Il confronto tra Amministrazione finanziaria e giurisprudenza di legittimità raggiunge un nuovo capitolo decisivo con la sentenza n. 19700 della Cassazione, depositata il 16 luglio 2025, in merito alla Rinuncia crediti soci. La Suprema Corte consolida un orientamento che – dopo anni di contrapposizioni dottrinali – smantella definitivamente la teoria dell’incasso giuridico per i crediti correlati a redditi tassati per cassa. Una svolta che contrasta frontalmente con l’ultima risposta a interpello n. 182/2025 dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata appena una settimana prima.
Rinuncia crediti soci: la fattispecie esaminata dalla Suprema Corte
Nel caso specifico oggetto di giudizio, si delineava uno scenario operativo articolato. Un socio persona fisica aveva preliminarmente acquisito un credito verso la società partecipata – curiosamente, a un prezzo significativamente inferiore rispetto al valore nominale – per poi procedere alla rinuncia integrale dello stesso. La strategia, seppur non completamente chiarita dalla lettura degli atti processuali, evidenziava quella tipica strutturazione che spesso emerge nella prassi professionale quando si cerca di ottimizzare la gestione fiscale delle rinunce creditizie.
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L’aspetto procedurale risulta particolarmente interessante. La società aveva prudenzialmente applicato la ritenuta del 26%, considerando gli interessi come “giuridicamente” incassati, ma successivamente aveva richiesto il rimborso delle somme versate, sostenendo l’insussistenza del presupposto impositivo.
Evoluzione normativa: il discrimine temporale del 2015
La distinzione cronologica emerge come elemento centrale nell’analisi della Suprema Corte. Per le rinunce realizzate fino al periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015, l’articolo 88, comma 4, del TUIR prevedeva espressamente l’irrilevanza fiscale in capo alla società beneficiaria. Parallelamente, per il socio rinunciante si determinava un incremento del valore della partecipazione.
Questa asimmetria di trattamento – la società deduceva per competenza mentre il socio tassava per cassa – generava quello che tecnicamente viene definito “salto d’imposta”. Una problematica particolarmente evidente con riferimento agli interessi su finanziamenti erogati dai soci e ai compensi spettanti agli amministratori.
L’Amministrazione finanziaria aveva sviluppato, per rimediare a tale distorsione, la teoria dell’incasso giuridico. Una fictio iuris che equiparava la rinuncia all’incasso effettivo, sottoponendo l’ammontare a prelievo fiscale mediante ritenuta d’imposta. Il fondamento di questa tesi risaliva alla Circolare Ministeriale n. 73/94 e aveva trovato consolidamento nella giurisprudenza di legittimità attraverso numerose pronunce (Cassazione nn. 26842/2014, 1335/2016, 2057/2020, 12222 e 12223/2022, 22609/2022).
Il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. 147/2015
Le modifiche apportate dal D.Lgs. 147/2015, operative dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 7 ottobre 2015, hanno ridisegnato completamente il quadro normativo. L’articolo 88, comma 4-bis, del TUIR stabilisce che la rinuncia dei soci ai crediti costituisce sopravvenienza attiva per la parte eccedente il relativo valore fiscale.
Correlativa disposizione prevede che il socio comunichi alla partecipata il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia. Sul versante del socio, gli articoli 94, comma 6, e 101, comma 7, del TUIR prevedono che l’ammontare della rinuncia si aggiunga al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, ma esclusivamente nei limiti del valore fiscale del credito rinunciato.
Il principio di diritto stabilito dalla sentenza n. 16595/2023
La pronuncia della Cassazione n. 16595/2023, testualmente ripresa nella sentenza in commento, rappresenta il precedente fondamentale per la nuova interpretazione. Nel regime attuale, la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile mentre il socio incrementa il costo della partecipazione solo entro i limiti del valore fiscale del credito.
La conseguenza più rilevante riguarda proprio i crediti con valore fiscale pari a zero – tipicamente quelli legati a redditi tassati per cassa. La rinuncia di tali crediti non incrementa il valore fiscale della partecipazione, contrariamente a quanto sostenuto nel precedente regime dall’Agenzia delle Entrate e dalla stessa Suprema Corte.
La contropartita di questo trattamento consiste nella tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata. Il legislatore ha quindi risolto le asimmetrie che la regola dell’incasso giuridico intendeva sanare, eliminando alla radice le ragioni che ne giustificavano l’applicazione.
Il consolidamento giurisprudenziale e il contrasto con l’Agenzia
La sentenza n. 19700/2025 conferma un orientamento che trova ulteriore rafforzamento nell’ordinanza della Cassazione n. 14921/2025. Si delinea così un consolidamento nell’ambito della giurisprudenza di legittimità che appare definitivo nel superamento della teoria dell’incasso giuridico.
Il contrasto con l’Amministrazione finanziaria permane tuttavia su un aspetto tecnico cruciale: il diverso valore fiscale attribuito al credito rinunciato. Secondo la risposta a interpello n. 182/2025 (che conferma le precedenti nn. 124/2017 e 59/2025), nel caso di soci non imprenditori, il valore fiscale del credito corrisponde al valore nominale dello stesso. Questa impostazione comporterebbe l’esclusione da imposizione della rinuncia in capo alla società partecipata.
Profili operativi e implicazioni pratiche
L’orientamento della Cassazione produce effetti immediati sulla gestione operativa delle rinunce creditizie. Per i crediti correlati a redditi tassati per cassa (quali interessi su finanziamenti soci o compensi amministratori), il valore fiscale pari a zero elimina l’obbligo di applicazione della ritenuta ex articolo 26, comma 5, del D.P.R. 600/1973.
La società beneficiaria dovrà invece considerare l’intera sopravvenienza attiva nel proprio reddito imponibile, mentre il socio non vedrà incrementato il costo fiscale della partecipazione. Questa impostazione – secondo la Suprema Corte – garantisce il mantenimento dell’equilibrio impositivo complessivo dell’operazione.
Nella prassi applicativa, risulta fondamentale la corretta valutazione del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia. Tale elemento assume rilevanza determinante per stabilire l’entità della sopravvenienza attiva in capo alla società e l’incremento del costo della partecipazione per il socio.
Aspetti procedurali e strategie difensive
Le società che hanno applicato la ritenuta su operazioni di rinuncia effettuate dopo il 2015 possono valutare la presentazione di istanze di rimborso, richiamando i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità. Il termine quinquennale per la presentazione dell’istanza decorre dalla data del versamento.
In caso di accertamenti basati sulla teoria dell’incasso giuridico per operazioni successive al 2015, la difesa può fondarsi sul consolidato orientamento della Cassazione che ne esclude l’applicabilità. Particolare attenzione deve essere posta alla distinzione temporale tra regime ante e post 2015, elemento discriminante per l’applicazione dei diversi principi.