La campagna di controlli avviata dall’Agenzia delle Entrate sul regime forfettario dei contribuenti 2021 rappresenta un momento di svolta nella gestione della compliance fiscale. Nel corso di ottobre 2025, l’Amministrazione finanziaria ha diffuso oltre 4.000 comunicazioni preliminari rivolte a soggetti sui quali, incrociando le certificazioni dichiarative, risultavano elementi che avrebbero dovuto precludere l’accesso al regime agevolato nel periodo d’imposta considerato. Si tratta di uno sforzo controllista di portata significativa, che però non rappresenta un cambiamento improvviso, bensì l’approdo naturale di una strategia di compliance che privilegia il dialogo preventivo rispetto allo scontro accertativo immediato.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Soglia reddituale: Nel 2025, il limite di redditi da lavoro dipendente o assimilato è di 35.000 euro (era 30.000 euro fino al 2024). Per gli anni precedenti, continua ad applicarsi la soglia di 30.000 euro.
- Eccezione fondamentale: La causa ostativa non opera se il rapporto di lavoro è cessato entro il 31 dicembre dell’anno precedente, anche se i redditi percepiti hanno superato il limite.
- Dove dichiarare: I redditi da lavoro dipendente vanno indicati nel Quadro RC del Modello Redditi PF, basandosi sulle certificazioni unilaterali rilasciate dai sostituti d’imposta.
- Se ricevi una comunicazione: Rispondi entro il termine assegnato fornendo documentazione, oppure presenta una dichiarazione integrativa beneficiando del ravvedimento operoso, oppure chiedi l’attivazione del contraddittorio.
- Conseguenze dell’inerzia: Il mancato riscontro è considerato ammissione dell’anomalia, portando alla ricostituzione dell’imposizione ordinaria con perdita dell’aliquota agevolata (5% o 15%), obbligo di versamento IVA e contributi, e applicazione di sanzioni.
Come funziona la selezione dei contribuenti sottoposti a verifica
L’Agenzia ha condotto un incrocio massiccio tra i dati contenuti nelle certificazioni unilatere di imponibile, fra le dichiarazioni dei sostituti, e nei quadri dedicati alle dimostrazioni di reddito nei moduli fiscali. L’obiettivo era identificare posizioni nelle quali, nel periodo d’imposta precedente, risultavano emolumenti provenienti da rapporti di lavoro subordinato o equiparati che superavano la soglia vigente. La norma che disciplina questa causa di incompatibilità si trova all’articolo 1, comma 57, lettera d-ter, della Legge n. 190/2014, e stabilisce un limite reddituale abbastanza rigoroso: chi nell’anno precedente ha accumulato compensi da dipendenza superiori ai 30.000 euro (innalzati a 35.000 euro a decorrere dal 2025 secondo quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2025) non può continuare ad applicare l’agevolazione. La logica sottesa è di per sé coerente con lo spirito della norma: il regime semplificato non è stato ideato per fungere da schermo fiscale nei confronti di professionisti che mantengono comunque una base economica stabile garantita da un’occupazione dipendente.
Il ruolo della cessazione del rapporto di lavoro come fattore derogatario
C’è tuttavia un elemento di flessibilità normativa che cambia le coordinate interpretative. La medesima disposizione prevede un’ipotesi di irrilevanza della soglia: qualora il contratto di lavoro sia stato risolto nell’anno precedente, la causa ostativa non opera. Il presupposto logico è convincente: una persona che ha perso il lavoro ha trovato nella conseguenza di una cessazione involontaria la spinta a intraprendere un percorso di autonomia professionale. Questa derogazione dimostra un intento legislativo rivolto a favorire i passaggi verso forme di lavoro autonomo, riconoscendo nella disoccupazione un fattore di variazione dei presupposti originari. Alla luce dell’aumento della soglia a 35.000 euro deciso dalla legge di bilancio 2025, il dispositivo si è reso ancora più flessibile: per quest’anno, il limite sale dunque di 5.000 euro, un’aggiustamento perseguito per adeguare la misura all’inflazione e al costo della vita. Tuttavia, questo adeguamento riguarda solamente il periodo d’imposta 2025. Per i periodi precedenti, come il 2021 oggetto delle verifiche attuali, resta fermo il limite dei 30.000 euro.
Identificare il reddito da lavoro dipendente: il Quadro RC
La ricostruzione dei compensi derivanti da una posizione subordinata o assimilata avviene principalmente attraverso il Quadro RC del Modello Redditi PF. In questo quadro il contribuente è tenuto a riportare i dati risultanti dalle certificazioni unilaterali di imponibile, cioè i documenti riepiloghivi rilasciati dai soggetti che hanno effettuato le trattenute (il datore di lavoro, gli enti previdenziali). Nel caso in cui il compenso provenga da entità non qualificabili come sostituti d’imposta — pensiamo ad una famiglia che retribuisce una persona per servizi di assistenza domestica, una badante o una colf — l’importo deve essere ricostruito sulla scorta della documentazione amministrativa prodotta dal beneficiario, che sia un contratto scritto, una ricevuta, un assegno bancario o una comunicazione conservante prova di pagamento. In queste situazioni, il datore di lavoro domestico non è tenuto al rilascio della certificazione unilaterale, poiché non riveste il carattere di sostituto d’imposta. Deve però, secondo le prassi amministrative dell’ente previdenziale competente e secondo i protocolli del contratto nazionale del settore, fornire al lavoratore un’attestazione sintetica che comprenda le retribuzioni complessive versate, i contributi eventualmente corrisposti e le spettanze maturate.
Qualora un medesimo individuo abbia intrattenuto in corso d’anno più rapporti di subordinazione, occorre particular cautela nel compilare il Quadro RC. Se il contribuente ha contattato l’ultimo datore di lavoro per richiedere il conguaglio fiscale complessivo — includendo in esso anche le somme conseguite precedentemente presso altri datori — la dichiarazione dovrà esporre solamente quanto riportato nella certificazione unilaterale di quest’ultimo, giacché quel documento sintetizza già l’aggregato complessivo dei redditi cumulati e delle ritenute già prelevate. Diversamente, nel caso in cui il conguaglio non sia stato richiesto, l’obbligato è tenuto a sommare autonomamente i valori risultanti da tutte le certificazioni ricevute, affinché la posizione dichiarativa specchi fedelmente l’importo totale incassato.
Verifiche e mancate risposte: il percorso verso l’accertamento
L’Agenzia aveva già inoltrato, durante il 2024, richieste conoscitive a varie categorie di contribuenti sui quali sussistevano indicatori di anomalia riferiti al periodo 2021. Molte di questi inviti non hanno ricevuto una risposta appropriata, una circostanza che ha dato il via a procedure accertative formali e alla predisposizione dei cosiddetti schemi d’atto di contestazione. Lo schema d’atto è uno strumento procedurale previsto dall’articolo 6-bis della Legge n. 212/2000, lo Statuto dei diritti del contribuente. Si presenta come una comunicazione preliminare rispetto all’avviso di accertamento vero e proprio. La sua funzione è quella di consolidare il principio del contraddittorio preventivo fra il contribuente e l’ufficio delle imposte. Concretamente, si tratta di un passaggio amministrativo che antecede l’accertamento definitivo e fornisce al contribuente la possibilità di leggere con precisione le ragioni del disallineamento rilevato, esercitando il diritto di esprimere osservazioni, di fornire chiarimenti oppure di presentare documentazione che non era ancora in possesso dell’ufficio, tutto entro un termine predefinito. L’intento duplice è garantire la partecipazione attiva e consapevole del contribuente nel processo amministrativo tributario, facilitando così l’emersione di elementi che potrebbero non essere stati inizialmente noti all’ufficio accertatore, e al contempo prevenire la sottoscrizione di atti viziatati da errore o privi di fondamento, aumentando la trasparenza e la correttezza dell’azione impositiva.
Quando l’inerzia del contribuente diviene presunzione di colpevolezza
L’assenza di una risposta alle comunicazioni spedite dall’Agenzia viene considerata, in via presuntiva, come una conferma tacita dell’anomalia stessa. Ciò consente all’ufficio di procedere autonomamente alla ricostruzione dei redditi e alla rideterminazione delle imposte secondo le regole ordinarie, provocando il venir meno dell’agevolazione forfettaria per quel specifico periodo. In questi casi, i redditi inizialmente comunicati con l’aliquota favorevole vengono sottoposti a rivalutazione secondo i criteri comuni, con obbligo di versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dei versamenti previdenziali, oltre all’applicazione di sanzioni amministrative per dichiarazione infedele secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 471/1997. Quando ricorrono tali ipotesi, l’ufficio trasmette un’anticipazione dello schema d’accertamento, chiedendo al soggetto di presentare deduzioni o memorie a propria difesa, precedentemente all’iscrizione dell’avviso definitivo. Se il contribuente non aderisce oppure non giunge a una definizione agevolata della controversia, l’accertamento di norma produce un incremento significativo dell’imposizione tributaria, conseguente alla perdita dell’aliquota cedolare del 15% (o 5%, a seconda dell’attività) e alla riconduzione sotto l’ordinaria tassazione ai fini dell’IVA e dei contributi.
Le linee difensive disponibili al contribuente
Il soggetto che riceve il documento comunicativo o lo schema preliminare ha a disposizione almeno tre percorsi di intervento. Innanzitutto, può fornire risposta al questionario o alla richiesta di delucidazioni, allegando idonea documentazione che attesti il venir meno del rapporto di lavoro oppure il mancato superamento della soglia dei 30.000 euro (o dei 35.000 euro per il 2025). Secondo, può presentare una dichiarazione integrativa volta a regolarizzare la posizione, avvalendosi del beneficio del ravvedimento operoso disciplinato dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997. Terzo, può prendere parte al procedimento di contraddittorio entro il termine comunicato, esternando deduzioni analitiche e, ove opportuno, proponendo l’avvio di una procedura di accertamento con consenso dell’interessato. Dal punto di vista della prova documentale, la difesa più risolutiva rimane la dimostrazione scritta del venir meno del rapporto di lavoro anteriormente all’inizio o alla prosecuzione dell’attività autonoma. Questo dato rappresenta l’unico elemento capace di escludere il gioco della causa ostativa inscritto nella lettera d-ter) dell’articolo 1, comma 57, della Legge n. 190/2014, dato che la norma non riconosce alcun rilievo alla marginalità o alla sporadicità del compenso dipendente, salvo il caso di effettiva cessazione. In queste situazioni, l’unica strategia difensiva realmente efficace consiste nell’evidenziare l’inesattezza o l’insufficienza dei dati che l’Amministrazione ha acquisito, producendo documentazione idonea a rettificare o ampliare le informazioni custodite nei sistemi informativi dell’Agenzia delle Entrate.
Il contesto più ampio della compliance preventiva
La massiccia operazione controllistica condotta nel 2025 si collocava nel panorama più vasto della compliance fiscale preventiva, dove l’Agenzia assume progressivamente un ruolo di interlocutore anticipato, in grado di dialogare con il contribuente prima che un’incongruenza si tramuti in una vera contestazione. Questo orientamento rappresenta un trasferimento della natura stessa dei controlli fiscali: la verifica non è più principalmente un’attività reattiva rivolta a scoprire illeciti già consumati, ma sempre più una funzione predittiva e sistematica. La capacità di elaborare quantità enormi di dati in tempo reale trasforma la vigilanza tributaria in un processo continuo. Per il contribuente, la sfida consiste nel mantenere coerenza nei dati dichiarativi e nel dimostrare la propria serietà prima che un’anomalia rilevata dall’algoritmo si trasformi in una vera procedura. Per il professionista — il consulente, il commercialista — emerge una nuova responsabilità: quella di tradurre la complessità del fenomeno fiscale in una gestione consapevole del cliente, accompagnandolo non solo al rispetto formale delle norme, ma a una compliance autentica e documentata, non subita e meccanica.
I periodi d’imposta ancora sotto la lente di ingrandimento
Le comunicazioni di ottobre 2025 si concentravano sul 2021, un periodo ormai distante temporalmente ma ancora sottoposto a verifiche incrociate. L’Agenzia, però, non limita lo sguardo a quel solo anno fiscale: altri periodi rimangono esposti a simili scrutini, in particolare il 2022, il 2023 e il 2024. Anche per questi anni, le stesse cause ostative relative ai redditi da lavoro dipendente mantengono la loro operatività. I contribuenti dovrebbero quindi verificare con sollecitudine — se non l’hanno già fatto — la coerenza dei propri dati dichiarativi: le certificazioni unilaterali ricevute, i compensi effettivamente percepiti, le date precise di cessazione dei rapporti di subordinazione. Una verifica interna anticipata potrebbe evitare sorprese indesiderate quando arriverà la comunicazione dell’ufficio. Il ravvedimento operoso rimane sempre praticabile, anche se con termini e sanzionamenti differenti rispetto a quelli di un’adesione spontanea: essa rappresenta comunque una valvola di sfogo per chi rileva incongruenze nei propri adempimenti.



