La prossima legge di bilancio porta con sé un cambiamento destinato a scardinare anni di consolidata prassi amministrativa in materia di operazioni permutative. L’articolo 35 della Manovra 2026 – ancora in corso di approvazione parlamentare – modifica il meccanismo di calcolo della base imponibile IVA per le permute, spostando l’asse dal “valore normale” ai costi effettivamente sostenuti. Una svolta che allinea finalmente il diritto interno alla Direttiva 2006/112/CE, risolvendo una frizione normativa che durava da anni tra Bruxelles e l’Agenzia delle Entrate.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Cambio parametro: La base imponibile IVA nelle permute non si calcolerà più sul valore normale (prezzo di mercato), bensì sull’ammontare complessivo dei costi effettivamente sostenuti per produrre il bene/servizio ceduto.
- Decorrenza: La disposizione entra in vigore con la Legge di Bilancio 2026 e si applica alle operazioni effettuate successivamente all’entrata in vigore della norma (presumibilmente dal 1° gennaio 2026).
- Salvaguardia retroattiva: I comportamenti e le operazioni già conclusi prima dell’entrata in vigore rimangono disciplinati dalla vecchia normativa del valore normale, senza obbligo di rettifica.
- Razionale normativo: L’intervento riallinea il diritto tributario italiano alla Direttiva UE 2006/112/CE, che privilegia il corrispettivo effettivo (valore soggettivo) quale parametro di base imponibile, risolvendo una tensione storica con Bruxelles.
- Eccezione tassativa: Il valore normale rimane applicabile in caso di permute tra parti correlate con diritti limitati alla detrazione IVA, quale presidio contro elusione fiscale (art. 80 Dir. UE; art. 13, comma 3 DPR 633/1972).
- Onere documentale: Ogni azienda deve tracciare analiticamente i costi riferibili al bene/servizio ceduto attraverso contabilità gestionale, registri di magazzino e allocazione di ammortamenti, con obbligo di conservazione (Legge 88/2009, art. 24).
La situazione vigente: il valore normale come criterio guida
Fino a oggi le permute hanno seguito una logica apparentemente lineare ma, in realtà, piuttosto discutibile. Il DPR 633/1972 prescrive che ciascuna cessione – quella della “gamba” attiva e quella della “gamba” passiva – costituisca operazione autonoma. Per determinare la base imponibile, il legislatore ha imposto di ricorrere al valore normale del bene o del servizio ceduto. Leggere l’articolo 13, comma 2, lettera d del Decreto: è esattamente quello che vi si legge, senza scappatoie interpretative.
Definire il valore normale non è banale. L’articolo 14 dello stesso Decreto lo qualifica come il prezzo di mercato medio che concorrenti indipendenti praticare per il medesimo bene in circostanze analoghe. Non il prezzo effettivamente pagato, bensì un valore stimato secondo criteri oggettivi e, di sovente, controversi. Nella prassi – specie nelle permute immobiliari – l’Agenzia delle Entrate ha storicamente imposto questa metodologia, come ribadito dalla Risoluzione 373/E del 2007.
Il conflitto con l’Unione europea: quando il mercato non è il criterio
Qui emerge il nodo vero. La Direttiva UE 2006/112/CE – il fondamento della disciplina IVA – non concede al fisco questa libertà interpretativa. L’articolo 73 della Direttiva stabilisce che la base imponibile dev’essere il corrispettivo realmente percepito, espressione della volontà soggettiva dei contraenti. Il principio è cristallino: il valore soggettivo, non quello di mercato. Solo in ipotesi tassative – rapporti tra parti correlate, rischio di manipolazione, pericolo di elusione – è ammesso ricorrere al valore normale. E soltanto perché l’articolo 80 della Direttiva lo autorizza.
La Corte di Giustizia dell’UE ha consolidato questo orientamento nella sentenza 19 dicembre 2012, causa C-549/11 “Orfey”: la base imponibile è il corrispettivo effettivamente percepito, non un valore stimato secondo parametri oggettivi distaccati dalla realtà. Un monito diretto ai sistemi tributari nazionali, indubbiamente all’Italia.
E qui la tensione diveniva sempre più acuta. L’amministrazione finanziaria italiana continuava a imporre il valore normale, creando una divergenza palese rispetto alla logica unionale. I tavoli bilaterali con la Commissione Europea – in particolare i working paper 1107/2025 e 112/2025 del Comitato IVA – hanno progressivamente evidenziato questa incompatibilità normativa. Fino a determinare la decisione di intervenire.
La svolta della Manovra 2026: il passaggio ai costi
L’articolo 35 della Manovra 2026 segna la piega decisiva. Non si tratta di una modifica cosmetica. Il testo sostituisce il riferimento al valore normale con “l’ammontare complessivo di tutti i costi riferibili” ai beni e servizi scambiati. Un cambio di paradigma che ricolloca il sistema italiano in armonia con l’architettura unionale, privilegiando il corrispettivo effettivo come parametro di base imponibile.
Quali costi rientrano nel perimetro? Questa è la domanda pratica più rilevante. La norma parla di ammontare complessivo, il che presuppone una nozione ampia. Vanno inclusi, certamente, i costi diretti – materie prime, manodopera specifica, componenti utilizzate nella produzione del bene ceduto. Ma occorre anche includere una quota di costi indiretti? Gli ammortamenti dell’impianto utilizzato? Le spese generali dell’azienda? Qui la norma crea spazi di incertezza che il decreto attuativo, o le prossime circolari dell’Agenzia, dovrà chiarire.
È opportuno notare, inoltre, che la documentazione a supporto diviene essenziale. La Legge 88/2009, articolo 24, impone la tracciabilità contabile di ogni elemento dedotto nella determinazione della base. Una permuta con base imponibile calcolata sui costi comporterà il dovere di esibire la documentazione di progettazione, l’analisi dei costi di produzione, le schede di magazzino, i registri di ammortamento. La prassi amministrativa sarà cruciale nel definire quale livello di dettaglio sia ritenuto accettabile.
L’elemento di continuità: il salvacondotto per i comportamenti pregressi
Una clausola di particolare rilievo è quella della salvaguardia retroattiva. La Manovra dichiara che le operazioni effettuate prima dell’entrata in vigore della norma rimangono disciplinate dalle regole precedenti, includendo quindi il ricorso al valore normale secondo la prassi storica. Una scelta di prudenza legislativa, finalizzata a evitare contenziosi su operazioni già concluse o in corso di esecuzione al momento dell’emanazione della norma.
Non è un dettaglio marginale. Innumerevoli permute immobiliari, per esempio, vengono stipulate su tempi lunghi. Se l’acquirente e il venditore hanno già scambiato i beni prima dell’entrata in vigore della norma – pur se la fattura è emessa successivamente – il regime rimarrà quello del valore normale. Questo evita una cascata di contenzioso amministrativo e di ricorsi legali. Il legislatore ha temperato l’innovazione con un approccio pragmatico.
Le esclusioni tassative: quando il valore normale rimane in servizio
Attenzione. La nuova disciplina non comporta l’abolizione assoluta del valore normale. Determinate situazioni di rischio lo mantengono in primo piano.
Secondo la Direttiva 2006/112/CE, articolo 80, e il suo recepimento italiano nell’articolo 13, comma 3 del DPR 633/1972, il valore normale si applica ancora quando ricorrano simultaneamente due condizioni: (i) esista un legame tra le parti – che sia parentela, controllo, associazione, o anche semplice accordo per coordinare comportamenti economici – e (ii) almeno una parte disponga di diritti limitati alla detrazione dell’IVA. Sono le ipotesi classiche di operazioni tra controllante e controllata, dove la controllata ha detraibilità limitata per finalità istituzionali, oppure operazioni tra società e enti non profit con vincoli di parziale deduzione.
In queste circostanze, l’Amministrazione fiscale conserva il potere – anzi, il dovere – di imporre il valore normale quale parametro di protezione contro strategie di pianificazione fiscale elusiva. La giurisprudenza nazionale, nella sentenza della Cassazione del 9 luglio 2014, n. 15660, ha ribadito che la misura della base imponibile deve riflettere il valore soggettivamente attribuito dal beneficiario, ma ha pure confermato che il ricorso al valore normale rimane legittimo “nei limiti tassativi” previsti dalla normativa unionale.
L’autonomia di ogni cessione e la separata fatturazione
Una questione complementare riguarda la struttura documentale e fatturativa. Resta ferma l’autonomia impositiva di ciascuna cessione in permuta. Non esiste permuta “globale” dal punto di vista IVA. Se l’azienda A cede un macchinario e riceve un impianto dall’azienda B, si configurano due distinte operazioni imponibili, con due separate fatturazioni.
Ciascuna azienda fattura l’una all’altra il bene ceduto, indicando nella fattura la propria base imponibile e l’IVA dovuta. Questo principio non è toccato dalla riforma. Rimane immutato l’articolo 11 del DPR 633/1972, che prescrive come eccezione l’omissione di fattura solo in rarissimi casi.
Pertanto, anche con il nuovo criterio dei costi, ogni cessione mantiene la sua autonomia. È l’azienda A che determina la propria base imponibile sulla permuta in calando ai costi di produzione del macchinario ceduto. È l’azienda B che determina la propria base imponibile calcolando i costi dell’impianto. Due imposizioni autonome, due registrazioni autonome, due dichiarazioni autonome in sede di versamento dell’IVA periodica e annuale.
Quando la norma entra in vigore e come si applica
La disposizione avrà efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2026 – presumibilmente attorno ai primissimi giorni di gennaio 2026, in linea con l’usuale calendario. Si applica alle operazioni effettuate successivamente a tale data. Né prima, né dopo: la demarcazione è netta.
Una permuta conclusa il 31 dicembre 2025 dovrà essere fatturata e imputata all’IVA secondo il metodo del valore normale. Una medesima operazione conclusa il 2 gennaio 2026 sarà assoggettata ai costi. Non è un dettaglio procedurale, bensì una conseguenza della scansione temporale della norma. I commercialisti e i responsabili della compliance aziendale dovranno monitorare attentamente la data effettiva di conclusione dell’operazione permutativa – momento in cui il trasferimento dei beni / diritti si perfeziona – e non la data di fatturazione.
Tre scenari operativi: dalla casistica pratica ai profili applicativi
Analizzare casi concreti aiuta a orientarsi nella complessità.
Scenario I: Permuta tra due aziende manifatturiere
L’azienda X produce strutture metalliche e scambia un lotto di travi con l’azienda Y, che produce sistemi di ancoraggio e cede una partita di ancoraggi a X. Entrambe sono soggetti IVA ordinari. Nel nuovo regime, X deve determinare la propria base imponibile sommando tutti i costi sostenuti per la produzione delle travi scambiate: acciaio greggio, lavorazione, energia, quota di ammortamento della macchina per il taglio e la piegatura, manodopera diretta. Y opera similmente. Ciascuna emette fattura all’altra. Entrambe esercitano la detrazione IVA se il bene ceduto è ordinariamente destinato al mercato taxable.
Qui entra in gioco una questione delicata: come allocare i costi indiretti? Se l’azienda X ha spese generali di amministrazione, assicurazione, affitto dello stabilimento, quali porzioni devono confluire nel costo “riferibile” alle travi? La norma dice “ammontare complessivo di tutti i costi”, il che è molto ampio. Ma l’interpretazione ristretta – quella congruente con l’orientamento comunitario – dovrebbe escludere i costi generali non proporzionali alla specifica produzione. L’Agenzia dovrà pronunciarsi, verosimilmente, per via circolare o interpello.
Scenario II: Permuta di servizi contro fornitura futura di beni
Un’agenzia pubblicitaria svolge attività di branding e comunicazione per una società manifatturiera, concordando di ricevere in cambio una fornitura di prodotti finiti entro i 6 mesi successivi. L’operazione è una permuta? Sì, purché esista un nesso diretto e causale tra prestazione e controprestazione, e la controprestazione sia esprimibile in denaro – requisito codificato dalla Cassazione nella sentenza del 21 marzo 2019, n. 7947.
L’agenzia determina la propria base imponibile sommando i costi di realizzazione dei servizi di comunicazione: compensi ai professionisti coinvolti, software utilizzato, materiali grafici, quote di ammortamento dell’attrezzatura tecnica. La società produttrice determina la propria base imponibile calcolando il costo di produzione dei beni da fornire. Due autonome basi imponibili. Se il servizio è ordinariamente imponibile e la fornitura è una cessione di beni ordinaria, entrambi i soggetti esercitano la detrazione.
Scenario III: Permuta tra società controllante e controllata con limite alla detrazione
Una holding cede a una propria controllata (ricerca e sviluppo) attrezzature informatiche di proprietà, ricevendo in cambio diritti di proprietà intellettuale derivanti da studi già compiuti. La controllata ha un’area di attività non soggetta ad IVA (concessione di brevetti a terzi a titolo gratuito) e per questa quota gode di diritto limitato alla detrazione – poniamo, al 50%.
In questo assetto rientra pienamente la eccezione tassativa dell’articolo 80 Direttiva UE e 13, comma 3 DPR 633/1972. Pur entrando in vigore il nuovo criterio dei costi, la holding e la controllata rimangono autorizzate a imporre il valore normale – se conveniente – per la cessione di attrezzature. Il valore normale funge da “controllo di frontiera” contro possibili strategie di pianificazione tributaria indebita.
La documentazione contabile: uno sforzo aggiunto per l’impresa
L’adozione del metodo dei costi come parametro di base imponibile incrementa sensibilmente l’onere documentale sulle aziende. Non è più sufficiente stimare il “valore di mercato” del bene ceduto consultando stime immobiliari o listini di settore.
Occorre, invece, tracciare i singoli costi all’interno della contabilità aziendale. Sotto il profilo pratico, ciò significa:
- i) Mantenere registri di magazzino aggiornati, con esplicita correlazione tra beni prodotti/acquisiti e costi sostenuti.
- ii) Allocare quote di ammortamento secondo metodologie controllate e documentate nei criteri di bilancio.
- iii) Registrare il costo della manodopera per ogni fase di produzione (se il bene è autoprodotto).
- iv) Delineare – in allegato al contratto di permuta – il calcolo sintetico della base imponibile, evidenziando il perimetro di costi considerati.
La Legge 88/2009, articolo 24, già lo prevede: i “dati elementari” dei costi devono essere documentabili attraverso la contabilità gestionale aziendale. Qui entra in gioco anche il principio generale di “traccialità fiscale” recentemente rafforzato dalle novelle sulla liquidazione automatizzata dell’IVA e sulla comunicazione IVA periodica.



