Il blocco governativo della riforma professionale spalanca un dibattito sulla rappresentanza. Marco Cuchel rivendica la necessità di coinvolgere davvero la base degli iscritti.
- Il Consiglio dei Ministri ha rinviato la riforma dell’ordinamento dei commercialisti, scatenando un acceso dibattito nella categoria.
- Le critiche di ANC riguardano metodo (assenza di confronto con la base) e contenuti (ritocchi marginali, non risolutivi su precarietà giovanile e sostenibilità previdenziale).
- Contestate le modalità e i tempi: una riforma in “zona elettorale” rischia di minare la legittimità e aumentare i contenziosi.
- Perplessità anche dalla Cassa previdenza: le modifiche ipotizzate avrebbero impatto negativo sugli equilibri contributivi.
- Secondo ANC, il rinvio è un’opportunità: serve coinvolgimento reale di tutta la categoria e un dialogo partecipativo per riforme solide e condivise.
La decisione del consiglio dei ministri divide gli animi
Il 5 settembre si è consumato quello che molti definiscono uno stop clamoroso. Mentre il Consiglio dei Ministri approvava senza intoppi le modifiche agli ordinamenti di avvocati e medici, la proposta di riforma ordinamento commercialisti veniva accantonata sine die. Una battuta d’arresto che ha innescato reazioni contrastanti dentro la categoria professionale.
Marco Cuchel non ha nascosto la soddisfazione. Il presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti aveva tuonato contro il progetto già nelle settimane precedenti, bollando l’iniziativa come “calata dall’alto” e priva di reale condivisione. Ora che il Governo ha fatto dietrofront, può rivendicare di aver visto giusto.
Metodo e sostanza sotto accusa
La critica di ANC colpisce due aspetti. Primo: il metodo. Secondo l’associazione, la stragrande maggioranza degli iscritti – si parla del 90% – ignorava persino l’esistenza del testo. Nessun confronto serio con gli ordini territoriali, nessuna consultazione della base. Una riforma ordinamento commercialisti scritta nelle stanze del potere senza ascoltare chi la professione la vive quotidianamente.
Secondo: i contenuti. Per Cuchel, la proposta si limitava a “ritocchi marginali” e non affrontava i veri nodi: precarietà giovanile, sostenibilità previdenziale, perdita di appeal dell’albo. Il cuore del progetto? Una modifica delle regole elettorali del Consiglio Nazionale che – nota pungente – non riguardava le altre professioni ordinistiche.
Il Consiglio Nazionale aveva invece rivendicato una “maggioranza assoluta” a sostegno della riforma. Ma ANC contesta anche questa versione: diversi ordini territoriali avevano espresso perplessità, mentre la mancata informazione della base rendeva illusoria qualsiasi valutazione di consenso reale.
Timing elettorale e questioni di legittimità
C’è poi la questione dei tempi. Il CNDCEC aveva già fissato le elezioni per il rinnovo degli organi: febbraio 2026 per i territori, aprile per il nazionale. Procedere con una riforma mentre il corpo elettorale si prepara al voto, secondo ANC, significava “alterare le regole del gioco” in corsa.
Un Consiglio a fine mandato – questa l’argomentazione – non ha l’autorevolezza per imporre modifiche strutturali. Solo organi freschi di elezione, pienamente legittimati dal voto democratico, possono dialogare con le istituzioni su basi solide.
Nell’esperienza applicativa, simili questioni di timing hanno talvolta generato contenziosi e ricorsi, minando la credibilità dell’intera architettura ordinistica.
Le criticità della Cassa previdenza
Anche Enpacl, la Cassa di previdenza dei commercialisti, aveva manifestato perplessità. Alcune disposizioni della bozza – secondo quanto emerso – avrebbero inciso negativamente sulla contribuzione, smentendo le rassicurazioni sulla sostenibilità economica del progetto.
Si consideri che gli equilibri previdenziali rappresentano uno dei capitoli più delicati per qualsiasi riforma ordinistica. Modifiche improvvise ai meccanismi contributivi possono generare squilibri a lungo termine, con ricadute sui diritti acquisiti degli iscritti.
Verso una nuova fase di confronto
Il rinvio – sostiene Cuchel – non va letto come sconfitta ma come “opportunità di ripartenza”. L’obiettivo dovrebbe essere un ordinamento che riconosca i commercialisti come “presidio di legalità e sviluppo economico”, con strumenti per rendere la professione più attrattiva e sostenibile.
L’appello finale suona come un monito al vertice del Consiglio Nazionale: “Il presidente rappresenta tutti i 120mila iscritti, non una parte soltanto”. ANC promette vigilanza e proposte costruttive, ribadendo che la categoria ha bisogno di “verità, ascolto e coesione”, non di slogan vuoti.
Come spesso accade in simili frangenti, il blocco governativo potrebbe rivelarsi un’occasione per ripensare l’intera impostazione. Una riforma organica – nella prassi professionale – richiede necessariamente condivisione, dialogo e processo partecipativo. Resta da vedere se i protagonisti sapranno cogliere questa chance o se prevarranno ancora logiche autoreferenziali.
La professione commercialistica vive da tempo una fase di trasformazione. Digitalizzazione, nuove competenze richieste dal mercato, pressioni concorrenziali crescenti. In questo scenario, modifiche ordinistiche imposte dall’alto rischiano di generare più problemi di quanti ne risolvano. Solo un approccio condiviso può garantire riforme davvero utili al rilancio della categoria.