La Suprema Corte cambia le carte in tavola con l’ordinanza 25863 del 22 settembre 2025. Donare o costituire il diritto di usufrutto prima casa a favore dei propri genitori o di altri soggetti, anche prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto agevolato, non determina più la perdita dei benefici fiscali. A una condizione però: che il proprietario conservi la nuda proprietà dell’immobile.
La decisione dei giudici di legittimità ribalta un orientamento che sembrava consolidato, quello sostenuto dall’Agenzia delle Entrate attraverso diverse risposte a interpello. E apre scenari nuovi per chi ha acquistato casa con le agevolazioni e si trova nella necessità – spesso per motivi familiari o di assistenza – di concedere l’uso dell’abitazione a terzi senza vendere o donare l’intero immobile.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Costituire l’usufrutto prima casa non comporta più la decadenza dalle agevolazioni fiscali se il proprietario mantiene la nuda proprietà (Cass. ord. 25863/2025).
- L’Agenzia delle Entrate sostiene l’opposto, considerando il trasferimento dell’usufrutto come causa di decadenza parziale.
- La Cassazione distingue: “trasferire la proprietà” e “costituire diritti reali minori” (usufrutto) sono situazioni giuridiche diverse ai fini della decadenza.
- Permane incertezza operativa: il Fisco può comunque contestare la decadenza, generando possibili contenziosi.
- È prudente informare i clienti sul rischio e suggerire interpello preventivo quando si pianificano operazioni similari.
Quando si perdono i benefici fiscali
Occorre partire dalla disciplina prevista dal comma 4 della Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa allegata al DPR 131/1986. Questa norma, che regola le agevolazioni prima casa, commina la decadenza dai benefici in due situazioni specifiche.
La prima riguarda le false dichiarazioni rese in sede di acquisto (il cosiddetto mendacio). La seconda riguarda invece “il trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici” prima che siano trascorsi cinque anni dalla data di acquisto.
In sostanza: chi vende o dona l’immobile agevolato prima dei cinque anni perde le agevolazioni. Deve quindi corrispondere l’imposta di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, più la sanzione del 30 per cento e gli interessi.
C’è però una via d’uscita. La decadenza può essere evitata se il contribuente, entro un anno dall’alienazione, acquista un altro immobile da destinare a propria abitazione principale. Una sorta di clausola di salvaguardia che consente di mantenere i vantaggi fiscali a chi cambia casa per necessità.
Il caso esaminato dalla Corte
Nel caso specifico, un contribuente aveva acquistato un’abitazione usufruendo delle agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della prima casa. Dopo poco più di un anno dall’acquisto – quindi ben prima del termine quinquennale – aveva costituito il diritto di usufrutto sull’immobile a favore di terzi, mantenendo per sé la nuda proprietà.
L’Agenzia delle Entrate aveva considerato questa operazione come un “trasferimento” rilevante ai fini della decadenza. Aveva quindi notificato un avviso di liquidazione, richiedendo il pagamento delle imposte in misura ordinaria, oltre a sanzioni e interessi. La motivazione? La costituzione dell’usufrutto infraquinquennale integrerebbe il presupposto della decadenza previsto dalla normativa.
Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo davanti alle Commissioni tributarie. Sia il giudice di primo grado che la Commissione Tributaria Regionale gli hanno dato ragione. L’Amministrazione finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla propria interpretazione della norma.
La posizione del Fisco sull’usufrutto
Bisogna dire che la tesi dell’Agenzia delle Entrate non era isolata. Già con la risoluzione n. 213 del 2007, l’Amministrazione aveva affermato che l’alienazione della sola nuda proprietà determina la decadenza limitatamente a quel diritto. Più di recente, con la risposta a interpello n. 441 del 30 agosto 2022, aveva chiarito che la costituzione del diritto di usufrutto a tempo determinato sull’immobile oggetto di agevolazione prima del decorso dei cinque anni produce la decadenza parziale dal beneficio.
La ratio di questa interpretazione poggia su un ragionamento: se la norma parla di “trasferimento” degli immobili acquistati con i benefici, questo termine va inteso in senso ampio. Secondo il Fisco, il trasferimento non riguarda solo la piena proprietà, ma anche i diritti reali minori come l’usufrutto o la nuda proprietà.
Del resto – argomentava l’Agenzia – l’articolo 1 della Tariffa equipara espressamente gli “atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili” agli “atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento”. Una formulazione che sembrerebbe estendere il concetto di trasferimento anche alla costituzione di diritti come l’usufrutto.
Questa posizione era stata confermata anche dalla risposta n. 192 del 4 ottobre 2024, nella quale l’Agenzia aveva precisato che, per evitare la decadenza in caso di vendita infraquinquennale, non basta riacquistare l’usufrutto di un altro immobile. È necessario acquistare la piena proprietà di una nuova abitazione principale.
La decisione della Cassazione sull’usufrutto prima casa
La Suprema Corte ha però seguito un’altra strada. Con l’ordinanza 25863/2025, i giudici di legittimità hanno enunciato un principio di diritto piuttosto netto: “il quarto comma della nota II bis dell’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al DPR 26 aprile 1986 n. 131, stabilisce la decadenza solo in caso di trasferimento degli immobili acquistati con i benefici, e non anche in caso di costituzione del diritto di usufrutto sugli immobili stessi in favore di terzi”.
In pratica, la Cassazione ha stabilito che costituire un usufrutto non equivale a trasferire la proprietà. Il ragionamento della Corte si fonda su una considerazione centrale: dopo la costituzione dell’usufrutto, il contribuente resta titolare della nuda proprietà. E la nuda proprietà è un diritto per il cui acquisto può spettare l’agevolazione prima casa.
Quest’ultima affermazione è corretta. La Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa prevede espressamente che le agevolazioni prima casa possono competere anche per l’acquisto del solo diritto di nuda proprietà su un immobile abitativo, purché non sia classificato nelle categorie catastali di lusso (A/1, A/8 o A/9).
Secondo la Cassazione, quindi, se il contribuente mantiene un diritto che di per sé potrebbe essere acquistato con l’agevolazione, non può considerarsi decaduto dai benefici. Il trasferimento rilevante ai fini della decadenza sarebbe solo quello che priva completamente il contribuente della titolarità dell’immobile.
I profili critici dell’interpretazione
La decisione, pur favorevole al contribuente, solleva alcuni dubbi interpretativi. Il primo riguarda l’effettiva portata del termine “trasferimento” utilizzato dalla norma sulla decadenza.
La Cassazione non si è soffermata più di tanto sull’interpretazione letterale della disposizione. Si è limitata ad affermare che solo un trasferimento della proprietà – e non quello di diritti reali minori – può integrare la decadenza. Ma questa lettura potrebbe non essere così pacifica.
Come già ricordato, l’incipit dell’articolo 1 della Tariffa assimila gli atti traslativi della proprietà agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento. Questa formulazione suggerirebbe un’interpretazione più ampia del concetto di trasferimento, tale da includere anche la costituzione dell’usufrutto.
C’è poi un’altra questione, forse ancora più delicata. Il fatto che, dopo la costituzione dell’usufrutto, il contribuente resti titolare di un diritto per il quale è ammessa l’applicazione del beneficio (la nuda proprietà) non sembra sufficiente, di per sé, a escludere la decadenza per alienazione infraquinquennale.
Si potrebbe infatti obiettare che, seguendo questa logica, anche l’alienazione di una sola quota della prima casa non dovrebbe comportare la decadenza. Del resto, il contribuente resterebbe titolare di un’altra quota dell’immobile, e l’accesso al beneficio è ammesso anche solo per una quota di proprietà.
Ma questo ragionamento contrasta con quanto affermato dalla stessa Cassazione nell’ordinanza n. 24658 del 2018, dove si è ritenuto che anche l’alienazione parziale della prima casa integri il presupposto della decadenza.
Esempi pratici di applicazione
Per comprendere meglio le implicazioni pratiche della decisione, può essere utile considerare alcuni casi concreti.
- Primo caso: Mario acquista un appartamento nel gennaio 2023 con le agevolazioni prima casa. Nel marzo 2024 costituisce il diritto di usufrutto a favore dei propri genitori anziani, conservando la nuda proprietà. Secondo la Cassazione, Mario non decade dalle agevolazioni, anche se non acquista un’altra abitazione principale entro un anno.
- Secondo caso: Giulia acquista una casa nel 2022 con i benefici fiscali. Nel 2025 vende la nuda proprietà a un investitore, conservando per sé l’usufrutto vitalizia. Secondo la posizione dell’Agenzia delle Entrate (risoluzione 213/2007), Giulia decade parzialmente dall’agevolazione, nella misura corrispondente al valore della nuda proprietà trasferita.
- Terzo caso: Francesco acquista un immobile agevolato nel 2023 e lo vende nel 2026, quindi prima dei cinque anni. Entro un anno dalla vendita acquista solo l’usufrutto di un altro appartamento. Secondo l’Agenzia (risposta 192/2024), Francesco decade comunque dall’agevolazione, perché il riacquisto dell’usufrutto non integra la condizione di salvaguardia prevista dalla norma.
Come si vede, la casistica è complessa e gli scenari possibili sono molteplici. La decisione della Cassazione interviene solo su una fattispecie specifica – la costituzione dell’usufrutto mantenendo la nuda proprietà – ma lascia aperti interrogativi su altre ipotesi.
Il contrasto tra giudici e amministrazione
La divergenza tra l’orientamento della Cassazione e quello dell’Agenzia delle Entrate è evidente. E questo crea una situazione di incertezza per i contribuenti e per gli operatori del settore.
Da un lato, i giudici di legittimità affermano che la costituzione dell’usufrutto non rientra tra i casi di decadenza. Dall’altro, l’Amministrazione finanziaria continua a sostenere – attraverso risposte a interpello e circolari – che anche la cessione di diritti reali minori può determinare la perdita parziale dei benefici.
Nella prassi operativa, questa situazione può generare contenziosi. Un contribuente che costituisce l’usufrutto sull’immobile agevolato potrebbe ricevere comunque un avviso di liquidazione dall’Agenzia. A quel punto, dovrà impugnare l’atto e sostenere un giudizio, con tutti i costi e i tempi che questo comporta.
È opportuno notare che le decisioni della Cassazione non sono vincolanti per l’Amministrazione finanziaria, se non nei confronti delle parti del giudizio. L’Agenzia potrebbe quindi continuare ad applicare la propria interpretazione, almeno fino a quando non intervenga un chiarimento normativo o un mutamento del proprio orientamento.
Le questioni ancora aperte
Restano sul tavolo diversi interrogativi che la decisione della Cassazione non ha risolto. Il primo riguarda la sorte di chi ha già subito la revoca delle agevolazioni per aver costituito l’usufrutto. Questi contribuenti potrebbero valutare l’opportunità di proporre istanza di rimborso delle maggiori imposte versate, facendo leva sul principio affermato dalla Suprema Corte.
Un secondo aspetto riguarda la coerenza del sistema. Se la costituzione dell’usufrutto non causa decadenza, cosa accade in caso di cessione della nuda proprietà? L’Agenzia ha sempre sostenuto che anche in questo caso si verifica una decadenza parziale. Ma se il criterio è che il contribuente deve conservare un diritto per cui spetta l’agevolazione, allora anche chi cede la nuda proprietà conservando l’usufrutto dovrebbe essere tutelato.
C’è poi il tema del riacquisto. La norma prevede che, per evitare la decadenza, occorre riacquistare “altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. Questo riacquisto deve riguardare la piena proprietà o basta l’usufrutto? L’Agenzia sostiene la prima tesi, ma la coerenza con il principio enunciato dalla Cassazione richiederebbe forse di ammettere anche l’acquisto dell’usufrutto come condizione di salvaguardia.
Riflessioni sulla ratio della norma
Per provare a sciogliere questi nodi interpretativi, può essere utile interrogarsi sulla finalità della disciplina. Le agevolazioni prima casa mirano a favorire l’acquisto dell’abitazione principale. La decadenza per alienazione infraquinquennale serve a evitare che il beneficio venga sfruttato per operazioni speculative.
In quest’ottica, la costituzione dell’usufrutto potrebbe non apparire particolarmente problematica. Chi costituisce l’usufrutto a favore dei genitori, ad esempio, lo fa generalmente per motivi di assistenza familiare, non per speculazione. E conserva comunque un interesse significativo sull’immobile, sotto forma di nuda proprietà.
D’altra parte, la norma sulla decadenza non distingue tra trasferimenti speculativi e trasferimenti giustificati da ragioni familiari. Applica una regola rigida: chi aliena l’immobile entro cinque anni perde i benefici, salvo riacquisto tempestivo di altra abitazione principale.
Una lettura rigorosa della disposizione potrebbe quindi portare a ritenere che anche la cessione di diritti reali minori integri il presupposto della decadenza. Ma la Cassazione ha privilegiato un’interpretazione più favorevole al contribuente, ancorata al dato letterale del mantenimento di un diritto (la nuda proprietà) per cui spetta l’agevolazione.
Possibili sviluppi futuri
È probabile che la questione non si chiuda con questa ordinanza. L’Agenzia delle Entrate potrebbe valutare se conformarsi all’orientamento della Cassazione oppure insistere sulla propria interpretazione, in attesa di ulteriori pronunce o di un intervento normativo chiarificatore.
Dal canto loro, i contribuenti che si trovano in situazioni analoghe potrebbero essere tentati di costituire l’usufrutto senza preoccuparsi della decadenza, facendo affidamento sul principio enunciato dalla Suprema Corte. Ma occorre cautela: l’Agenzia potrebbe comunque contestare la decadenza, costringendo il contribuente a difendersi in giudizio.
Sarebbe auspicabile, nella pratica professionale, un chiarimento normativo che definisca con precisione quali atti determinano la decadenza e quali no. Una modifica legislativa potrebbe, ad esempio, prevedere espressamente che la costituzione dell’usufrutto non causa decadenza, mentre l’alienazione della nuda proprietà sì (o viceversa, a seconda della scelta di politica fiscale).
In assenza di un intervento del legislatore, la questione continuerà probabilmente a essere dibattuta nelle aule di giustizia. E questo, inevitabilmente, genera incertezza e costi per tutti i soggetti coinvolti.
Quale strategia per i professionisti
I professionisti del settore – notai, commercialisti, consulenti fiscali – si trovano ora di fronte a un dilemma operativo. Devono informare i clienti della posizione della Cassazione, ma al tempo stesso avvertirli del rischio che l’Agenzia contesti ugualmente la decadenza.
Una possibile strategia potrebbe essere quella di suggerire al contribuente di presentare un’istanza di interpello preventivo all’Agenzia, esponendo il caso concreto e chiedendo se la costituzione dell’usufrutto determini o meno la decadenza. In questo modo, si otterrebbe una risposta ufficiale dell’Amministrazione sul caso specifico, riducendo il margine di incertezza.
In alternativa, si potrebbe valutare di attendere ulteriori pronunce giurisprudenziali o chiarimenti amministrativi, prima di procedere con operazioni che coinvolgono la costituzione di usufrutto su immobili agevolati.
Quello che appare certo è che la questione è tutt’altro che risolta. La decisione della Cassazione ha aperto uno spiraglio favorevole ai contribuenti, ma il contrasto con la posizione dell’Agenzia delle Entrate rimane. E finché questo contrasto persiste, la prudenza resta la migliore consigliera.