L’Agenzia delle Entrate ha iniziato a mettere in atto una strategia di controllo sui crediti fiscali del superbonus. Le prime verifiche si concentrano sui casi di cessione del credito e sconto in fattura, con risultati che stanno sollevando interrogativi di carattere giuridico. I contribuenti che si trovano nel mirino dell’Amministrazione finanziaria devono fronteggiare sanzioni del 100% sugli importi contestati – una misura che, secondo alcuni esperti, potrebbe non essere del tutto giustificata dal punto di vista normativo.
La questione tocca principalmente quei soggetti che hanno optato per le alternative previste dall’articolo 121 del decreto legge 34/2020. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di cittadini che hanno fatto affidamento su asseverazioni tecniche rivelatesi poi problematiche o su fornitori che hanno commesso errori nell’iter procedurale.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- L’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli sui crediti fiscali da Superbonus, focalizzandosi su cessione del credito e sconto in fattura.
- I contribuenti coinvolti rischiano l’applicazione di sanzioni fino al 100% delle somme contestate, anche se la normativa sul punto non è univoca.
- Il dubbio principale: la sanzione del 100% si applica se il contribuente ricade nel comportamento tipico della compensazione, che nella realtà riguarda invece fornitori/cessionari.
- Secondo gli esperti, al contribuente andrebbe applicata solo la sanzione del 30% prevista per l’omesso versamento, più coerente con il suo ruolo.
- La differenza tra 30% e 100% può impattare pesantemente sulle finanze del contribuente: contestare le sanzioni più pesanti è spesso opportuno.
- È fondamentale curare la documentazione e le asseverazioni tecniche, dati i controlli crescenti e le potenziali responsabilità solidali.
Il quadro normativo del recupero crediti
Il meccanismo di recupero si basa su un intreccio di disposizioni normative piuttosto articolato. La Legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi da 31 a 36 della legge 234/2021) ha fornito gli strumenti operativi all’Agenzia delle Entrate per recuperare gli importi quando mancano i requisiti per accedere alle detrazioni. Il tutto si combina con l’articolo 121 del decreto Rilancio, che consente le opzioni alternative di cessione del credito o sconto in fattura.
Per i recuperi, l’Amministrazione può utilizzare l’atto di recupero crediti previsto dall’articolo 38-bis del DPR 600/1973. Questo strumento, originariamente pensato per altre fattispecie, è stato esteso anche alle agevolazioni fiscali fruite indebitamente. La norma prevede espressamente l’applicabilità anche per le cessioni di crediti effettuate in assenza dei requisiti necessari.
Quando l’Agenzia contesta l’inesistenza dei crediti, non si limita a recuperare gli importi. Il comma 5 dell’articolo 121 stabilisce che vengono applicate anche le sanzioni dell’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, oltre agli interessi.
La controversia sulle sanzioni del 100%
Ed è proprio qui che nasce il problema interpretativo più delicato. L’articolo 13 del decreto 471/1997 prevede una gamma di sanzioni che va dal 30% per l’omesso versamento (comma 1) fino al 100-200% per l’utilizzo di crediti inesistenti in compensazione (comma 5). Gli uffici, nei primi schemi d’atto che circolano, sembrano orientarsi verso l’applicazione delle sanzioni più severe del comma 5.
Ma c’è un aspetto che gli esperti stanno evidenziando: il comma 5 dell’articolo 13 colpisce specificamente chi utilizza crediti inesistenti in compensazione. Nel caso di cessione del credito o sconto in fattura, però, a procedere con la compensazione non è il contribuente che ha sostenuto le spese, bensì il cessionario o il fornitore che ha applicato lo sconto.
Il dubbio, quindi, riguarda la correttezza dell’applicazione di una sanzione pensata per un comportamento (la compensazione) che non è stato compiuto dal soggetto sanzionato (il contribuente cedente).
Principi cardine del diritto sanzionatorio
Il sistema sanzionatorio tributario si fonda su principi costituzionali consolidati. L’articolo 25, comma 2, della Costituzione stabilisce il principio di legalità, mentre l’articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 472/1997 ribadisce il principio di tassatività. La sanzione deve colpire strettamente l’autore dell’illecito tipico e tipicizzato.
Nella prassi giuridica, quando una sanzione è compresa tra un minimo e un massimo, per la determinazione della misura rilevano vari elementi: il dolo o la colpa dell’agente, la sua condotta, la personalità, le eventuali cause di non punibilità. Lo scopo della sanzione tributaria rimane quello di perseguire l’autore della violazione puntuale, con intento afflittivo e dissuasivo.
Se la condotta illecita (l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti) non appartiene al contribuente ma ad un soggetto diverso, si pone il problema della legittimità dell’applicazione della relativa sanzione al primo.
L’interpretazione corretta secondo gli esperti
Alcuni operatori del settore stanno suggerendo un’interpretazione diversa. Se l’oggetto del recupero è un importo che doveva essere versato dal contribuente ma non lo è stato a causa della cessione del credito, allora la violazione dovrebbe ricadere nell’ambito dell’articolo 13, comma 1, del decreto 471/1997.
Questo comma punisce specificamente l’omesso versamento con una sanzione del 30% (per le violazioni commesse prima del 1° settembre 2024). È l’unico obbligo che effettivamente grava sul contribuente: il versamento del quantum risultato scorrettamente eliso tramite la cessione del credito.
La Legge di bilancio 2022, al comma 32, stabilisce che l’Agenzia procede con l’atto di recupero per richiamare a tassazione importi dovuti e non versati. Il comma 34 prevede che vengano irrogate le sanzioni previste dalle singole norme vigenti per le violazioni commesse. Questo confermerebbe l’orientamento verso l’applicazione della sanzione del 30% anziché quella del 100%.
Riflessi operativi per i contribuenti
La questione non è meramente teorica. La differenza tra una sanzione del 30% e una del 100% può essere sostanziale in termini economici. Per un recupero di 50.000 euro, si passa da 15.000 euro di sanzioni a 50.000 euro – una differenza che può compromettere seriamente la situazione finanziaria del contribuente.
Chi si trova già coinvolto in procedimenti di recupero dovrebbe valutare attentamente la possibilità di contestare l’applicazione delle sanzioni più severe. La questione interpretativa appare tutt’altro che risolta e potrebbe richiedere chiarimenti da parte della giurisprudenza.
È opportuno notare che la responsabilità solidale tra contribuente, fornitore e cessionario (prevista dall’articolo 121, comma 6) si applica solo in caso di concorso nella violazione. Occorre quindi verificare caso per caso se sussistano effettivamente i presupposti per configurare tale concorso.
Nel frattempo, chi deve ancora completare comunicazioni o procedure relative al superbonus dovrebbe prestare particolare attenzione alla documentazione e alle asseverazioni tecniche, considerando che i controlli dell’Agenzia si stanno intensificando e che le conseguenze sanzionatorie potrebbero essere particolarmente onerose.