Il Governo ha dato ieri il via libera definitivo a un decreto che sposta in avanti di dieci anni interi l’obbligo di applicare l’IVA alle attività associative. Una mossa che salva migliaia di enti dal dover entrare nel meccanismo della fatturazione e della contabilità ordinaria. Ma non solo: arrivano anche modifiche sostanziali per chi opera nel sociale, dalla ridefinizione delle esenzioni fino alle nuove soglie per i regimi agevolati. L’approvazione del decreto legislativo su Terzo settore, crisi d’impresa, sport e IVA segna un momento di svolta – o forse sarebbe meglio dire di sospensione – per tutto il mondo associativo italiano. Già, perché quella riforma che avrebbe dovuto partire dal primo gennaio 2026 viene ora rimandata al primo gennaio 2036. Dieci anni di respiro per capire come muoversi, dieci anni in cui restano le regole attuali.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Il regime di esclusione IVA per gli enti associativi viene prorogato al 1° gennaio 2036
- Le operazioni verso soci e tesserati restano fuori dal campo di applicazione del tributo per altri dieci anni
- È la quinta proroga dal 2022, frutto del negoziato con la Commissione europea
Modifiche alle esenzioni
- Le esenzioni IVA per prestazioni educative, sanitarie e socio-assistenziali si estendono agli enti del Terzo settore (escluse imprese sociali in forma societaria)
- L’esenzione per trasporto malati si applica a tutti gli ETS senza eccezioni
- Le imprese sociali non societarie accedono alle esenzioni IVA come gli altri ETS
Novità per imprese sociali societarie
- Aliquota IVA ridotta al 5% per prestazioni sanitarie, socio-sanitarie, assistenziali ed educative
- Trattamento IVA uniformato a quello delle cooperative sociali
Soglia 85.000 euro per ODV e APS
- Con ricavi entro 85.000 euro possono accedere al regime di esclusione IVA o al regime forfetario
- Il regime forfetario (art. 86 CTS) vale per IVA e imposte dirette dal 2026
- Previsto l’esonero dalla certificazione dei corrispettivi per chi sceglie il forfetario
Decorrenze
- Proroga esclusione IVA: fino al 1° gennaio 2036
- Modifiche esenzioni ex ONLUS: dal periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2025
- Regime forfetario ODV/APS: applicabile dal 2026
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La quinta proroga in tre anni
Che ci fosse tensione sul tema lo si intuiva dai ripetuti rinvii. Dal 2022 a oggi, questa è già la quinta volta che si sposta l’entrata in vigore del nuovo regime IVA sul Terzo settore. L’intervento previsto dall’articolo 5 comma 15-quater del decreto legge 146/2021 nasceva con l’obiettivo di mettere ordine tra le norme italiane e quelle europee – Bruxelles aveva aperto una procedura di infrazione proprio su questi aspetti.
Il meccanismo era chiaro sulla carta: cancellare quel regime speciale che permetteva agli enti associativi di considerare fuori dal campo IVA le prestazioni verso soci e tesserati (come previsto dall’articolo 4 commi 4 e 6 del DPR 633/72). Con la riforma, queste operazioni sarebbero rientrate nell’applicazione del tributo, seppure nella maggior parte dei casi con esenzione.
Ora invece si fa marcia indietro. Anzi no, si blocca tutto e si riparte tra dieci anni. Il negoziato con la Commissione europea ha dato i suoi frutti: secondo quanto dichiarato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, “il confronto ha permesso di riconoscere la specificità delle prestazioni che gli enti benefici svolgono nei confronti dei propri associati”.
Come cambiano le esenzioni per le ex ONLUS
Ma il decreto non si ferma alla semplice proroga. C’è un’altra questione – piuttosto spinosa, va detto – che riguarda le agevolazioni IVA oggi riservate alle ONLUS. Dal prossimo anno (e questo resta confermato) il regime di favore per questi enti verrà cancellato, e bisognava capire come traghettare quelle esenzioni nel nuovo mondo degli enti del Terzo settore.
L’articolo 89 comma 7 del decreto legislativo 117/2017 aveva previsto una sostituzione diretta: dove negli articoli 3 e 10 del DPR 633/72 si parlava di ONLUS, si sarebbe dovuto leggere “enti del terzo settore di natura non commerciale”. Semplice? Troppo. Perché questa modifica avrebbe lasciato fuori alcuni soggetti che oggi beneficiano delle agevolazioni, creando più problemi di quanti ne risolvesse.
Il nuovo testo fa quindi un passo indietro e uno di lato. Da un lato abroga proprio quel comma 7 secondo periodo del decreto 117/2017, dall’altro modifica direttamente gli articoli del DPR 633/72 interessati. Prendiamo le esenzioni per prestazioni educative, sanitarie e socio-assistenziali di cui ai numeri 19, 20 e 27-ter dell’articolo 10: non saranno più limitate agli enti di natura non commerciale, ma si apriranno alla generalità degli enti del Terzo settore. Con un’eccezione però – ed è rilevante: restano fuori le imprese sociali costituite come società.
Per le prestazioni di trasporto malati e feriti invece vale un principio ancora più ampio: possono beneficiarne tutti gli enti del Terzo settore, senza distinzioni. Queste modifiche entreranno in vigore dal periodo d’imposta che si apre dopo il 31 dicembre 2025, in contemporanea con i cambiamenti al Titolo X del Codice del Terzo settore.
Le imprese sociali nel nuovo assetto
Qui emerge uno dei punti più interessanti della riforma. Le imprese sociali che non hanno forma societaria potranno accedere alle esenzioni IVA previste per gli altri ETS, anche se per loro natura sono qualificate come enti commerciali. È un cambio di direzione netto rispetto a quanto l’Agenzia delle Entrate aveva indicato finora nella sua prassi amministrativa, basandosi sulle disposizioni dell’articolo 89 comma 7 del Codice.
E per le imprese sociali costituite in forma di società? L’esenzione resta preclusa, ma arriva un’altra novità che in qualche modo compensa: il loro trattamento IVA viene allineato a quello delle cooperative sociali. Il decreto estende infatti a queste imprese societarie l’aliquota del 5% prevista dal numero 1 della Tabella A parte II-bis allegata al DPR 633/72 – quella riservata alle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali verso soggetti svantaggiati (come individuati dall’articolo 10 numero 27-ter dello stesso decreto).
La soglia degli 85.000 euro per ODV e APS
Tra le altre novità fiscali merita attenzione quella che riguarda organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale. Viene fissato un tetto di ricavi annui a 85.000 euro entro il quale questi enti possono scegliere tra due opzioni agevolate.
La prima è il regime di esclusione IVA previsto dall’articolo 5 comma 15-quinquies del decreto legge 146/2021 – quello che abbiamo già visto essere oggetto della proroga decennale. La seconda opzione è invece il regime forfetario introdotto dall’articolo 86 del Codice del Terzo settore, che parte dal 2026 e vale sia per l’IVA che per le imposte dirette.
Chi opta per questo secondo regime forfetario godrà anche dell’esonero dall’obbligo di certificare i corrispettivi. Per rendere operativa questa semplificazione, il decreto modifica sia l’articolo 86 comma 8 del Codice sia l’articolo 2 lettera hh del DPR 696/96 – le norme che disciplinano appunto la certificazione dei corrispettivi.
Cosa significa per gli enti in pratica
Proviamo a tradurre tutto questo in termini operativi. Un’associazione sportiva dilettantistica che organizza corsi per i propri tesserati continuerà ancora per dieci anni a non dover emettere fatture né tenere registri IVA per quelle attività. Stessa cosa per un circolo culturale che propone iniziative ai soci.
Un esempio pratico: la cooperativa sociale “Arcobaleno” che gestisce un centro diurno per anziani con un fatturato annuo di 120.000 euro da prestazioni assistenziali potrà continuare a operare in regime di esenzione IVA senza modifiche rispetto al 2025. Se invece la stessa attività venisse svolta da un’impresa sociale costituita come srl, non ci sarebbe esenzione ma si applicherebbe l’aliquota ridotta al 5%.
Prendiamo poi un’organizzazione di volontariato che raccoglie 70.000 euro all’anno tra quote associative e contributi: potrà scegliere di aderire al regime forfetario previsto dal Codice, beneficiando di una semplificazione sia per l’IVA che per le imposte dirette, senza dover certificare i corrispettivi.
I pareri parlamentari e il coordinamento con la riforma
Vale la pena ricordare che le stesse Commissioni parlamentari, esprimendosi sul testo del decreto, avevano sollecitato il Governo ad agire proprio in questa direzione. I pareri insistevano sulla necessità di garantire un’attuazione graduale dell’orientamento europeo, coordinando il tutto con l’assetto normativo conseguente alla riforma del Terzo settore. E soprattutto – punto centrale – mantenendo il regime di esclusione IVA anche oltre la data del primo gennaio 2026.
L’obiettivo dichiarato è evitare che migliaia di piccole associazioni, organizzazioni di volontariato, circoli ricreativi e culturali si trovino improvvisamente sommersi da adempimenti contabili e burocratici del tutto sproporzionati rispetto alle loro dimensioni e capacità organizzative. La tenuta dei registri IVA, l’emissione delle fatture elettroniche, le liquidazioni periodiche: tutto questo rappresenterebbe un carico amministrativo insostenibile per realtà che spesso si reggono sul lavoro volontario.
Le dichiarazioni politiche e il negoziato con Bruxelles
Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha sottolineato come il decreto introduca anche lo stop alla tassazione della plusvalenza sui beni strumentali per le attività commerciali degli ETS, quando si tratta di attività di interesse generale. In sostanza, la tassazione scatterà solo al momento del realizzo effettivo, evitando aggravi fiscali immediati.
Dalla maggioranza alla minoranza, l’accoglienza della proroga è stata sostanzialmente positiva. Anche la coordinatrice della segreteria nazionale del Partito Democratico con delega al Terzo settore, Marta Bonafoni, ha definito la misura “un’ottima notizia” che scongiura “un vero colpo contro una miriade di associazioni grandi e piccole che rappresentano un tessuto civico e democratico vitale”.
Il percorso del negoziato con la Commissione europea è stato evidentemente complesso. Bruxelles aveva aperto la procedura di infrazione proprio perché il regime italiano di de-commercializzazione delle operazioni verso soci veniva considerato una forma di aiuto di Stato non compatibile con le norme sulla concorrenza. Il fatto che si sia arrivati a un rinvio così lungo (dieci anni, non uno o due) fa pensare che siano state trovate argomentazioni solide sulla specificità del modello associativo italiano.
I tempi di entrata in vigore e le transizioni
Occorre prestare attenzione alle diverse scadenze temporali previste dal decreto. La proroga dell’esclusione IVA al 2036 riguarda il regime generale degli enti associativi secondo l’articolo 5 comma 15-quater del DL 146/2021.
Le modifiche relative alle esenzioni per le ex ONLUS – con l’estensione agli ETS – partiranno invece dal periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2025, quindi dal 2026 per chi ha l’anno solare come periodo d’imposta. Stesso timing per l’entrata in vigore dell’aliquota IVA al 5% per le imprese sociali societarie.
Il regime forfetario per ODV e APS con la soglia di 85.000 euro sarà applicabile già dal 2026, così come l’esonero dalla certificazione dei corrispettivi per chi aderisce a tale regime.
Insomma, il quadro è composito e richiede attenzione alle singole disposizioni. Ma la sostanza è che il mondo del non profit può tirare un sospiro di sollievo: quell’onda d’urto che si temeva per il primo gennaio 2026 non ci sarà. O meglio, è stata rinviata di un decennio intero.


