La questione del trattamento IVA dell’indennità per perdita avviamento commerciale continua a rappresentare uno dei nodi interpretativi più dibattuti nel panorama tributario. Mentre la Suprema Corte ha consolidato un orientamento favorevole all’esclusione dall’imposta, l’Agenzia delle Entrate mantiene posizioni divergenti che richiedono un attento esame della prassi applicativa.
Il quadro normativo di riferimento
L’indennizzo previsto dall’articolo 34 della Legge 27 luglio 1978, n. 392 rappresenta uno strumento di tutela per i conduttori di immobili destinati ad attività che comportano contatto diretto con il pubblico. Il quantum è stabilito in 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto per le attività commerciali, industriali e artigianali, elevato a 21 mensilità per quelle alberghiere.
La ratio della norma si sostanzia nella necessità di compensare il conduttore per la perdita dell’avviamento conseguente all’impossibilità di continuare l’attività nei medesimi locali. Tuttavia, il meccanismo compensativo non trova applicazione quando la cessazione del rapporto sia dovuta a risoluzione per inadempimento, disdetta o recesso del conduttore stesso.
L’orientamento consolidato della Cassazione
La giurisprudenza di legittimità ha elaborato una dottrina sostanzialmente uniforme sulla natura dell’indennità in questione. Con la sentenza n. 29180/2019, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale non costituisce corrispettivo del contratto di locazione, bensì rientra tra le somme dovute a titolo di risarcimento del danno.
L’argomentazione dei giudici di legittimità si fonda su due considerazioni principali. Da un lato, l’assenza di sinallagma contrattuale tra prestazione indennitaria del locatore e obbligo di rilascio dell’immobile del conduttore, considerato che entrambe le obbligazioni sorgono quando il rapporto si è già estinto. Dall’altro, la duplice funzione compensativa dell’indennità: risarcire il danno da perdita dell’avviamento e distribuire equitativamente le utilità che rimangono al locatore sotto forma di incremento del valore locativo.
La giurisprudenza precedente e successiva
Prima della pronuncia del 2019, la Suprema Corte aveva già delineato questo orientamento in numerose decisioni. Tra le più significative, si ricordano le sentenze nn. 8559/2012 e 13345/2006, che avevano escluso l’assoggettamento a IVA dell’indennità per avviamento commerciale.
Negli anni successivi, la Cassazione ha confermato questo indirizzo interpretativo, come testimoniano le decisioni nn. 20619/2022, 2040/2022 e 23515/2020. Questa costanza giurisprudenziale ha contribuito a consolidare un principio di diritto ormai sedimentato nella prassi applicativa.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
In controtendenza rispetto all’orientamento giurisprudenziale, l’amministrazione finanziaria mantiene una posizione differente. Con la risoluzione n. 73/2005, l’Agenzia delle Entrate aveva precisato che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale rappresenta il corrispettivo di una prestazione di servizi imponibile IVA.
L’argomentazione dell’Agenzia si basa su due elementi: il fatto che l’indennità viene corrisposta anche in caso di scadenza naturale del contratto di locazione e la circostanza che tale corresponsione non rientrerebbe nella fattispecie di esclusione prevista dall’articolo 15, comma 1, n. 1 del DPR 633/72, che riguarda i risarcimenti per ritardi e inadempimenti contrattuali.
Secondo l’interpretazione amministrativa, la determinazione legale dell’indennità non escluderebbe la sua riconducibilità a un rapporto sinallagmatico, configurandosi come corrispettivo per l’incremento di valore dell’immobile derivante dall’attività commerciale svolta dal conduttore.
Le distinzioni operate dalla dottrina professionale
L’Associazione italiana dottori commercialisti (AIDC) ha tentato di delineare criteri distintivi attraverso la norma di comportamento n. 190/2014. Secondo tale documento, si dovrebbe distinguere tra l’indennità corrisposta nella misura prevista dalla legge quando il locatario abbandona i locali al termine del contratto, da qualificare come operazione non economica per carenza del presupposto oggettivo, e le somme riconosciute al locatario a seguito di negoziazione tra le parti.
Questa distinzione appare particolarmente rilevante nella prassi operativa. Nel primo caso, si tratterebbe di una corresponsione automatica derivante dalla cessazione del rapporto, priva di controprestazione specifica. Nel secondo, invece, emergerebbe un vero e proprio accordo sinallagmatico con obbligazioni di fare, non fare o permettere, che potrebbe giustificare l’applicazione dell’IVA.
Analisi critica degli orientamenti
La divergenza interpretativa tra giurisprudenza e amministrazione finanziaria si radica in visioni differenti della natura giuridica dell’indennità. Mentre la Cassazione privilegia l’aspetto compensativo-risarcitorio, l’Agenzia enfatizza il profilo sinallagmatico.
Dal punto di vista sistematico, l’orientamento giurisprudenziale appare più coerente con la ratio della norma, che mira a compensare uno squilibrio economico piuttosto che a remunerare una prestazione. La Suprema Corte ha infatti chiarito che si tratta di un sistema legale compensativo finalizzato ad allocare alcune delle esternalità positive su chi ha concorso a incrementare quelle esternalità.
Implicazioni pratiche e raccomandazioni operative
Alla luce del contrasto interpretativo, i professionisti si trovano davanti a scelte operative delicate. Da un lato, l’orientamento consolidato della Cassazione offre solide basi per escludere l’applicazione dell’IVA. Dall’altro, la posizione dell’Agenzia delle Entrate potrebbe tradursi in contestazioni amministrative.
La prassi suggerisce di adottare un approccio cautelativo, documentando accuratamente le circostanze della corresponsione dell’indennità e verificando che ricorrano effettivamente i presupposti dell’articolo 34 della Legge 392/78. Particolare attenzione deve essere prestata alla distinzione tra indennità automatica e somme negoziate tra le parti.