info@studiopizzano.it

caparra e acconto

Differenza tra caparra e acconto nei contratti preliminari

21 Agosto, 2025

La distinzione tra caparra confirmatoria e acconto nei contratti preliminari immobiliari ha subito una trasformazione sostanziale con l’entrata in vigore del decreto legislativo 139/2024. Questa riforma, che ha equiparato il trattamento fiscale delle due fattispecie, rappresenta un cambiamento significativo nel panorama delle imposte indirette, pur mantenendo alcune zone d’ombra che meritano un’analisi approfondita. La questione, fino a pochi mesi fa cruciale per la determinazione del carico fiscale, oggi assume connotazioni diverse ma non meno rilevanti per i professionisti del settore immobiliare e per i contribuenti. Occorre infatti considerare che, mentre si è raggiunta una sostanziale parificazione per i contratti esenti da IVA, permangono differenze significative quando il contratto definitivo risulta soggetto all’imposta sul valore aggiunto.

🕒 Cosa sapere in 1 minuto

  • La riforma DLgs 139/2024 ha equiparato l’aliquota d’imposta di registro (0,5%) tra caparra confirmatoria e acconto nei preliminari immobiliari.
  • La distinzione mantiene rilievo nei contratti soggetti a IVA: gli acconti generano immediato obbligo di fatturazione/IVA, le caparre no.
  • L’Agenzia delle Entrate ritiene che in caso di dubbio sulla qualificazione le somme vadano trattate come acconti.
  • La clausola deve essere chiara: “caparra confirmatoria” oppure “acconto sul prezzo”.
  • La scelta incide su obblighi fiscali, liquidità e contabilità dell’operazione.

Il sistema precedente e le sue implicazioni economiche

Stanco di leggere? Ascolta l’articolo nell’innovativo formato podcast.

Prima del 31 dicembre 2024, il sistema tributario italiano riservava un trattamento fiscale marcatamente diversificato per caparre e acconti nei contratti preliminari. Le somme versate a titolo di acconto, naturalmente escluse dal campo di applicazione dell’IVA, scontavano l’imposta di registro con un’aliquota del 3%. Al contrario, le somme qualificate come caparra confirmatoria beneficiavano di un regime fiscale più favorevole, con applicazione dell’aliquota ridotta dello 0,5%.

Questa disparità di trattamento – concretamente pari a 2,5 punti percentuali – trasformava la corretta qualificazione giuridica delle somme in una questione di primaria rilevanza economica. Un errore di qualificazione su un acconto di 100.000 euro poteva comportare un maggior esborso fiscale di 2.500 euro, cifra tutt’altro che trascurabile nelle dinamiche contrattuali immobiliari.

La riforma introdotta dal DLgs. 139/2024 ha eliminato questa disparità, unificando l’aliquota dell’imposta di registro al livello più favorevole dello 0,5% per entrambe le fattispecie. Questa modifica, pur apparentemente tecnica, ha comportato un risparmio fiscale significativo per tutti i contratti che prevedevano acconti, eliminando al contempo una fonte di contenzioso interpretativo.

Quadro normativo attuale e persistenti criticità

Nonostante l’equiparazione delle aliquote registro, la distinzione tra caparra e acconto mantiene una rilevanza operativa tutt’altro che marginale. Il nuovo scenario normativo presenta infatti aspetti di complessità che emergono particolarmente nei contratti definitivi soggetti ad IVA, sia per natura che per opzione ai sensi dell’articolo 10, n. 8-bis del DPR 633/1972.

In questi casi specifici, la qualificazione delle somme versate al preliminare continua a produrre effetti fiscali diversificati e significativi. Le somme corrisposte come caparra confirmatoria restano infatti escluse dal campo di applicazione dell’IVA fino al momento dell’eventuale imputazione a corrispettivo. La loro natura risarcitoria per l’inadempimento le sottrae al presupposto d’imposta, configurandole come somme destinate a garantire l’adempimento contrattuale piuttosto che come anticipazioni del prezzo.

Gli acconti, diversamente, realizzano immediatamente il presupposto per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Secondo la consolidata interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, l’acconto costituisce infatti un pagamento parziale del corrispettivo, generando l’obbligo di fatturazione e di versamento dell’IVA già al momento della stipula del preliminare.

Orientamenti interpretativi dell’Amministrazione finanziaria

La prassi contrattuale presenta frequentemente situazioni di ambiguità interpretativa che richiedono l’applicazione di criteri ermeneutici consolidati. L’Agenzia delle Entrate, già con la risoluzione n. 197/2007, aveva affrontato una fattispecie emblematica caratterizzata da una formula contrattuale particolarmente infelice: “imputazione al prezzo a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo”.

Questa formulazione, evidentemente contraddittoria e priva di coerenza giuridica, aveva indotto l’Amministrazione finanziaria a stabilire un principio interpretativo di carattere generale. In presenza di incertezza sulla qualificazione delle somme o di mancata specificazione della loro natura, tali importi dovevano considerarsi automaticamente acconti di prezzo.

La circolare n. 18/2013 ha successivamente cristallizzato tale orientamento, stabilendo che “se per le somme versate in occasione della stipula del contratto preliminare manca una espressa qualificazione o è dubbia l’intenzione delle parti sulla natura delle stesse, tali somme saranno da considerarsi acconti di prezzo”. Questo principio di carattere residuale si applica quindi solo in presenza di formulazioni contrattuali ambigue o incomplete.

È fondamentale sottolineare che l’incertezza interpretativa si manifesta esclusivamente in presenza di specifiche condizioni. La mancata qualificazione contrattuale, l’utilizzo di terminologie giuridicamente improprie o la presenza di clausole contraddittorie costituiscono i presupposti per l’applicazione del criterio dell’acconto.

Chiarimenti del Consiglio Nazionale del Notariato

Il Consiglio Nazionale del Notariato, attraverso lo Studio n. 185-2011/T, ha fornito importanti chiarimenti sulla corretta interpretazione delle clausole contrattuali. In particolare, è stato precisato che non sussiste alcuna ambiguità quando il contratto specifichi chiaramente la natura di caparra delle somme versate, anche in presenza di previsioni relative alla successiva imputazione a corrispettivo.

L’articolo 1385 del Codice Civile stabilisce espressamente che la caparra “in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”. La clausola contrattuale che preveda l’imputazione della caparra al prezzo finale non compromette quindi la qualificazione iniziale delle somme, ma rappresenta semplicemente una delle modalità di gestione previste dalla legge.

Questa interpretazione risulta coerente con la natura bifunzionale della caparra confirmatoria, che svolge contemporaneamente una funzione di garanzia dell’adempimento e una funzione risarcitoria predeterminata in caso di inadempimento. L’eventuale conversione in acconto attraverso l’imputazione al prezzo finale non retroagisce sulla qualificazione originaria delle somme.

Analisi delle conseguenze fiscali: esempi operativi

Per comprendere appieno le implicazioni pratiche delle diverse qualificazioni, si consideri un contratto preliminare che preveda la corresponsione di 50.000 euro. Le conseguenze fiscali variano significativamente in funzione della natura del contratto definitivo e della qualificazione delle somme versate.

Scenario A: Contratto definitivo soggetto ad IVA

Nel caso di acconto soggetto ad IVA, l’operazione comporta:

  • Applicazione immediata dell’IVA sull’importo versato (10% o 22% secondo la tipologia immobiliare)
  • Imposta di registro fissa di 200 euro per il preliminare (principio di alternatività ex risoluzione n. 311/2019)
  • Obbligo di fatturazione immediata da parte del venditore

Se le somme sono invece qualificate come caparra, l’imposizione prevede:

  • Esclusione dal campo IVA fino all’eventuale imputazione
  • Imposta di registro proporzionale dello 0,5% sull’importo (250 euro nel nostro esempio)
  • Nessun obbligo di fatturazione immediata

Scenario B: Contratto definitivo fuori campo IVA

In questo caso, indipendentemente dalla qualificazione come acconto o caparra, l’imposizione risulta sostanzialmente identica:

  • Imposta di registro fissa di 200 euro per il preliminare
  • Imposta di registro proporzionale dello 0,5% sull’importo delle somme versate
  • Possibilità di applicazione dell’imposizione inferiore derivante dal definitivo (ad esempio, nei casi di acquisto con agevolazioni prima casa)

Criticità ricorrenti nella redazione contrattuale

Nell’esperienza applicativa emerges frequentemente la tendenza a sottovalutare l’importanza della precisione terminologica nella redazione delle clausole relative alle somme versate nei contratti preliminari. La corretta qualificazione richiede un’attenzione particolare alla formulazione delle disposizioni contrattuali, evitando l’utilizzo di terminologie generiche o commistioni improprie.

Si riscontrano spesso criticità legate all’utilizzo di formule quali “versamento a garanzia del contratto”, “somme a titolo di anticipo” o “versamento per la conclusione del definitivo”. Tali formulazioni, pur comprensibili nel linguaggio comune, risultano giuridicamente insufficienti per determinare con certezza la natura delle somme.

La giurisprudenza di legittimità ha consolidato un orientamento che privilegia la sostanza economica dell’operazione rispetto alla mera denominazione utilizzata dalle parti. Tuttavia, in presenza di clausole chiare e specifiche, la volontà contrattuale mantiene un ruolo determinante nella qualificazione delle somme.

Aspetti procedurali e adempimenti correlati

La diversa qualificazione delle somme comporta anche differenti obblighi procedurali per le parti contrattuali. Nel caso di acconti soggetti ad IVA, il venditore deve provvedere all’emissione di fattura entro i termini previsti dall’articolo 21 del DPR 633/1972, con conseguente obbligo di versamento dell’imposta entro il giorno 16 del mese successivo.

Per le caparre, invece, non sussistono obblighi di fatturazione immediata, potendo la documentazione fiscale essere emessa solo al momento dell’eventuale imputazione a corrispettivo. Questa differenza può avere riflessi significativi sulla gestione dei flussi di cassa, particolarmente rilevanti per le imprese costruttrici che operano con margini finanziari ristretti.

È opportuno considerare inoltre che la qualificazione delle somme può influenzare anche gli aspetti contabili dell’operazione. Gli acconti devono essere rilevati come ricavi di competenza, mentre le caparre possono essere inizialmente registrate come debiti verso i committenti, modificando l’esposizione patrimoniale dell’impresa.

Profili di rischio e strategie di mitigazione

La persistente rilevanza della distinzione tra caparra e acconto nei contratti soggetti ad IVA richiede l’adozione di strategie contrattuali mirate per la mitigazione dei rischi fiscali. È fondamentale che i professionisti del settore prestino particolare attenzione alla redazione delle clausole, privilegiando formule chiare e giuridicamente ineccepibili.

Nella prassi professionale si raccomanda l’utilizzo di clausole standardizzate che specifichino inequivocabilmente la natura delle somme versate. Ad esempio: “Le parti concordano che la somma di euro […] versata dal promissario acquirente ha natura di caparra confirmatoria ai sensi dell’art. 1385 c.c. e sarà imputata al prezzo finale al momento della stipula del definitivo”.

Alternativamente, per gli acconti: “La somma di euro […] viene versata a titolo di acconto sul prezzo complessivo, costituendo pagamento parziale anticipato del corrispettivo dovuto per l’acquisto dell’immobile”.

La scelta tra le due formulazioni deve essere valutata in relazione alle specifiche esigenze delle parti e alle implicazioni fiscali complessive dell’operazione, considerando anche gli aspetti relativi alla gestione dei flussi finanziari e agli obblighi documentali.

Articoli correlati