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Società estinta e ricorso in Cassazione: quando l’impugnazione diventa impossibile

21 Agosto, 2025

La Suprema Corte ha nuovamente ribadito che quando una società estinta risulta cancellata dal registro delle imprese prima di proporre ricorso per Cassazione, quest’ultimo si trasforma in un atto giuridicamente inesistente. L’ordinanza n. 18149 del 3 luglio 2025 offre spunti di riflessione particolarmente significativi sulla rappresentanza processuale delle entità societarie estinte, tema che nella prassi quotidiana genera frequenti criticità interpretative.
Il caso riguardava una società in accomandita semplice che aveva proposto ricorso contro un accertamento Iva e Irap relativo al 2006. La particolarità: l’ente era stato cancellato dal registro già nel 2011, ovvero ben prima della proposizione del gravame. La vicenda si complicava ulteriormente per il decesso del difensore della società, circostanza che aveva portato la cancelleria a informare i soci dell’estinta società della fissazione dell’udienza.

🕒 Cosa sapere in 1 minuto

  • La Cassazione ha stabilito che il ricorso promosso da una società ormai estinta è radicalmente inammissibile: la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata perdita della capacità processuale.
  • Il mandato al difensore non può più operare, neppure “in ultrattività”: nessuna azione è valida per conto della società cessata.
  • La norma sul differimento degli effetti dell’estinzione (art. 28, c. 4, D.Lgs. 175/2014) si applica solo alle cancellazioni successive al 13 dicembre 2014.
  • Non rileva la costituzione in giudizio dei soci: il difetto di rappresentanza rimane insanabile e comporta l’inammissibilità del ricorso.

Il principio consolidato: estinzione immediata della società cancellata

I magistrati della Cassazione si sono soffermati su quello che ormai costituisce un principio di diritto pacifico: la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società. Questo comporta inevitabilmente la cessazione del mandato del legale rappresentante e, di riflesso, l’impossibilità per chiunque di agire in nome di un’entità che ha cessato di esistere.

La vicenda trae fondamento dal ricorso presentato dalla Sas avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna in materia di Iva e Irap per l’anno d’imposta 2006. Tuttavia, come evidenziato dalla Corte, la società ricorrente era stata cancellata dal registro delle imprese in data 29 novembre 2011, ovvero nettamente prima dell’introduzione del procedimento di cassazione. A ciò si aggiungeva il decesso del difensore della società, circostanza che aveva portato la Cancelleria a informare i soci dell’estinta Sas della fissazione dell’udienza camerale, e uno dei soci si costituiva in giudizio.

Nella prassi professionale si osserva frequentemente che questo scenario crea una situazione di stallo procedurale. Il liquidatore o l’ultimo amministratore non possiedono più i poteri per agire, mentre i soci si trovano in una posizione giuridicamente incerta. La Corte ha chiarito che viene meno non solo l’ente stesso, ma anche la possibilità per il difensore di agire in suo nome, anche in virtù di un mandato precedentemente conferito.

Inapplicabilità dell’ultrattività del mandato difensivo

Un aspetto particolarmente tecnico affrontato dalla pronuncia riguarda l’inapplicabilità del principio dell’ultrattività del mandato conferito al difensore nei precedenti gradi di giudizio. La Cassazione ha escluso categoricamente questa possibilità, chiarendo che l’operatività di tale principio presuppone necessariamente che si agisca per nome di un soggetto esistente e capace di stare in giudizio.

Nel caso di specie, invece, la controversia riguardava una persona giuridica che aveva cessato di esistere. Inoltre, il principio dell’ultrattività non opera con riferimento al ricorso per cassazione, per il quale è richiesta una procura speciale. Quest’atto necessita (per la sua peculiarità) di una procura speciale che deve provenire dal soggetto legittimato pro tempore – requisito evidentemente impossibile da soddisfare quando l’ente rappresentato non esiste più.

La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo estensivo il principio dell’ultrattività, ma nel contesto delle società estinte tale orientamento trova un limite invalicabile nella mancanza del soggetto rappresentato. Non può essere invocata l’ultrattività del mandato che sia stato (per mera ipotesi) conferito al difensore per i precedenti gradi di giudizio quando il mandante ha cessato di esistere.

Limiti temporali della normativa del 2014 e irretroattività

Un elemento di particolare interesse emerso dalla pronuncia riguarda l’applicazione dell’articolo 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175/2014, norma che ha introdotto il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione. La Corte suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la propria decisione su plurimi principi consolidati, ma ha precisato un aspetto fondamentale: tale norma non trova applicazione nel caso di specie.

Il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società, avendo natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva. Si applica esclusivamente quando la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia stata presentata successivamente al 13 dicembre 2014.

Nella prassi applicativa questo rappresenta un aspetto spesso trascurato dai professionisti. Per tutte le società cancellate dal registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014 non sussistono incertezze interpretative sulla radicale invalidità dell’atto impositivo notificato alla società estinta in persona del suo ex liquidatore, sull’assenza di qualsivoglia potere di rappresentanza della medesima in capo all’ex liquidatore e sull’inammissibilità del ricorso da costui eventualmente proposto.

Inefficacia della costituzione in giudizio dei soci

La Cassazione ha precisato che risulta del tutto irrilevante la costituzione in giudizio di uno dei soci. Tale attività non è sufficiente a sanare l’originario difetto di rappresentanza in capo al legale rappresentante della società estinta. La costituzione in giudizio non può retroattivamente conferire legittimazione a un atto compiuto da un soggetto privo dei relativi poteri al momento della proposizione.

Il difetto originario di legittimazione conduce inevitabilmente alla conseguenza dell’inammissibilità del ricorso. Come spesso accade nella casistica comune, i soci tentano di “salvare” il ricorso costituendosi spontaneamente, ma questa strategia processuale si rivela inefficace. La Corte ha escluso nel caso specifico l’applicabilità dell’articolo 28, comma 4, del Dlgs n. 175/2014, in quanto la società era stata cancellata nel 2011, ben prima dell’entrata in vigore della norma.

Implicazioni processuali nel contenzioso tributario

La pronuncia in commento si inserisce in un quadro giurisprudenziale consolidato che evidenzia la rigorosa applicazione delle norme processuali in materia di capacità processuale. Nell’esperienza applicativa, questo orientamento comporta conseguenze significative per i professionisti che si trovano a gestire contenziosi riguardanti società estinte.

Si consideri che la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore. Di conseguenza, eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

È opportuno notare che tale vizio risulta insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, compreso quello di legittimità. Nella pratica professionale si osserva che questo aspetto crea spesso situazioni di incertezza procedurale, specialmente quando la cancellazione avviene durante la pendenza del giudizio.

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