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Rivalsa IVA da accertamento: quando e come trasferire il maggior tributo sui clienti

8 Luglio, 2025

Quando l’Agenzia delle Entrate rileva irregolarità nell’applicazione dell’IVA, il contribuente si trova spesso a dover versare somme significative. La normativa prevede però un meccanismo di tutela: la rivalsa per la maggiore IVA accertata. Questo strumento consente di trasferire l’onere fiscale sui cessionari o committenti, neutralizzando l’impatto economico dell’accertamento. L’art. 60, comma 7, del DPR n. 633/1972 disciplina questo diritto, ma la sua applicazione pratica presenta diverse sfumature che meritano un’analisi approfondita. Non sempre, infatti, è possibile o conveniente esercitare la rivalsa, e la casistica applicativa mostra scenari molto diversi tra loro.

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Presupposti normativi per l’esercizio della rivalsa

Il diritto alla rivalsa non è automatico. La norma stabilisce che il contribuente può rivalersi “soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”. Questo significa che l’accertamento deve essere definito – attraverso adesione, acquiescenza o sentenza passata in giudicato – e le somme devono essere state effettivamente versate all’Erario.

La Circolare 17 dicembre 2013, n. 35/E ha chiarito aspetti fondamentali: la rivalsa presuppone la riferibilità dell’imposta accertata a specifiche operazioni e l’identificabilità del cessionario o committente. Questi requisiti escludono automaticamente l’applicazione dell’istituto in caso di accertamenti induttivi o quando si tratta di operazioni al dettaglio con clienti non identificabili.

Un aspetto spesso trascurato riguarda la tempistica. La rivalsa non può essere esercitata per somme versate durante il giudizio a titolo provvisorio, ma solo dopo la definitività dell’atto. Come ha precisato l’Agenzia delle Entrate, le somme pagate in pendenza di contenzioso non possono dar luogo a rivalsa fino alla chiusura definitiva del procedimento.

Modalità operative e adempimenti documentali

Dal punto di vista operativo, l’esercizio della rivalsa comporta l’emissione di specifici documenti fiscali. Il cedente deve rilasciare una fattura elettronica o una nota di variazione in aumento, con indicazione degli estremi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa.

La prassi ha evidenziato una distinzione importante: se l’operazione originaria era stata regolarmente fatturata ma con aliquota errata, è sufficiente una nota di variazione di sola IVA. Nel caso di operazioni mai fatturate, invece, occorre emettere documento completo con imponibile e imposta.

Il documento deve essere annotato nel registro delle vendite “solo per memoria”, poiché l’imposta recuperata non partecipa alla liquidazione periodica né alla dichiarazione annuale. È stata infatti già versata all’Erario attraverso l’accertamento.

Dal lato del cessionario, il diritto alla detrazione è subordinato al pagamento effettivo dell’IVA addebitata in rivalsa e all’annotazione del documento nel registro degli acquisti. La detrazione può essere esercitata al più tardi con la dichiarazione del secondo anno successivo al pagamento.

Cinque scenari operativi nella prassi applicativa

L’esperienza professionale mostra che possono verificarsi almeno cinque situazioni distinte, ciascuna con implicazioni diverse per contribuente e cessionari.

Scenario primo: rivalsa accettata e pagata

Quando l’accertamento riguarda operazioni specifiche e identificabili, il cedente può esercitare la rivalsa emettendo nota di variazione. Se il cessionario accetta e paga, la situazione si riequilibra: il cedente recupera quanto versato all’Erario, il cessionario detrae l’IVA pagata. L’operazione diventa fiscalmente neutra per entrambi i soggetti, pur rimanendo l’esposizione alle sanzioni per omessa fatturazione.

Scenario secondo: rivalsa rifiutata dal cessionario

Non sempre i clienti accettano di corrispondere l’IVA addebitata in rivalsa. Talvolta per timore di future contestazioni sulla legittimità della detrazione, altre volte per semplice opportunità economica. In questi casi il cedente rimane esposto al costo fiscale, salva la possibilità di azioni legali per il recupero del credito.

La giurisprudenza civile ha tuttavia chiarito che il diritto alla rivalsa, pur previsto dalla legge fiscale, non sempre trova automatico riconoscimento nei rapporti privatistici tra le parti. Molto dipende dalle clausole contrattuali originarie e dalla dimostrabilità del danno subito.

Scenario terzo: rinuncia volontaria alla rivalsa

Alcune imprese preferiscono non esercitare la rivalsa per preservare i rapporti commerciali con la clientela. È una scelta gestionale legittima, che comporta però l’assunzione definitiva del costo fiscale. L’imposta pagata in sede di accertamento non è deducibile ai fini IRES secondo l’art. 99 del TUIR, aggravando l’impatto economico.

Scenario quarto: impossibilità di rivalsa per accertamento induttivo

Quando l’Ufficio procede con metodo induttivo, spesso non è possibile collegare la maggiore imposta a specifiche operazioni. In questi casi la rivalsa è preclusa e il contribuente deve necessariamente sopportare l’onere fiscale.

La Corte di Giustizia UE ha precisato che in presenza di evasione totale – nessuna fattura emessa, nessuna dichiarazione dei ricavi – gli importi accertati devono considerarsi già comprensivi di IVA, salvo che il diritto nazionale preveda meccanismi di successiva rivalsa e detrazione. Una precisazione che complica ulteriormente la gestione di questi casi.

Scenario quinto: accordi artificiosi tra le parti

Nella prassi si registrano talvolta accordi tra cedente e cessionari per “spalmare” forfetariamente la maggiore IVA accertata, anche quando l’accertamento non è specificamente riferibile alle loro operazioni. Si tratta di operazioni rischiose che possono configurare indebita detrazione o, nei casi più gravi, dichiarazione fraudolenta.

L’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito che la rivalsa presuppone la riferibilità oggettiva dell’accertamento a determinate operazioni. Accordi meramente convenzionali tra le parti non soddisfano questo requisito e espongono a significativi rischi sanzionatori.

Profili sanzionatori e aspetti critici

Un aspetto delicato riguarda l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997 ai cessionari che hanno acquistato senza fattura. La sanzione (70% dell’imposta, minimo 250 euro) si applica indipendentemente dall’esercizio della rivalsa da parte del cedente.

Questo genera talvolta situazioni conflittuali: il cessionario può essere tentato di negare l’effettuazione dell’operazione per evitare la sanzione, rendendo problematico l’esercizio della rivalsa. La mancanza di prove oggettive dell’operazione complica ulteriormente la situazione.

Aspetti temporali e prescrizione

La normativa non prevede termini specifici per l’esercizio della rivalsa. In assenza di disposizioni espresse, dovrebbe applicarsi il termine prescrizionale ordinario di dieci anni, decorrente dal pagamento dell’imposta accertata.

Per il cessionario, invece, il diritto alla detrazione è sottoposto al termine biennale previsto dall’art. 19 del DPR 633/1972, che decorre dal momento del pagamento dell’IVA addebitata in rivalsa.

Considerazioni operative per la gestione della rivalsa

L’istituto della rivalsa da accertamento rappresenta uno strumento importante per la tutela del contribuente, ma la sua applicazione richiede valutazioni attente case by case. Non sempre l’esercizio della rivalsa è possibile o conveniente, e molto dipende dalle circostanze specifiche dell’accertamento e dai rapporti con la clientela.

Una gestione ottimale richiede la verifica preliminare della riferibilità dell’accertamento a operazioni specifiche, la valutazione della disponibilità dei cessionari a corrispondere l’IVA, l’analisi dei rischi sanzionatori e l’opportunità di preservare i rapporti commerciali. Solo un approccio sistematico può consentire di massimizzare i benefici dell’istituto minimizzando i rischi operativi.

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