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Deducibilità contributi previdenziali professionisti: i nodi ancora irrisolti

8 Ottobre, 2025

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Un dossier che sembrava destinato a chiudersi definitivamente con la riforma fiscale del 2024 torna invece a complicare la vita dei professionisti italiani. La questione della deducibilità dei contributi previdenziali professionisti – apparentemente risolta dal D.Lgs. n. 192/2024 – lascia sul terreno più interrogativi che certezze. E le scadenze incombenti del modello Redditi 2025 non aiutano.

Il quadro normativo attuale presenta una stratificazione di orientamenti che rende complessa l’applicazione pratica. Da un lato l’Amministrazione finanziaria mantiene salda la propria interpretazione consolidata dal 2002. Dall’altro la giurisprudenza di legittimità ha tracciato percorsi differenziati che dividono nettamente le categorie professionali.

Ma andiamo con ordine, perché la materia richiede un approccio sistematico per essere compresa nelle sue molteplici sfaccettature.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • I contributi previdenziali dei professionisti continuano a suscitare dubbi sulla deducibilità dopo la riforma 2024.
  • Solo per i notai sono considerati costi professionali deducibili nel quadro RE del modello Redditi.
  • Per tutti gli altri professionisti, restano oneri personali da portare nel quadro RP.
  • L’interpretazione normativa vede orientamenti divergenti tra Agenzia delle Entrate e giurisprudenza.
  • La modalità di imputazione segue il principio di cassa: rilevano i contributi versati nel 2024.
  • Differenze operative e di vantaggio fiscale anche per la compilazione degli ISA 2025.
  • Scadenze: 30/09/2025 per concordato preventivo biennale, 31/10/2025 per gli altri.

Quadro normativo: l’articolo 10 del TUIR e le sue interpretazioni

La disciplina di riferimento trova il proprio fondamento nell’articolo 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. La norma, al comma 1 lettera e), annovera tra gli oneri deducibili “i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge”.

L’interpretazione letterale parrebbe non lasciare spazio a dubbi. Eppure la prassi applicativa ha generato nel tempo orientamenti divergenti, alimentati dalla sovrapposizione tra natura previdenziale e finalità professionale dei versamenti.

L’Agenzia delle Entrate, con la storica risoluzione n. 79/E dell’8 marzo 2002, ha cristallizzato un orientamento che inquadra i contributi versati alle Casse professionali come oneri sostenuti “a titolo personale per la costruzione del proprio trattamento pensionistico”. Una lettura che esclude categoricamente l’inerenza all’attività professionale.

Secondo questo approccio, i versamenti alle Casse previdenziali professionali non differiscono sostanzialmente dai contributi INPS versati dai lavoratori dipendenti. La finalità previdenziale prevale sulla modalità di calcolo legata ai redditi professionali.

Analisi giurisprudenziale: l’eccezione notarile che ridisegna il sistema

La Corte di Cassazione ha però tracciato un solco interpretativo che mette in discussione l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria. La sentenza n. 2781 del 22 novembre 2000 (depositata il 26 febbraio 2001) ha rappresentato il primo significativo scostamento dalla prassi consolidata.

Secondo la Suprema Corte, i contributi versati dai notai “rientrano nella categoria delle spese inerenti all’esercizio della professione e pertanto devono essere dedotti in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo”. Il ragionamento poggia su un’interpretazione estensiva del concetto di inerenza.

L’inerenza – chiarisce la Corte – “non può essere limitata alle sole spese necessarie per la produzione del reddito, ma deve essere estesa anche a quelle spese che sono una conseguenza del reddito prodotto dal professionista”.

Questa impostazione ha trovato consolidamento negli anni successivi. Le ordinanze n. 1939 del 27 gennaio 2009, n. 321 del 10 gennaio 2018 e n. 18395 del 4 settembre 2020 hanno confermato l’orientamento favorevole ai notai.

Aspetti peculiari del sistema contributivo notarile

L’ordinanza n. 321/2018 offre la chiave di lettura più articolata delle ragioni che giustificano il trattamento differenziato. I notai calcolano i contributi previdenziali mensilmente sulla base del repertorio. Un meccanismo che prescinde completamente dall’effettiva percezione del corrispettivo.

Questa automaticità tra atto rogato e obbligo contributivo crea – secondo la Cassazione – un legame di causalità diretta con l’attività professionale. Il contributo scatta nel momento stesso in cui l’atto viene iscritto a repertorio, indipendentemente dal pagamento dell’onorario da parte del cliente.

Una peculiarità che distingue nettamente il sistema notarile da quello delle altre professioni, dove i contributi si calcolano generalmente sui redditi effettivamente percepiti nell’anno.

La risposta dell’amministrazione finanziaria

L’Agenzia delle Entrate ha dovuto fare i conti con l’orientamento giurisprudenziale consolidato. La risoluzione n. 66/E del 12 ottobre 2020 ha recepito – seppur con evidenti resistenze – le indicazioni della Cassazione.

Ma solo per i notai, va precisato. L’Amministrazione ha infatti limitato l’applicazione del principio di inerenza alla categoria notarile, mantenendo ferma l’interpretazione tradizionale per tutti gli altri professionisti.

Una scelta che tradisce l’imbarazzo dell’Amministrazione di fronte a un orientamento giurisprudenziale che mette in discussione decenni di prassi consolidata. E che alimenta ulteriori incertezze interpretative.

Il decreto delegato 192/2024: aspettative deluse e continuità normativa

Le prime bozze del decreto attuativo della riforma IRPEF-IRES avevano alimentato aspettative significative nelle categorie professionali. L’articolo 54-septies del TUIR, nella versione iniziale, prevedeva che “i contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge si deducono dal reddito determinato ai sensi delle disposizioni di cui al capo V”.

Una formulazione che avrebbe esteso a tutti i professionisti il regime di favore riconosciuto ai notai dalla giurisprudenza. I contributi previdenziali professionisti sarebbero diventati costi inerenti all’attività, deducibili nella determinazione del reddito di lavoro autonomo.

Il testo definitivo del D.Lgs. n. 192/2024 ha però cancellato questa possibilità. Il legislatore delegato si è allineato all’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, privilegiando la continuità normativa rispetto alla sistematizzazione degli orientamenti giurisprudenziali.

Una scelta che – va detto – evita probabilmente complicazioni applicative immediate ma non risolve le contraddizioni di sistema evidenziate dalla dottrina.

Scenari operativi: impatti sulla dichiarazione dei redditi 2025

Procedura per i notai

I notai devono indicare i contributi versati alla propria Cassa nel quadro RE del modello Redditi 2025. Specificatamente nel rigo RE19 “Altre spese documentate”, insieme agli altri costi dell’attività professionale.

Questa collocazione comporta la deduzione dei contributi ai fini della determinazione del reddito professionale. Un vantaggio fiscale che si riflette anche sul calcolo degli Indici Sintetici di Affidabilità.

Procedura per gli altri professionisti

Avvocati, commercialisti, ingegneri, medici e tutte le altre categorie professionali devono invece collocare i contributi previdenziali nel quadro RP del modello Redditi. Tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo, secondo l’articolo 10 del TUIR.

Una differenza procedurale che riflette la diversa qualificazione giuridica dei versamenti. Costi professionali per i notai, oneri personali per gli altri.

Implicazioni sugli indici sintetici di affidabilità

La diversa collocazione contabile dei contributi previdenziali genera effetti significativi sul calcolo degli ISA. I costi indicati nel quadro RE concorrono infatti alla determinazione del “voto” di affidabilità fiscale.

Nel caso dei notai, l’inserimento dei contributi nel rigo RE19 aumenta la massa delle spese professionali. Un elemento che può influire positivamente sul punteggio ISA, riducendo il rischio di controlli fiscali.

Gli altri professionisti non beneficiano di questo effetto, poiché i contributi rimangono confinati tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo. Una asimmetria che alimenta le rivendicazioni delle categorie professionali.

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