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Crediti di imposta non spettanti: le nuove regole penali e tributarie

11 Ottobre, 2025

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L’utilizzo improprio dei crediti fiscali continua a generare un contenzioso massiccio, sia davanti ai giudici tributari che nelle aule penali. La questione coinvolge contribuenti, professionisti e autorità fiscali in un dibattito che – dopo decenni di incertezze – ha finalmente trovato un punto di svolta con la riforma del 2024. Il tema ruota attorno a una distinzione apparentemente semplice ma in realtà estremamente complessa: quando un credito d’imposta utilizzato in compensazione va considerato “inesistente” e quando invece soltanto “non spettante”. Non è questione di lana caprina. Da questa qualificazione dipendono conseguenze molto diverse: sul piano penale si passa da sei mesi a sei anni di reclusione, mentre su quello amministrativo le sanzioni oscillano tra il 25% e il 70% del credito contestato.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Crediti di imposta: distinzione fondamentale tra “inesistenti” (presupposti mancanti o frode) e “non spettanti” (violazione modalità o eccedenza).
  • Nuova disciplina penale: art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, pene da 6 mesi a 6 anni secondo il tipo di credito usato.
  • La riforma 2024 ha introdotto chiarimenti sulle definizioni e sull’esclusione dalla punibilità in caso di obiettiva incertezza tecnica.
  • Responsabilità: la soglia di punibilità è fissata a 50.000€, con differenze rilevanti tra credito “non spettante” e “inesistente”.
  • Prescrizione del reato: il termine può variare secondo notifiche e continuazione del reato; spesso oggetto di interpretazione giurisprudenziale.

Tre motivi per cui il tema è così delicato

Il quadro normativo attuale presenta alcune particolarità che ne spiegano la complessità crescente. In primo luogo, esiste una disarmonia evidente tra disciplina tributaria e disciplina penale – disarmonia che, anziché risolversi, si è anzi accentuata negli ultimi interventi legislativi. Poi c’è stata un’evoluzione normativa piuttosto frenetica, con modifiche che si sono succedute nel giro di pochi anni e che hanno talvolta lasciato zone d’ombra interpretative. Da ultimo – e questo è l’aspetto più concreto – l’applicazione pratica è molto frequente. Basta pensare alle numerose contestazioni sui crediti di imposta per ricerca e sviluppo, oppure al recente contenzioso sulla formazione 4.0. Sono ambiti dove la posta in gioco è elevata, sia per le imprese che per l’Erario.

L’articolo che segue esamina i profili penalistici della materia, ma per forza di cose sfiora anche quelli tributari. Serve un minimo di coordinamento tra i due ambiti, altrimenti il rischio è di perdersi.

La norma di riferimento e le modifiche recenti

La responsabilità penale trova il suo ancoraggio nell’articolo 10-quater del Decreto Legislativo n. 74 del 2000. Questa disposizione stabilisce che chi non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti non spettanti per un importo annuo superiore a cinquantamila euro è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Se invece i crediti sono inesistenti, la pena sale: da un anno e sei mesi fino a sei anni, sempre oltre la stessa soglia.

La versione attuale della norma deriva dal D.Lgs. n. 87 del 2024, entrato in vigore il 29 giugno dello stesso anno. Prima di quella data – precisamente dal 22 ottobre 2015 – vigeva il testo introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, che non contemplava il nuovo comma 2-bis. Quest’ultimo prevede l’esclusione della punibilità quando sussistono condizioni di obiettiva incertezza sugli specifici elementi o sulle particolari qualità che fondano la spettanza del credito, anche per la natura tecnica delle valutazioni.

La Relazione illustrativa al decreto del 2024 spiega che la norma dà attuazione al principio di delega e non interferisce con l’articolo 15 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie), né con i principi stabiliti dalla sentenza 364/88 della Corte Costituzionale. Si limiterebbe a stabilire una regola di giudizio che è mera espressione del canone in dubio pro reo. La dottrina sta cercando di valorizzare questa espressione, ma il dibattito è aperto e probabilmente lo rimarrà ancora a lungo.

Quando un credito è inesistente e quando non spettante

Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74 del 2000, ai fini penali non esisteva una nozione autonoma di crediti inesistenti e di crediti non spettanti. L’unica definizione disponibile era contenuta nel D.Lgs. n. 471 del 1997, che disciplina le sanzioni amministrative. L’articolo 13, comma 5, secondo periodo, stabiliva che si intende inesistente il credito in relazione al quale manca il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatici o formali della dichiarazione.

Dunque, affinché il credito potesse dirsi inesistente, dovevano sussistere due presupposti cumulativi: la mancanza del presupposto costitutivo e la non riscontrabilità con le attività di liquidazione o controllo formale. Ne conseguiva che, anche se il credito fosse stato letteralmente inventato dal contribuente, qualora tale circostanza potesse desumersi dall’espletamento delle attività di liquidazione o controllo formale, il credito non era tecnicamente inesistente, con le relative conseguenze sul piano sanzionatorio.

La definizione era comunque parziale. Si limitava ai crediti inesistenti, non diceva nulla su quelli non spettanti. E per questi ultimi c’era – c’è tuttora – un problema ulteriore: mancando una disposizione definitoria, non è chiaro se l’eventuale rilevabilità da parte dell’ufficio nell’ambito delle attività di liquidazione o controllo formale sia requisito necessario.

Almeno sul piano penale, un punto fermo è arrivato con la sentenza n. 6 del 2024 della Corte di Cassazione. I giudici hanno stabilito che la nozione di crediti inesistenti contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 non trova applicazione in ambito penale, mancando una norma che lo preveda espressamente. Tesi confermata dalla recente sentenza n. 19868 del 2025.

Le nuove definizioni legislative dopo la riforma

Il D.Lgs. n. 87 del 2024 ha, per un verso, eliminato la definizione amministrativa di crediti non spettanti e inesistenti, e per altro verso introdotto una definizione penalistica, modificando l’articolo 1 del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Prima di esaminare questa modifica, servono due precisazioni. La prima: la nuova definizione è solo apparentemente tale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’intervento normativo non ha fatto altro che recepire quanto già ritenuto dalla Corte di Cassazione. Questa affermazione è stata resa sia in sede tributaria che penale, quindi le nuove nozioni dovrebbero trovare applicazione anche con riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del decreto.

La seconda: in base all’articolo 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997, si considerano inesistenti ovvero non spettanti i crediti rispettivamente previsti dall’articolo 1, comma 1, lettere g-quater e g-quinquies del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Cercando di schematizzare:

  • Ante riforma 2024: ai fini amministrativi esisteva solo la nozione di crediti inesistenti, che non si espandeva all’ambito penale
  • Post riforma 2024: ai fini penali esiste la nozione sia di crediti non spettanti che di crediti inesistenti, e tale nozione si applica anche all’ambito sanzionatorio amministrativo

Le nuove nozioni trovano applicazione anche per il passato, anche se – come osservato dalla Suprema Corte – possono residuare aree di incertezza all’interno delle quali potranno aprirsi spazi interpretativi.

Cosa dice la legge: crediti inesistenti

Per crediti inesistenti si intendono:

  1. I crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento
  2. I crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici

Si parte dai requisiti soggettivi. Si può fare il caso della disciplina del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo che, prima dell’articolo 3 del D.L. n. 145 del 2013, imponeva alle imprese di rivolgersi a soggetti qualificati come le Università. Oppure il caso di imprese utilizzatrici di un bonus fiscale che, per le loro dimensioni, sono fuori dal perimetro soggettivo di applicazione della disciplina. Qui la disposizione è chiara: il credito difetta del requisito soggettivo e dunque è inesistente.

Un’altra ipotesi di inesistenza soggettiva riguarda la simulazione, che può essere non solo oggettiva ma anche soggettiva: l’impresa ha effettivamente beneficiato di un’attività di formazione del tipo 4.0 ma erogata da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura sull’utilizzatore.

Passando al tema dell’inesistenza oggettiva, la questione diviene più complessa. Alla luce del quadro normativo, possono verificarsi quattro ipotesi.

Prima ipotesi: i requisiti oggettivi apparentemente sussistono ma sono letteralmente inventati, cioè frutto di rappresentazioni fraudolente attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici. Qui la questione è semplice.

In secondo luogo, il caso in cui i requisiti oggettivi non sussistono. Però occorre indagare se detti requisiti siano specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento. Si può fare l’esempio, molto significativo, della necessità che l’attività di ricerca e sviluppo agevolabile ex articolo 3 del D.L. n. 145 del 2013 necessiti o meno del rispetto dei cinque punti indicati nel Manuale di Frascati.

La questione presenta riflessi di eccezionale rilevanza sul piano operativo. L’atto di indirizzo del MEF del 1° luglio 2025 in materia di crediti di imposta non spettanti e inesistenti esclude implicitamente, ma inequivocabilmente, che il Manuale di Frascati costituisca fonte normativa. Da ciò deriva che il credito potrà al più dirsi non spettante.

Terza ipotesi: sussistono i requisiti oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, ma sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito, o perché difettano di ulteriori elementi o di particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito. Anche in questo caso, il credito potrà al più dirsi non spettante. Va però subito precisato che l’espressione utilizzata dal Legislatore è quanto mai ambigua e foriera di interpretazioni.

Quarta ipotesi: i requisiti oggettivi sussistono ma, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito. Dunque, si avranno due sotto-casi: il primo è quello in cui gli ulteriori elementi o le particolari qualità richiesti sono pacifici, e allora la relativa mancanza porterà a configurare la non spettanza. Viceversa, detti elementi e qualità potrebbero essere incerti anche (non solo) per la natura tecnica delle valutazioni, e in questo caso l’incertezza determinerà la non punibilità della condotta.

Va da sé che l’indagine andrà operata caso per caso, e sarà tutt’altro che agevole, coinvolgendo la soluzione di problemi tecnici e interpretativi complessi.

Cosa dice la legge: crediti non spettanti

Per crediti non spettanti si intendono:

  1. I crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento
  2. I crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito
  3. I crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza

Quanto dura la prescrizione del reato

Si chiude questo intervento su una materia più da addetti ai lavori, ma necessaria per il notevole interesse che sempre suscita: quando il reato si prescrive.

La questione è complessa per la sovrapposizione di norme contenute nel D.Lgs. n. 74 del 2000 e nel Codice di procedura penale. L’articolo 17 del D.Lgs. n. 74 del 2000 stabilisce due regole fondamentali. La prima: il corso della prescrizione è interrotto, oltreché dagli atti indicati all’articolo 160 del codice penale, dalla notifica del verbale di constatazione o dal verbale di accertamento. Non vi sono regole che da tale data sospendono il decorso dei termini, quindi la notifica di uno degli atti citati produce l’effetto di far ridecorrere da zero la prescrizione.

Sul punto va ricordato che nell’articolo 161 del codice penale è inserita una sorta di clausola di blocco: sebbene la prescrizione riprenda dall’inizio, essa non può andare oltre al 25% del termine iniziale. Dunque, premesso che per i reati in questione la prescrizione è di sei anni, se la violazione di compensazione di credito inesistente sopra soglia si è manifestata a giugno 2018 e il reato è stato constatato con processo verbale di constatazione notificato a marzo 2021, la prescrizione sarà di sette anni e mezzo, e dunque dicembre 2025 (salve naturalmente le ulteriori ipotesi di sospensione legale, come le sospensioni COVID-19).

La seconda regola stabilisce che, per i delitti di cui agli articoli da 2 a 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, la prescrizione è aumentata di un terzo. Questa regola, però, non torna applicabile qui, poiché si sta ragionando dell’articolo 10-quater, che è esterno al perimetro.

Una precisazione. Nell’esempio sopra, il calcolo è avvenuto in coerenza a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale occorre far decorrere il termine di prescrizione dal momento di presentazione del modello F24 con il quale si determina il supero della soglia di punibilità.

Naturalmente, questo modo di ragionare presuppone che l’Autorità giudiziaria non abbia contestato il reato continuato: ricorrendo quest’ultima ipotesi, per effetto della Legge n. 3 del 2019 che ha modificato l’articolo 158 del codice penale ripristinando la pregressa disciplina, la prescrizione decorrerebbe dalla cessazione della continuazione (cioè dall’ultimo fatto).

Il reato continuato e il medesimo disegno criminoso

La questione merita almeno un cenno.

Il testo originario del codice di procedura penale stabiliva che il termine di prescrizione del reato continuato decorresse dalla data di cessazione della continuazione. La legge ex Cirielli, riconoscendo la natura non unitaria del reato continuato, ha espunto dall’articolo 158 del codice penale ogni riferimento al reato continuato, di talché risultava applicabile la disciplina riservata all’ipotesi del concorso materiale: ognuno dei reati in continuazione iniziava a prescriversi dal giorno della sua consumazione. Infine, sulla questione è nuovamente intervenuto il Legislatore con la legge cosiddetta Spazzacorrotti (Legge n. 3 del 2019) ripristinando il testo originario dell’articolo 158 del codice penale, a decorrere dal 1° gennaio 2020. Per l’effetto, nel caso di reato continuato il dies a quo si identifica con la data di cessazione della continuazione.

Sul giudice incombe, dunque, un compito assai delicato: stabilire se il medesimo disegno criminoso cui si riferisce l’articolo 81 del codice penale è stato delineato dall’agente prima dell’inizio dell’esecuzione del primo dei reati in concorso tra loro. Occorrerà inoltre entrare nel merito del contenuto di quel programma: basterà la generica prefigurazione di un’attività delinquenziale, ovvero sarà necessario che il programma contempli anche le concrete modalità di realizzazione?

Dove siamo arrivati e cosa manca ancora

Come nell’Odissea Penelope abilmente rinviava la scelta di un nuovo marito tessendo e disfacendo il sudario di Laerte, nella materia che qui occupa il Legislatore rimanda una soluzione definitoria. E sfugge il reale motivo.

Le Procure della Repubblica, i Tribunali e le Corti di Giustizia Tributaria sono piene di vicende relative ai crediti di imposta non spettanti e inesistenti. Nella discussione sull’attuazione della Legge delega n. 111 del 2023, sono pervenuti molti contributi volti a suggerire un assetto semplice ed efficace, in larga misura disattesi – forse anche in ragione della scarsa consapevolezza della delicatezza della questione.

Il sistema presenta contraddizioni e incertezze, evidenti anche ai non addetti ai lavori. Basterà notare che:

  • L’articolo 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 2000 contempla una identica soglia di punibilità per due fattispecie, quella dei crediti inesistenti e di quelli non spettanti, contraddistinte da un disvalore del tutto diverso
  • Un’analoga soglia di punibilità non è prevista nell’articolo 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, quando però la fattispecie non sembra presentare una insidiosità diversa e maggiore
  • La concreta individuazione delle fattispecie poggia su elementi tecnici in molte occasioni complessi, finendo per colpire situazioni che non sembrano così insidiose da meritare una reazione penale

Eppure qui si è, e a parere di chi scrive si resterà ancora a lungo.

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