Quando si cede un immobile destinato alla demolizione, il confine tra fabbricato e terreno edificabile diventa sottile. La giurisprudenza ha tracciato però una linea precisa: l’edificio resta tale anche se l’acquirente intende abbatterlo. Vediamo perché il Fisco non può trasformare una compravendita immobiliare in una cessione di area edificabile.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- La cessione di un fabbricato da demolire non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile – né ai fini imposta di registro né per le imposte dirette o IVA.
- Il criterio fiscale: la qualificazione si valuta al momento dell’atto, non su intenzioni future di demolizione.
- La Cassazione e la normativa: numerose pronunce e le modifiche dal 2018 vietano uso di elementi estranei all’atto per interpretazione fiscale.
- Rischio contestazione: attenzione alla congruità del prezzo rispetto ai valori OMI e alla chiarezza nell’identificazione catastale e contrattuale del fabbricato.
- Indicazione operativa per professionisti: descrivere chiaramente il fabbricato ceduto, la sua destinazione e citare la giurisprudenza consolidata nel contratto per prevenire contestazioni.
La vicenda che ha generato il contenzioso
Capita più spesso di quanto si pensi. Un contribuente vende un vecchio edificio, magari fatiscente. L’acquirente ha già in mente di demolire tutto e ricostruire. Prima ancora del rogito definitivo, parte con le pratiche comunali per ottenere il permesso di costruire. Demolizione e ricostruzione, magari con volumetrie ampliate.
L’Agenzia delle Entrate, in casi come questi, ha tentato di riqualificare l’operazione. La cessione di un fabbricato diventerebbe cessione di terreno edificabile, con conseguenze fiscali diverse e più pesanti per il venditore. La differenza non è da poco: secondo l’art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR, le plusvalenze da cessione di terreni edificabili sono soggette a tassazione separata. Una vendita di edificio, invece, segue un regime ben diverso.
Il punto di vista dell’amministrazione finanziaria
Nella prassi applicativa, l’Ufficio ha valorizzato elementi come la richiesta di permesso a costruire presentata ancor prima del rogito, gli accordi preliminari tra le parti sulla demolizione, il corrispettivo pattuito che sembrava fotografare non il valore del vecchio fabbricato ma la capacità edificatoria del suolo. Tutti segnali, secondo il Fisco, che le parti avevano in realtà negoziato sul terreno e sulle sue potenzialità edificatorie, non sull’edificio esistente.
L’amministrazione aveva fatto leva sull’art. 20 del DPR 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di registro), nella sua formulazione previgente alle modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2018. Quel testo prevedeva che l’imposta venisse applicata secondo la “intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti”, anche se non corrispondessero al titolo o alla forma apparente. Un orientamento giurisprudenziale consolidato permetteva così di guardare oltre le clausole contrattuali, considerando elementi esterni all’atto e perfino eventi futuri.
La risposta della corte di cassazione
Ma la Corte di Cassazione ha detto no. Più volte. Con una serie di pronunce (tra cui la sentenza n. 5088/2019, l’ordinanza n. 1834/2024 e le ordinanze nn. 11800 e 12129 del 2024) ha ribadito un principio chiaro: se l’oggetto del contratto è un edificio, non si può mai riqualificarlo come cessione di area edificabile. Nemmeno quando è destinato alla demolizione e ricostruzione.
La ratio è semplice. L’art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR parla di “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria”. Ma un terreno sul quale insiste già un fabbricato non è un terreno libero con potenzialità edificatoria. È un terreno già edificato. La norma non prevede una categoria intermedia. O si cede un edificio, o si cede un’area libera.
Secondo la Suprema Corte, l’eventuale demolizione è un evento futuro, successivo al rogito, rimesso alla volontà dell’acquirente. Non può condizionare la qualificazione dell’atto di vendita, che va valutato al momento in cui viene posto in essere. In quel momento, sul terreno c’è un fabbricato. Punto.
Le modifiche normative del 2018 e il nuovo art. 20 TUR
Il legislatore ha poi dato una mano. Con l’art. 1, comma 87, della legge 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha modificato proprio l’art. 20 del DPR 131/1986. Il nuovo testo vieta espressamente di utilizzare elementi estranei all’atto per interpretarlo ai fini dell’imposta di registro.
La conseguenza pratica? Gli uffici non possono più valorizzare il collegamento negoziale tra più atti, né gli effetti economici dell’operazione, né tantomeno eventi futuri. Devono limitarsi all’atto in sé. Se nell’atto c’è scritto “vendita di fabbricato”, quello è.
Inizialmente la giurisprudenza ha negato efficacia retroattiva a questa modifica (Cassazione nn. 4407/2018 e 4589/2019). Mancava una previsione esplicita di retroattività, e mancavano adeguati motivi di interesse generale per giustificarla. Poi il legislatore è intervenuto di nuovo. Con l’art. 1, comma 1084, della legge 145/2018 (bilancio 2019) ha precisato che la modifica del 2017 aveva natura di interpretazione autentica, quindi retroattiva.
A quel punto la Cassazione (ordinanza n. 23549/2019) ha sollevato questione di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158/2020, ha però respinto i dubbi, confermando la legittimità della normativa.
Le conseguenze per imposta di registro e imposte dirette
Oggi il quadro è consolidato. In materia di imposta di registro, la cessione di un edificio da demolire non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile. Vale anche per le imposte dirette: ai fini IRPEF, se il venditore cede un fabbricato, l’eventuale plusvalenza non rientra tra quelle da cessione di terreni edificabili previste dall’art. 67, lett. b) del TUIR.
L’impostazione è coerente anche con quanto l’Agenzia delle Entrate ha chiarito in materia di IVA (risposta a interrogazione parlamentare n. 5-03220/2014) e con la circolare 23/2020, dove si afferma che la pattuizione delle parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non muta la natura dell’oggetto ceduto. Resta un edificio, non un terreno con potenzialità edificatoria.
La posizione dell’agenzia delle entrate dopo il 2020
Con la risposta a interpello n. 331 pubblicata nel 2025, l’Agenzia ha ribadito l’orientamento. Il caso riguardava quattro sorelle comproprietarie di un immobile ereditato, che intendevano venderlo a un soggetto che avrebbe demolito il fabbricato per costruirne uno nuovo. Le istanti chiedevano se la vendita potesse essere riqualificata come cessione di area edificabile e se fosse possibile optare per il regime di rideterminazione del valore.
L’Agenzia ha risposto negativamente. L’eventuale plusvalenza non rientra tra quelle derivanti dalla cessione di terreni edificabili. Il fabbricato da demolire non può essere rivalutato perché non è un terreno. L’interpretazione consolida l’orientamento assunto dopo le sentenze della Cassazione e il mutato quadro normativo.
Implicazioni pratiche per contribuenti e professionisti
Chi vende un vecchio edificio può stare più tranquillo. Anche se l’acquirente ha già in tasca il permesso di costruire per demolire e ricostruire, la natura dell’atto non cambia. Si tratta di cessione di fabbricato, con il regime fiscale che ne consegue.
Nella prassi professionale si osserva però che occorre comunque prestare attenzione alla redazione dell’atto. Il contratto deve descrivere correttamente l’immobile ceduto, identificarlo catastalmente come fabbricato, indicare la sua destinazione d’uso. Meglio evitare formulazioni ambigue che possano far pensare a una cessione di area.
Se poi le parti hanno davvero sottoscritto accordi preliminari che evidenziano la valorizzazione della capacità edificatoria del suolo più che del fabbricato esistente, il quadro si complica. Ma anche in questi casi, la giurisprudenza ormai consolidata tende a tutelare il contribuente, guardando alla realtà oggettiva del bene al momento della vendita.
Aspetti spesso trascurati nella casistica comune
Un profilo critico riguarda la valutazione del prezzo. Se il corrispettivo pattuito è palesemente superiore al valore di mercato del fabbricato esistente e si allinea invece al valore dell’area edificabile, l’Ufficio potrebbe comunque tentare contestazioni. Non sulla riqualificazione dell’atto (ormai preclusa), ma magari sul fronte della congruità del prezzo dichiarato rispetto ai valori OMI o su altri aspetti.
Un altro elemento da considerare è la tempistica. Se la demolizione avviene immediatamente dopo il rogito, e se l’acquirente aveva già ottenuto i permessi prima ancora di acquistare (con il consenso del venditore che aveva magari avviato lui stesso l’iter), la sequenza degli eventi può far sorgere dubbi interpretativi. Ma la giurisprudenza resta ferma: la natura del bene si valuta al momento dell’atto notarile.
Riflessioni conclusive sul quadro giuridico attuale
Il principio affermato dalla giurisprudenza e recepito dalla prassi amministrativa appare ormai stabile. Un fabbricato, anche se vetusto e destinato all’abbattimento, resta tale ai fini fiscali fino al momento della sua effettiva demolizione. La successiva trasformazione dell’area è un fatto che riguarda l’acquirente, non il venditore.
Si tratta di una applicazione rigorosa del principio per cui la tassazione deve fondarsi sulla situazione giuridica oggettiva al momento dell’atto, senza indulgere a presunzioni su intenzioni future o su elementi soggettivi delle parti. L’edificio esiste, è identificato catastalmente, occupa un suolo. Fino a quando non viene abbattuto, il terreno sottostante non torna ad essere un’area libera con potenzialità edificatoria autonoma.
Per i professionisti che assistono i contribuenti in operazioni di questo tipo, l’indicazione operativa è chiara: curare la corretta qualificazione dell’atto, descrivere puntualmente il fabbricato ceduto, documentare lo stato di fatto al momento della vendita. E, se necessario, richiamare nel contratto la giurisprudenza consolidata e le modifiche legislative del 2018, per prevenire possibili contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria.