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Pignoramento di crediti futuri

Deducibilità perdite su crediti inesigibili: requisiti e test di chiusura

17 Dicembre, 2025

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Le imprese che vantano posizioni creditorie di difficile recuperabilità si trovano a dover gestire, specialmente in prossimità della chiusura dell’esercizio contabile, una serie di adempimenti diretti a garantire la rilevanza fiscale delle minusvalenze connesse all’inesigibilità. La normativa tributaria subordina la deduzione di tali componenti negativi alla sussistenza di specifici presupposti. Occorre procedere attraverso modalità operative ben definite, che riguardano tanto la rappresentazione contabile quanto la dimostrazione della sussistenza di requisiti sostanziali previsti dall’articolo 101 del TUIR.

Quadro normativo delle perdite su crediti

La disciplina fiscale prevede che le perdite riferite a posizioni creditorie possano assumere rilevanza reddituale soltanto in presenza di elementi certi e precisi. L’articolo 101, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce una regola generale secondo cui la deducibilità dipende dalla verifica di requisiti oggettivi. Questi ultimi devono consentire di attestare in maniera inequivocabile l’impossibilità di recupero dell’importo vantato.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte ribadito che si considera perdita su crediti quella derivante dalla definitività dell’inesigibilità, mentre si configura svalutazione quando la non realizzabilità presenta caratteri temporanei. Nella prassi, questa distinzione assume rilevanza dirimente per determinare se applicare la disciplina delle perdite oppure quella delle svalutazioni prevista dall’articolo 106 del TUIR.

Secondo quanto affermato dalla pronuncia n. 10408 del 2025, la differenza tra le due fattispecie risiede nella definitività del venir meno della posta attiva. Quando il creditore può ragionevolmente prevedere che il credito diventerà in futuro esigibile, anche se parzialmente, si applica il regime delle svalutazioni. Diversamente, quando tale possibilità è esclusa, si configura una perdita deducibile secondo i criteri dell’articolo 101.

Cessione pro soluto e transazioni come modalità operative

Per realizzare la deducibilità delle perdite nell’esercizio 2025, diventa essenziale che le società formalizzino entro il 31 dicembre gli atti diretti a perfezionare la dismissione dei crediti. Si considerano operazioni idonee la cessione pro soluto e le transazioni con il debitore, purché assistite da data certa.

La cessione pro soluto comporta il trasferimento definitivo del credito al cessionario con esclusione di ogni responsabilità del cedente. Quando questa operazione è effettuata verso banche o intermediari finanziari vigilati, secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 26 del 2013, sussistono i requisiti previsti dall’articolo 101, comma 5, per considerare verificati gli elementi certi e precisi. Questo orientamento trova conferma nella risposta a interpello n. 146 del 2023, dove viene precisato che occorre verificare l’indipendenza del cessionario rispetto sia al cedente che al debitore ceduto.

Diversamente, qualora la cessione avvenga verso soggetti non vigilati o collegati, l’impresa deve dimostrare con documentazione specifica che la perdita presenta caratteri di definitività. La Cassazione, con sentenza n. 8714 del 2024, ha statuito che il contribuente deve fornire prova della sussistenza degli elementi di inerenza e della congruità del prezzo di cessione rispetto al valore di mercato del credito. Non basta la semplice formalizzazione dell’atto.

Si consideri l’esempio di una società che al 30 novembre 2025 vanta crediti commerciali per 180.000 euro verso un cliente in evidente difficoltà finanziaria. La società può procedere alla cessione pro soluto del credito a un factor vigilato per 95.000 euro. In questo caso, la perdita di 85.000 euro risulta deducibile nell’esercizio 2025, a condizione che la cessione venga perfezionata entro il 31 dicembre e che il factor sia indipendente rispetto alla cedente.

Cancellazione dei crediti secondo i principi contabili

L’articolo 101 prevede espressamente che gli elementi certi e precisi sussistano anche quando la cancellazione dei crediti dal bilancio viene operata in applicazione dei principi contabili. Questa disposizione richiama l’OIC 15, che disciplina il trattamento contabile dei crediti e stabilisce quando procedere allo stralcio.

Secondo il principio contabile nazionale, la cancellazione deve avvenire quando si verificano eventi che determinano l’estinzione del diritto, quali la rinuncia da parte del creditore, una transazione che comporti lo stralcio parziale, oppure la definitiva impossibilità di recupero accertata attraverso azioni legali infruttuose.

L’applicazione corretta dei principi contabili assume rilevanza anche ai fini della decorrenza temporale della deduzione. Il comma 5-bis dell’articolo 101, introdotto con il D.Lgs. 147 del 2015, prevede che per i crediti di modesta entità la deduzione è ammessa nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando questa avvenga in un periodo successivo a quello in cui sussistono gli elementi certi e precisi, sempreché l’imputazione non avvenga oltre il termine in cui, secondo corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione.

Quest’ultima disposizione introduce un meccanismo di flessibilità temporale, consentendo all’impresa di scegliere l’esercizio in cui dedurre la perdita, entro certi limiti. Nella prassi, questo significa che un credito di modesta entità scaduto da oltre sei mesi al 31 dicembre 2024 può essere dedotto nel 2025, anche se i requisiti sussistevano già nell’esercizio precedente, purché la cancellazione avvenga secondo i corretti principi contabili.

Crediti di modesta entità e presunzioni normative

Il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di esistenza degli elementi certi e precisi per i crediti di importo contenuto, scaduti da oltre sei mesi. Si considerano di modesta entità i crediti non superiori a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione (quelle con ricavi non inferiori a 100 milioni di euro) e non superiori a 2.500 euro per le altre imprese.

Questa disciplina semplificata consente di dedurre le perdite senza dover fornire ulteriori prove documentali dell’inesigibilità. Occorre però verificare che il credito sia scaduto da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta. Il calcolo dei sei mesi decorre dalla data di scadenza del pagamento, non dalla data di emissione della fattura.

Si ipotizzi il caso di un’impresa con ricavi annui di 8 milioni di euro che al 30 giugno 2025 presenta crediti scaduti da oltre sei mesi per un importo complessivo di 12.000 euro, suddivisi in 5 posizioni: tre crediti da 1.800 euro, uno da 2.100 euro e uno da 4.500 euro. L’impresa può procedere allo stralcio contabile e dedurre fiscalmente le perdite relative ai primi quattro crediti (complessivi 7.500 euro) in quanto ciascuno di essi rientra nella soglia di 2.500 euro. Il credito da 4.500 euro invece richiede la dimostrazione degli elementi certi e precisi secondo la disciplina ordinaria.

Procedure concorsuali e accordi di ristrutturazione

L’articolo 101, comma 5, prevede una deroga generale alla necessità di dimostrare gli elementi certi e precisi quando il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Si considerano tali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nonché i casi di debitori che hanno concluso accordi di ristrutturazione omologati o depositato piani attestati di risanamento.

Per questi crediti, la perdita è deducibile automaticamente a partire dalla data del provvedimento che apre la procedura o del decreto di omologazione. L’importo della perdita deve essere determinato sulla base del presumibile valore di realizzo, che dipende dalle specifiche condizioni della procedura concorsuale.

Secondo le pronunce dell’Agenzia delle Entrate, tra cui la risposta n. 146 del 2023, quando il debitore è ammesso a una procedura concorsuale, il creditore può dedurre la perdita anche se mantiene iscritto il credito in bilancio con corrispondente fondo svalutazione. Diversamente, secondo la Cassazione, se la cancellazione dal bilancio avviene per rinuncia o transazione, occorre verificare che l’operazione risponda a criteri di inerenza e non configuri un atto di liberalità.

Rinuncia e transazione: profili di deducibilità

La rinuncia al credito e la transazione costituiscono modalità operative attraverso cui il creditore può perfezionare lo stralcio della posizione. Sotto il profilo fiscale, però, queste operazioni richiedono particolare attenzione. La Cassazione ha chiarito con sentenza n. 7860 del 2016 che la rinuncia determina la deducibilità della perdita solo se giustificata dall’effettiva irrecuperabilità del credito.

Se la rinuncia non è supportata da elementi che attestino l’impossibilità di recupero, l’operazione assume natura di liberalità e risulta indeducibile. Analogamente, la transazione che comporta uno stralcio parziale deve essere motivata da ragioni economiche concrete, non può derivare esclusivamente dalla volontà di ottenere un vantaggio fiscale.

Nella prassi amministrativa recente, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che le operazioni di cessione del credito, transazione o rinuncia devono essere accompagnate dalla dimostrazione dell’effettiva insolvenza del debitore. Questo orientamento si rinviene in diverse pronunce provinciali, dove viene precisato che la mera difficoltà di recupero non è sufficiente, occorre invece l’accertamento dell’impossibilità attraverso azioni legali o altri elementi probatori.

Verifica della certezza e precisione: onere della prova

Quando non ricorrono le ipotesi di deduzione automatica (procedure concorsuali o crediti di modesta entità), l’impresa deve dimostrare la sussistenza degli elementi certi e precisi. Questa dimostrazione richiede documentazione adeguata che comprovi l’inesigibilità definitiva.

Si considerano elementi probatori idonei l’esito negativo di azioni esecutive, decreti ingiuntivi rimasti infruttuosi, certificazioni di irreperibilità del debitore, provvedimenti giudiziari che attestino lo stato di insolvenza. Non sono invece sufficienti valutazioni soggettive del creditore o pareri di consulenti privi di supporto documentale, come precisato dalla Cassazione con sentenza n. 10686 del 2018.

L’ordinanza n. 4223 del 2025 ha recentemente ribadito che l’onere della prova grava sul contribuente, il quale deve fornire elementi che consentano al giudice di verificare la ricorrenza dei requisiti. Nel caso esaminato, la Corte ha respinto il ricorso di una società che aveva proceduto alla svalutazione integrale di crediti senza aver intrapreso alcuna azione di recupero, ritenendo insufficiente la mera valutazione prognostica dell’inesigibilità.

Coordinamento con la disciplina delle svalutazioni

L’articolo 106 del TUIR disciplina le svalutazioni dei crediti, ammettendo la deduzione nella misura dello 0,50% del valore nominale dei crediti risultanti in bilancio. Questo regime si applica quando il credito non è ancora divenuto definitivamente inesigibile, ma presenta elementi di rischio.

La distinzione tra perdita e svalutazione assume rilevanza pratica perché la svalutazione non richiede la dimostrazione degli elementi certi e precisi, ma è soggetta a limitazioni quantitative. Quando l’impresa ritiene che il credito sia temporaneamente non esigibile, può procedere a svalutazione con deduzione nei limiti percentuali. Se invece valuta che l’inesigibilità sia definitiva, deve applicare la disciplina delle perdite con i relativi oneri probatori.

Secondo la giurisprudenza più recente, è legittima l’imputazione a conto economico di crediti integralmente svalutati che, pur prescindendo dal criterio quantitativo, poggi sulla sussistenza del rischio di inesigibilità ragionevolmente prevedibile ma non ancora definitiva. Questi crediti restano suscettibili di ripresa di valore e non sono venuti meno né giuridicamente né economicamente.

Aspetti temporali e decadenza dal beneficio

Il comma 5-bis dell’articolo 101 stabilisce che la deduzione è ammessa nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando questa avvenga in un periodo successivo a quello in cui sussistono gli elementi certi e precisi, sempreché l’imputazione non avvenga oltre il termine in cui, secondo corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione.

Questa disposizione comporta che l’impresa deve rispettare i termini previsti dai principi contabili per la cancellazione del credito. Se procede alla cancellazione in un esercizio successivo rispetto a quello in cui avrebbe dovuto operare secondo i corretti principi contabili, perde il diritto alla deduzione fiscale della perdita.

L’interpretazione di questa norma ha dato luogo a incertezze applicative. L’Agenzia delle Entrate, con risposta a interpello n. 342 del 2021, ha chiarito che compete all’impresa creditrice la scelta circa l’esercizio in cui portare in deduzione la perdita e la determinazione del rispettivo ammontare, una volta soddisfatti i requisiti minimi, con l’unico limite rappresentato dal periodo in cui si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione secondo corretta applicazione dei principi contabili.

Si consideri il caso di un’impresa che al 31 dicembre 2024 presenta crediti di modesta entità scaduti da oltre sei mesi per 15.000 euro. L’impresa può scegliere se dedurre la perdita nel 2024 oppure nel 2025, purché in entrambi i casi proceda alla cancellazione contabile secondo i principi OIC. Se invece attende fino al 2026 senza che vi siano ragioni giustificative per il ritardo, perde il diritto alla deduzione fiscale.

Coordinamento tra normativa fiscale e contabile

L’articolo 13 del D.Lgs. 147 del 2015 ha introdotto una norma di interpretazione autentica del comma 5 dell’articolo 101, precisando che la deduzione automatica opera nell’esercizio in cui la cancellazione dal bilancio viene effettuata in applicazione dei corretti principi contabili, anche se tale cancellazione avviene in un periodo di imposta successivo a quello in cui si sono verificati gli elementi certi e precisi.

Questo coordinamento mira a evitare sfasamenti temporali tra rilevazione contabile e riconoscimento fiscale. Nella prassi, significa che l’impresa deve curare la coerenza tra il momento in cui opera la cancellazione in bilancio e il periodo d’imposta in cui deduce fiscalmente la perdita. Non può dedurre la perdita in un esercizio e cancellarla dal bilancio in un esercizio diverso.

L’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito che la cancellazione deve avvenire secondo i corretti principi contabili. Se l’impresa procede a una cancellazione anticipata rispetto a quanto previsto dall’OIC 15, la perdita non risulta deducibile perché manca il presupposto della corretta applicazione dei principi contabili. Analogamente, se posticipa la cancellazione oltre i termini previsti, decade dal beneficio della deduzione.

Adempimenti di chiusura esercizio 2025

Per garantire la deducibilità delle perdite su crediti inesigibili nell’esercizio 2025, le imprese devono completare entro il 31 dicembre una serie di verifiche operative. Occorre innanzitutto individuare i crediti che presentano i requisiti per la deduzione, distinguendo tra:

  • crediti verso debitori in procedura concorsuale (deduzione automatica)
  • crediti di modesta entità scaduti da oltre sei mesi (deduzione automatica)
  • crediti per cui sussistono elementi certi e precisi di inesigibilità (deduzione subordinata alla prova)

Per quest’ultima categoria, diventa essenziale perfezionare entro fine anno le operazioni di cessione pro soluto verso intermediari vigilati, oppure formalizzare transazioni o rinunce assistite da data certa. La documentazione deve essere conservata in quanto l’Amministrazione finanziaria può richiederla in sede di controllo.

La prassi recente mostra che l’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione alla verifica della sussistenza degli elementi certi e precisi, specialmente quando si tratta di operazioni tra soggetti correlati o quando il differenziale tra valore nominale e prezzo di cessione appare significativo. In questi casi, occorre documentare le ragioni economiche dell’operazione e dimostrare che non si tratta di un’operazione elusiva diretta esclusivamente a ottenere un vantaggio fiscale.

Le società devono inoltre assicurarsi che la cancellazione contabile avvenga secondo i principi OIC, con adeguata motivazione nelle note esplicative al bilancio. Questa documentazione si rivela essenziale in caso di verifica fiscale, in quanto consente di dimostrare la corretta applicazione della normativa sia sotto il profilo contabile che fiscale.

La giurisprudenza della Suprema Corte, con le recenti pronunce del 2024 e 2025, ha ribadito l’importanza di un approccio prudenziale nella gestione delle perdite su crediti. L’impresa deve valutare attentamente se sussistono i requisiti sostanziali previsti dalla norma, non limitandosi a un adempimento formale della cancellazione contabile. Quando permangono dubbi sulla definitività dell’inesigibilità, appare preferibile optare per il regime della svalutazione piuttosto che rischiare un accertamento fiscale sulla deduzione della perdita.

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