La Cassazione torna sulle indagini finanziarie e rimette al centro i professionisti: sì alla presunzione sui versamenti, no su quella dei prelievi. Con l’ordinanza n. 29739 dell’11 novembre 2025, la Suprema Corte chiarisce che, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, per i lavoratori autonomi continuano a valere le presunzioni bancarie sui versamenti ex art. 32 del D.P.R. 600/1973, mentre restano fuori i prelievi. E il messaggio è piuttosto secco: se il professionista non dimostra in modo analitico che quei movimenti non sono compensi, l’Agenzia può riprendere a tassazione i maggiori redditi.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Per i professionisti l’art. 32 D.P.R. 600/1973 continua ad applicarsi ai versamenti sui conti correnti.
- Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, la presunzione sui prelievi è esclusa solo per lavoratori autonomi e professionisti.
- L’ordinanza Cass. n. 29739/2025 ribadisce che i versamenti non giustificati possono essere considerati compensi non dichiarati.
- Il professionista ha l’onere di provare in modo analitico che ogni versamento è estraneo ai fatti imponibili o già fiscalmente rilevato.
- Movimenti come prestiti, rimborsi spese, disinvestimenti devono essere documentati con contratti, estratti conto e giustificativi coerenti.
- La distinzione impresa/professione incide solo sui prelievi: per le imprese la presunzione resta valida anche sulle uscite di denaro.
- Una gestione disordinata del conto (promiscuità, contanti, causali vaghe) aumenta il rischio di accertamenti fondati sulle presunzioni bancarie.
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Versamenti sì, prelievi no: la nuova linea sulle presunzioni bancarie professionisti
Il cuore della vicenda sta tutto nella distinzione tra versamenti e prelievi.
L’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 600/1973 prevede una presunzione legale: i versamenti e i prelievi sui conti bancari o postali del contribuente possono essere considerati ricavi (o compensi) non dichiarati, salvo prova contraria. Questo meccanismo sposta l’onere della prova sul contribuente, che deve dimostrare che quelle somme non sono reddito.
Per anni la norma è stata applicata in modo sostanzialmente uniforme a imprese e lavoratori autonomi. Poi è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 228/2014, ed è cambiato lo scenario.
La Consulta ha dichiarato illegittima – per i soli lavoratori autonomi e professionisti – la presunzione relativa ai prelievi, ritenendo che non si possa automaticamente presumere che ogni uscita di denaro dal conto si traduca in compensi non dichiarati. Di fatto, i prelievi restano oggi presuntivamente rilevanti solo per gli imprenditori.
Diverso discorso per i versamenti: la Corte non li ha toccati, e qui la Cassazione torna a ribadire che, per i professionisti, la presunzione resta pienamente operativa. È su questo binario che si inserisce l’ordinanza n. 29739/2025.
Il caso deciso con l’ordinanza n. 29739/2025
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguardava un lavoratore autonomo sottoposto a indagini finanziarie ex art. 32 D.P.R. 600/1973.
L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per maggiori IRPEF, IRAP e IVA, contestando:
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versamenti sui conti del contribuente per circa 41.360 euro;
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prelievi per circa 21.781 euro.
In primo grado, il giudice tributario aveva:
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confermato il recupero sui versamenti;
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escluso la ripresa sui prelievi, in coerenza con la sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014.
La Commissione Tributaria Regionale, però, ha ribaltato tutto. Ha annullato integralmente l’accertamento, sostenendo che, proprio dopo la pronuncia della Corte costituzionale, le presunzioni bancarie ex art. 32 non sarebbero più utilizzabili nei confronti dei professionisti, né per i prelievi né per i versamenti.
Questa lettura, favorevole al contribuente, si appoggiava a un orientamento della Cassazione (sent. n. 23041/2015), secondo cui le presunzioni bancarie sarebbero venute meno per i lavoratori autonomi nel loro complesso. Tuttavia, quel filone è stato successivamente superato da una giurisprudenza più restrittiva.
Il richiamo alla giurisprudenza: Cass. 22931/2018 e il nuovo stop
Gli “Ermellini” sono tornati su un principio già espresso in passato, in particolare con la sentenza n. 22931 del 26 settembre 2018.
Secondo questo orientamento, in tema di accertamento:
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la presunzione legale dell’art. 32 D.P.R. 600/1973 continua a valere per i versamenti effettuati sul conto corrente del professionista o del lavoratore autonomo;
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il contribuente deve provare in modo analitico che quelle entrate sono estranee ai fatti imponibili (quindi non sono compensi, né ricavi, né corrispettivi collegati alla sua attività);
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l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e attività professionale è venuta meno solo con riferimento ai prelievi, e solo per effetto della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale.
La CTR, richiamando Cass. 23041/2015 in chiave ampia, ha finito per escludere del tutto l’applicabilità dell’art. 32 ai professionisti. La Cassazione, con l’ordinanza n. 29739/2025, considera questo approccio non più attuale e decide di dare continuità all’indirizzo più recente, concentrato sui soli versamenti.
Il risultato pratico è chiaro: le presunzioni bancarie professionisti oggi operano sui versamenti, non sui prelievi.
Versamenti e prelievi a confronto: la mappa aggiornata
Per orientarsi meglio tra impresa e lavoro autonomo, può essere utile una sintesi immediata:
| Soggetto | Versamenti sul conto | Prelievi dal conto |
|---|---|---|
| Impresa (imprenditore) | Presunzione operante | Presunzione operante |
| Lavoratore autonomo / professionista | Presunzione operante | Presunzione esclusa (dopo Corte cost. 228/2014) |
Il punto critico è semplice ma spesso sottovalutato: molti professionisti, dopo il 2014, hanno pensato che l’intero impianto delle presunzioni bancarie fosse “saltato” per la categoria. La Cassazione dice, invece, l’esatto contrario per i versamenti.
L’onere della prova: cosa deve dimostrare il professionista
Il vero snodo operativo sta nell’onere probatorio.
Quando, in base all’art. 32 D.P.R. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria considera i versamenti come possibili compensi non dichiarati, il professionista non può limitarsi a generiche affermazioni. Deve:
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dimostrare caso per caso la natura delle somme;
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collegare ogni singolo versamento a una fonte non imponibile o già tassata;
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fornire documentazione coerente, verificabile e completa.
Qualche esempio aiuta a capire meglio.
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Un versamento di 5.000 euro potrebbe essere:
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restituzione di un prestito familiare (servono contratto o scrittura privata, evidenze di bonifici in uscita in passato, eventuali dichiarazioni sostitutive coerenti);
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disinvestimento di un titolo finanziario (documentazione bancaria, estratti conto titoli, certificazioni fiscali);
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rimborso spese da parte di un cliente per anticipazioni sostenute (fatture, note spese, contabilità di studio).
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Un bonifico di 2.500 euro ricevuto da una società con cui il professionista ha rapporti misti (consulenza e partecipazioni) potrebbe essere:
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dividendo già tassato in capo alla società (delibera assembleare, certificazione utili, quadro RL o similare);
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compenso per una consulenza non fatturata (in questo caso, difficilmente sarà difendibile).
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In assenza di una prova analitica e puntuale, la presunzione tiene e il versamento viene trattato come compenso.
Distinzione tra impresa e professione nelle indagini finanziarie
La Cassazione, nel richiamare Corte cost. 228/2014, ribadisce un concetto fondamentale: la struttura economica di un’impresa non coincide con quella di uno studio professionale.
Per gli imprenditori, la logica del prelievo che genera ricavi occulti è stata ritenuta ancora sostenibile: il denaro prelevato può essere usato per pagare fornitori, dipendenti, costi in nero, alimentando così un ciclo di ricavi non ufficiali.
Per i professionisti, invece, la Corte costituzionale ha ritenuto questa equiparazione eccessiva. Il prelievo non è, di per sé, indicatore di un’attività “parallela” nascosta; può essere semplicemente legato a esigenze personali, non riconducibili a compensi.
Tuttavia, sotto il profilo dei versamenti, la logica rimane forte:
- chi esercita una professione, normalmente, incassa i compensi attraverso il conto;
- il fisco può legittimamente presumere che le entrate non spiegate siano “sospette”;
- spetta al contribuente smontare la presunzione con dati, documenti, cronologia dei movimenti.
La distinzione, quindi, non è teorica ma ha ricadute concrete sull’attività di controllo e sul contenzioso.
Esempi pratici: quando il versamento è pericoloso e quando no
Si consideri qualche scenario tipico, molto vicino alla prassi quotidiana.
Caso 1 – Versamenti di contanti ricorrenti
Un avvocato versa in banca, per tre mesi consecutivi, 3.000 euro in contanti, con causale generica. Non risultano in contabilità fatture di pari importo.
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Se il professionista non spiega la provenienza (ad esempio, risparmi personali accumulati in anni precedenti, documentati in qualche modo), l’Agenzia ha gioco facile nel presumere che si tratti di compensi non dichiarati.
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Le presunzioni bancarie professionisti operano in pieno, proprio perché si tratta di versamenti.
Caso 2 – Giroconti tra conti personali e di studio
Un commercialista ha due conti: uno personale e uno intestato allo studio. Sposta periodicamente somme da uno all’altro.
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Se i giroconti sono tracciati e riconoscibili (bonifici con causale chiara, estratti conto coerenti), è possibile dimostrare che non si tratta di nuove entrate ma di semplice movimentazione interna.
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Diventa però rischioso quando i passaggi di denaro si sovrappongono a incassi in contanti non contabilizzati.
Caso 3 – Rimborsi spese anticipati per il cliente
Un ingegnere versa sul proprio conto l’accredito di 4.800 euro da un committente pubblico, con causale “rimborso spese”. La fattura emessa in precedenza riguarda solo l’onorario.
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Per reggere in sede di accertamento, servirà una riconciliazione puntuale: contratto, fattura per onorario, rendiconto delle spese anticipate, eventuale appendice contrattuale, estratti conto che mostrano i pagamenti effettuati per conto del cliente.
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In mancanza di questo “pacchetto” documentale, il rischio che tali somme siano trattate come compensi aggiuntivi è alto.
Strategie operative: come prevenire le contestazioni
La linea interpretativa che emerge da Cass. 29739/2025 impone un cambio di passo nella gestione dei conti correnti da parte dei professionisti.
Qualche accorgimento, nella prassi quotidiana, può ridurre sensibilmente il rischio di riprese a tassazione:
- evitare l’uso promiscuo e disordinato del conto professionale;
- separare in modo netto, per quanto possibile, i flussi personali da quelli dell’attività;
- documentare in anticipo i rapporti di finanziamento tra familiari, soci, collaboratori;
- curare causali dei bonifici chiare e coerenti (senza eccedere in descrizioni “creative”);
- archiviare contratti, accordi scritti, rendiconti spese con una logica di utilizzo futuro in contenzioso.
Si può anche schematizzare le principali linee di difesa per tipo di movimento:
| Tipo di movimento | Possibile giustificazione | Documenti utili da predisporre |
|---|---|---|
| Versamento di contanti | Risparmi pregressi, eredità, donazioni | Atti notarili, dichiarazioni sostitutive, estratti conto storici |
| Bonifico da familiare | Restituzione prestito | Scrittura privata, prove di precedente erogazione |
| Accredito da cliente | Rimborso spese | Contratto, note spese, fatture fornitori, estratti conto |
| Giroconto tra conti personali | Semplice movimentazione interna | Estratti conto di entrambi i rapporti, causale dettagliata |
L’idea di fondo è semplice: non basta dire “non è compenso”, serve poterlo dimostrare con qualcosa che un giudice possa ritenere credibile e verificabile.



