La Corte di Cassazione, con le sentenze nn. 7156/2025 e 34813/2024, ha tracciato confini particolarmente stringenti alla nozione di strumentalità del veicolo nell’ambito dell’applicazione del fermo amministrativo di cui all’art. 86, secondo comma, del DPR 602/1973. Un orientamento, questo, destinato a suscitare non poche perplessità.
Il quadro normativo e le pronunce della Suprema Corte
La disposizione in esame prevede che il debitore possa scongiurare la misura cautelare dimostrando – nel termine di trenta giorni dal preavviso – che il mezzo risulti strumentale all’attività imprenditoriale o professionale. Una previsione che, nella sua apparente semplicità, cela problematiche interpretative di non poco momento.
La pronuncia n. 34813/2024 ha stabilito un principio che, per certi versi, si potrebbe definire draconiano: la mera circostanza di rivestire la qualifica di imprenditore o professionista non è sufficiente. Occorre dimostrare – e qui sta il punto dolente – che l’auto sia un bene strumentale in senso stretto, vale a dire necessario all’attività stessa, non meramente utile per spostarsi.
Gli esempi forniti dalla Corte sono emblematici: può sfuggire al fermo il camion di un’impresa di trasporti, l’escavatore di una ditta edile. Ma l’auto dell’avvocato che si reca in studio? Quella no, secondo i giudici di legittimità.
Un’interpretazione che lascia perplessi
L’approccio della Cassazione si fonda su un’interpretazione estremamente rigorosa della nozione di strumentalità, mutuata – ed è questo un aspetto da evidenziare – dai documenti di prassi in materia di deducibilità integrale dei costi. Le circolari dell’Agenzia delle Entrate (nn. 37/1997, 48/1998, 1/2007, 11/2007) e la risoluzione n. 59/2007 vengono richiamate a supporto di una tesi che, francamente, appare eccessivamente restrittiva.
La sentenza n. 7156/2025 ha poi aggiunto un ulteriore tassello: nemmeno l’iscrizione del veicolo nel registro dei beni ammortizzabili costituisce prova sufficiente della strumentalità. Un’affermazione, questa, che stride con la prassi consolidata e con numerose pronunce di merito.
Le criticità dell’orientamento prevalente
Nella pratica professionale si osserva come tale impostazione presenti diversi profili problematici:
- Il primo riguarda il disallineamento sistematico: perché applicare al fermo amministrativo criteri più stringenti di quelli previsti per la deduzione fiscale dei costi?;
- Vi è poi una questione di rigidità applicativa: con questo approccio, le auto dei professionisti risulterebbero sempre aggredibili, il che pare francamente eccessivo;
- Non si può trascurare, infine, il contrasto con la ratio della norma: l’art. 86 intende tutelare la capacità produttiva del debitore, non annientarla.
È particolarmente significativo il caso degli agenti di commercio, categoria per la quale l’utilizzo del veicolo rappresenta un elemento inscindibile dall’attività svolta. Eppure, seguendo l’interpretazione della Cassazione, anche loro risulterebbero privi di tutela.
Le alternative della giurisprudenza di merito
Vale la pena segnalare come la giurisprudenza di merito abbia talvolta seguito strade diverse. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano (sentenza n. 1926/9/23 del 25 maggio 2023) e quella di Latina (sentenza n. 400/6/21 del 24 maggio 2021) hanno adottato interpretazioni più equilibrate, valorizzando le concrete modalità di esercizio dell’attività professionale.
Si tratta di orientamenti che, seppur minoritari, mostrano come sia possibile – e forse doveroso – contemperare le esigenze di tutela del credito erariale con quelle di salvaguardia dell’attività economica del debitore.
Prospettive evolutive e considerazioni de iure condendo
L’orientamento inaugurato dalla Cassazione, pur formalmente rispettoso del dato normativo, rischia di tradursi in un’applicazione meccanica e aprioristica dell’istituto. Sarebbe auspicabile un ripensamento che tenga conto delle specificità delle diverse attività professionali.
D’altronde, come spesso accade nella casistica tributaria, l’eccessiva rigidità interpretativa finisce per generare situazioni paradossali: il professionista che utilizza quotidianamente l’auto per la propria attività si trova privo di quella tutela che, invece, la norma sembrava voler garantire.
La questione rimane aperta. E meriterebbe, forse, un intervento chiarificatore del legislatore, piuttosto che essere lasciata alle oscillazioni – talvolta imprevedibili – della giurisprudenza.