura partita IVA
- Estensione del regime forfetario dei contribuenti minori anche agli enti associativi
- Fissazione di una soglia di ricavi a 85.000 euro per accedere alle semplificazioni
- Riduzione dell’impatto IRAP sugli enti non lucrativi
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Le conferme del Ministero sul rinvio della riforma
Durante i lavori conclusivi dell’iniziativa Cantieri Viceversa, Giannone ha spiegato che gli uffici ministeriali stanno lavorando per recepire le sollecitazioni giunte tanto dalle associazioni quanto dalle commissioni parlamentari. «La misura dovrebbe trovare collocazione nel decreto legislativo approvato lo scorso luglio in via preliminare dal Consiglio dei ministri, oppure nel primo provvedimento normativo disponibile», ha precisato il dirigente del MEF.
Secondo quanto trapela da fonti vicine al dicastero di via XX Settembre – e riportato da ItaliaOggi – il rinvio avrebbe una durata di dieci anni. Si tratterebbe della quinta proroga consecutiva dall’introduzione della norma, avvenuta col D.L. 146/2021. Una dilazione temporale così estesa rappresenterebbe una svolta rispetto ai precedenti rinvii, sempre limitati a dodici mesi o poco più.
Il veicolo normativo identificato per implementare questa modifica sarebbe il decreto legislativo trasmesso alle commissioni parlamentari con la sigla “Atto del Governo 295”, che reca disposizioni in materia di terzo settore, crisi d’impresa, sport e imposta sul valore aggiunto. Il provvedimento ha già ricevuto il parere favorevole della VI Commissione Finanze della Camera, seppur con alcune osservazioni mirate a salvaguardare i regimi agevolativi attualmente fruibili dagli enti non commerciali.
Cosa cambierebbe col nuovo sistema di esenzione
Attualmente le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese dagli enti associativi ai propri iscritti dietro pagamento di corrispettivi specifici sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA. Questa esclusione, prevista dall’articolo 4, comma 4, del D.P.R. 633/1972, comporta che tali operazioni non producono alcuna rilevanza fiscale: nessun obbligo di fatturazione, nessuna registrazione, nessuna dichiarazione annuale.
Col passaggio al regime di esenzione – disciplinato dall’articolo 10 dello stesso decreto IVA – le operazioni diventerebbero rilevanti ai fini dell’imposta, pur non comportando l’addebito dell’IVA agli associati. La differenza sostanziale sta negli adempimenti. Le operazioni esenti richiedono infatti l’apertura della partita IVA, l’emissione di documenti fiscali, la tenuta dei registri contabili, la presentazione della dichiarazione annuale e, in taluni casi, delle liquidazioni periodiche.
Prendiamo il caso di un’associazione sportiva dilettantistica che gestisce corsi di tennis per i soci. Oggi, se incassa 15.000 euro all’anno da quote di partecipazione ai corsi, non deve né aprire partita IVA né emettere fatture. Domani, col nuovo sistema, dovrebbe adempiere a tutti gli obblighi formali previsti per i contribuenti IVA, pur non versando l’imposta perché le prestazioni sportive godrebbero dell’esenzione.
Lo stesso vale per un circolo culturale che organizza laboratori didattici a pagamento, o per un’associazione di volontariato che eroga servizi socio-assistenziali dietro versamento di contributi simbolici da parte degli utenti. In tutti questi scenari, il carico amministrativo crescerebbe in maniera significativa.
La procedura di infrazione europea alle origini della norma
Per capire come si è arrivati a questa situazione occorre fare un passo indietro. Nel 2008 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, contestando l’incompatibilità del regime di esclusione IVA per gli enti associativi con la direttiva comunitaria 2006/112/CE. Bruxelles riteneva che il sistema italiano creasse distorsioni della concorrenza, favorendo indebitamente le organizzazioni non profit rispetto agli operatori commerciali che svolgono attività analoghe.
Il legislatore nazionale ha risposto con l’articolo 5, comma 15-quater, del D.L. 146/2021, convertito dalla legge 215/2021, che ha sancito il passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione. La data inizialmente fissata era il 1° gennaio 2022. Da allora si sono susseguiti quattro rinvii successivi: al 1° gennaio 2024, poi al 1° luglio 2024, quindi al 1° gennaio 2025 e infine – con l’ultimo decreto Milleproroghe – al 1° gennaio 2026.
Ogni differimento è stato motivato dall’esigenza di consentire agli enti associativi di prepararsi adeguatamente al cambiamento e di attendere una razionalizzazione organica della disciplina IVA applicabile al terzo settore, come previsto dall’articolo 7 della legge delega fiscale 111/2023.
I timori degli operatori e le richieste di semplificazione
Le organizzazioni del non profit hanno manifestato preoccupazione per l’impatto che il nuovo regime potrebbe avere sulla loro operatività quotidiana. Molte piccole associazioni, che si reggono sull’impegno volontario e dispongono di strutture amministrative minimali, temono di non riuscire a gestire gli adempimenti fiscali richiesti.
Durante l’evento Cantieri Viceversa, Giancarlo Moretti, portavoce del Forum terzo settore, ha ribadito che l’iniziativa «punta a costruire un linguaggio condiviso tra finanza e terzo settore, due mondi che storicamente hanno fatto fatica a dialogare». La questione IVA si inserisce proprio in questo contesto di difficoltà di comprensione reciproca.
Le commissioni parlamentari che hanno esaminato l’Atto del Governo 295 hanno chiesto al Governo di garantire, anche dopo il 1° gennaio 2026, un trattamento fiscale che non penalizzi le attività associative svolte in assenza di scopo di lucro. In particolare, si è suggerito di valutare l’introduzione di soglie di franchigia, come previsto dall’articolo 284 della direttiva IVA, che consentirebbe di esentare dall’apertura della partita IVA le organizzazioni con volumi d’affari contenuti.
Un’altra possibilità allo studio riguarda l’estensione del regime forfetario previsto per i contribuenti minori anche agli enti associativi, con la fissazione di una soglia di ricavi – ipotizzata in 85.000 euro – al di sotto della quale si potrebbero applicare semplificazioni significative in termini di fatturazione e adempimenti periodici.
Le implicazioni pratiche del rinvio decennale
Se la proroga di dieci anni dovesse effettivamente concretizzarsi, le associazioni avrebbero tempo fino al 2036 per adeguarsi al nuovo sistema. Un lasso temporale che permetterebbe di pianificare con calma la transizione, formare il personale amministrativo e dotarsi degli strumenti gestionali necessari.
Nel frattempo, continuerebbe ad applicarsi il regime attuale di esclusione IVA per le operazioni rese nei confronti di soci e associati, con tutti i vantaggi in termini di semplificazione che ciò comporta. Gli enti potrebbero concentrarsi sulle attività istituzionali senza preoccuparsi di adempimenti fiscali complessi.
Occorre però considerare che un rinvio così prolungato potrebbe mantenere in essere una situazione di incertezza. Le organizzazioni che stanno già investendo in formazione e digitalizzazione per prepararsi al cambio di regime potrebbero trovarsi spiazzate. E rimane aperto il nodo del rapporto con la Commissione europea, che potrebbe non gradire un ulteriore differimento di questa portata.
D’altra parte, la necessità di tempo aggiuntivo appare giustificata dalla complessità della materia e dall’esigenza di armonizzare il nuovo assetto IVA con le altre disposizioni del Codice del Terzo Settore. Solo un intervento organico e meditato può evitare che la riforma si trasformi in un ulteriore appesantimento burocratico per organizzazioni che svolgono funzioni sociali di rilievo.



