Gli immobili destinati alle vacanze generano una complessa intersezione tra normative regionali e fiscalità statale, creando non poche difficoltà interpretative per proprietari e professionisti. L’inquadramento fiscale delle case vacanze rappresenta oggi una questione particolarmente delicata, soprattutto alla luce delle diverse classificazioni regionali che impattano direttamente sul regime tributario applicabile.
Definizione e quadro normativo in evoluzione
La definizione nazionale di “casa vacanze” era originariamente contenuta nell’articolo 12, comma 5, Allegato 1 del D.Lgs. 79/2011, che le identificava come “le case o gli appartamenti, arredati e dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, dati in locazione ai turisti, nel corso di una o più stagioni, con contratti aventi validità non inferiore a sette giorni e non superiore a sei mesi consecutivi senza la prestazione di alcun servizio di tipo alberghiero”.
Questa norma, però, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 80/2012. Di conseguenza – e questo è un aspetto spesso trascurato nella pratica – la disciplina delle case vacanze è oggi affidata interamente alle normative regionali, con inevitabili differenze da territorio a territorio.
Va notato che ogni regione ha sviluppato una propria definizione, talvolta con criteri significativamente diversi. Prendiamo, ad esempio, alcune normative regionali che mostrano questa eterogeneità:
- In Emilia-Romagna, le case vacanze sono immobili arredati, gestiti in forma imprenditoriale per l’affitto ai turisti, senza servizi centralizzati (eccetto ricevimento e recapito), con contratti non superiori a cinque mesi consecutivi. La gestione è considerata “imprenditoriale” quando il proprietario possiede oltre tre unità immobiliari destinate a tale scopo.
- Nel Piemonte, invece, le CAV (Case Appartamenti Vacanze) sono definite come unità di civile abitazione arredate date in uso a turisti, senza somministrazione di alimenti né servizi alberghieri centralizzati, gestibili sia in forma imprenditoriale diretta che indiretta.
- Il Lazio prevede che le case vacanze possano essere gestite sia in forma non imprenditoriale che imprenditoriale, ma quest’ultima diventa obbligatoria quando si superano le tre unità immobiliari.
- La Campania, dal canto suo, stabilisce una permanenza minima di tre giorni e massima di novanta, con possibilità di gestione imprenditoriale o non imprenditoriale (per chi ha fino a tre unità nel territorio regionale).
La qualificazione tributaria: tra impresa e reddito fondiario
Ecco il punto cruciale – e anche il più problematico nella pratica professionale: quale tipologia di reddito genera una casa vacanze ai fini delle imposte dirette?
Per rispondere, occorre prima comprendere che le normative regionali tendono a classificare la casa vacanze come “struttura ricettiva extralberghiera”, distinguendola dalla semplice locazione turistica. Questo inquadramento spinge verso la configurazione di un’attività commerciale vera e propria, a differenza della locazione turistica che rimane generalmente nell’ambito della gestione “privata” dell’immobile.
Come ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 55/E/2002 (ancora attuale nonostante gli anni trascorsi), i requisiti e le modalità di esercizio dell’attività ricettiva in case vacanze configurano un’attività simile a quella alberghiera, con carattere imprenditoriale, non limitandosi alla mera gestione immobiliare.
Questo ci porta a due scenari possibili, dipendenti dal modo in cui l’attività viene concretamente esercitata:
- Se l’attività di casa vacanze è svolta senza il requisito della professionalità abituale, si configura un reddito diverso derivante da attività commerciale non esercitata abitualmente (art. 67, comma 1, lett. i del TUIR). In questo caso, il reddito si determina come differenza tra i corrispettivi percepiti e le spese inerenti alla loro produzione, secondo quanto previsto dall’art. 71, comma 2 del TUIR.
- Se invece – e questo accade più frequentemente nella prassi – l’attività viene svolta con formula imprenditoriale abituale, fornendo oltre all’alloggio anche servizi accessori (pulizie, cambio biancheria, lavaggio indumenti…), si configura un vero e proprio reddito d’impresa. Su questa linea si sono espresse sia l’Amministrazione finanziaria (risoluzioni n. 381691/1980, n. 361700/1977 e n. 181786/1980) che la giurisprudenza di legittimità (si veda in particolare Cassazione n. 21841/2018).
L’impossibilità di applicare la cedolare secca: un aspetto controverso
Un tema di grande interesse pratico – e fonte di numerosi dubbi operativi – riguarda l’applicabilità della cedolare secca alle case vacanze.
Alla luce di quanto esposto, sembrerebbe che la gestione degli immobili con formula “casa vacanze” non sia mai suscettibile di produrre redditi di tipo fondiario, rendendo impossibile l’applicazione della cedolare secca. Questo perché, come detto, l’inquadramento regionale come casa vacanze identifica tali strutture come attività turistico-ricettive extralberghiere e – questo è il punto fondamentale – indipendentemente dal fatto che i servizi alla persona vengano effettivamente forniti o meno.
Tale classificazione, quindi, le distingue dalle locazioni turistiche, dove si verifica solo un mero godimento dell’immobile per finalità vacanziere, limitato nel tempo e dietro corrispettivo.
Va però detto – e qui emerge una delle criticità del sistema – che appare difficilmente comprensibile la figura della casa vacanze gestita in forma non imprenditoriale. Si tratta di una sorta di “ibrido” tra locazione turistica e attività turistico-ricettiva, che genera notevoli incertezze sul piano tributario.
Il conflitto tra competenze regionali e statali: un paradosso normativo
C’è un ulteriore livello di complessità che merita attenzione. Sul piano giuridico, l’intreccio tra regole regionali e norme fiscali statali sta creando evidenti incoerenze rispetto al sistema gerarchico delle fonti del diritto.
In pratica – e questo rappresenta un paradosso del nostro ordinamento – si sta verificando una situazione in cui una norma di rango inferiore (la disciplina regionale) finisce per determinare, nei fatti, la qualificazione tributaria di un reddito ai fini dell’imposizione diretta. Questione che, per sua natura, dovrebbe essere di esclusiva competenza della normativa statale, gerarchicamente superiore.
Questa anomalia è frutto dello sviluppo rapidissimo della normativa in materia, finalizzata a regolamentare il fenomeno delle locazioni turistiche che è letteralmente esploso negli ultimi anni. La conseguenza, però, è un sistema in cui le competenze appaiono confuse e sovrapposte, con evidenti ripercussioni sull’applicazione pratica delle norme.