Il credito d’imposta ZES Unica, le cui comunicazione integrative per la richiesta dal credito di imposta 2025 sono in scadenza domani, è nato senza un obbligo espresso di certificazione contabile nella norma primaria. Questo obbligo è stato inserito solo in un secondo momento, con il regolamento attuativo del 17 maggio 2024. Da lì in avanti, la certificazione del revisore diventa un vero requisito di accesso all’agevolazione, non un orpello burocratico. E chi sbaglia a gestirla rischia di perdere il beneficio o di vederlo bloccato a lungo.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Il credito d’imposta ZES Unica richiede una certificazione contabile obbligatoria ai sensi del D.M. 17 maggio 2024.
- Se l’impresa ha già il revisore legale, la certificazione può essere rilasciata solo da quel soggetto.
- Per le imprese senza revisione obbligatoria serve un revisore o una società di revisione iscritti in sezione A del Registro MEF.
- La certificazione attesta il sostenimento delle spese e la loro corrispondenza alla contabilità, non l’ammissibilità normativa.
- Gli estremi della certificazione vanno indicati nella sezione II del quadro E della comunicazione integrativa.
- Per investimenti senza fattura elettronica e per certi acconti, certificazione e documenti vanno inviati via PEC all’Agenzia.
- L’assenza o la gestione errata della certificazione può portare a decadenza dal credito o a controlli più invasivi.
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Perché la certificazione contabile è diventata obbligatoria
L’articolo 16 del D.L. 124/2023, che ha istituito il credito d’imposta per gli investimenti nella ZES Unica del Mezzogiorno, non parla di certificazione. Il salto avviene con l’articolo 7, comma 14, del D.M. 17 maggio 2024, emanato dalla Presidenza del Consiglio (Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR) di concerto con il MEF.
Il regolamento stabilisce che, per riconoscere il credito d’imposta ZES Unica, l’effettivo sostenimento delle spese agevolabili e la loro corrispondenza alla contabilità devono risultare da una certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Se l’impresa non ha l’obbligo di revisione legale, la certificazione va chiesta a un revisore legale o a una società di revisione iscritti nella sezione A del Registro MEF.
Si crea così un presidio aggiuntivo. Da un lato tutela l’erario, dall’altro impone alle imprese uno schema di controllo più strutturato sugli investimenti effettuati entro il 15 novembre 2025, secondo i criteri di competenza di cui all’articolo 109, commi 1 e 2, TUIR.
Chi può rilasciare la certificazione del credito d’imposta ZES Unica
Il D.M. 17 maggio 2024 è molto netto. Se l’impresa ha già un soggetto incaricato della revisione legale (revisore unico, società di revisione, collegio sindacale con incarico anche di revisione), la certificazione non può essere affidata a un altro professionista. È un incarico aggiuntivo, ma resta in capo allo stesso revisore legale.
Per le imprese non soggette a revisione per legge, la certificazione può essere rilasciata da:
- revisore legale dei conti persona fisica, oppure
- società di revisione legale, purché iscritti in sezione A del Registro tenuto presso il MEF.
Nella prassi ha creato discussioni l’esclusione degli iscritti in sezione B, cioè i revisori legali senza incarichi attivi da almeno un triennio. Una FAQ del MEF ha chiarito che questi soggetti restano revisori regolarmente iscritti, ma non possono svolgere revisione legale e, di conseguenza, non rientrano nel perimetro del soggetto certificatore previsto dall’articolo 7, comma 14, del D.M. 17 maggio 2024.
Per avere a colpo d’occhio la mappa dei soggetti legittimati si può schematizzare così:
| Tipo di impresa | Soggetto che può certificare |
|---|---|
| Impresa con revisione legale obbligatoria | Soggetto già incaricato della revisione (revisore, società, CdA) |
| Impresa senza revisione legale obbligatoria | Revisore legale o società di revisione iscritti in sezione A MEF |
Chi assume l’incarico deve rispettare i principi di indipendenza previsti dall’articolo 10 del D.Lgs. 39/2010 e, in attesa dei principi nazionali, quelli del codice etico IFAC. Questo vale anche se il revisore è già “interno” alla società.
Cosa deve contenere la certificazione e quali verifiche svolge il revisore
Il regolamento non detta uno schema preciso del documento. Per colmare il vuoto, CNDCEC e FNC hanno predisposto nel 2024 un Documento operativo sulla certificazione del prospetto ZES, con fac simile di attestazione e di lettera di incarico.
Secondo tali indicazioni, il revisore:
- parte da un prospetto riepilogativo degli investimenti ammissibili, predisposto dall’impresa,
- verifica che gli importi indicati siano effettivamente sostenuti nel periodo dal 1 gennaio 2025 al 15 novembre 2025, ai sensi dell’articolo 109 TUIR,
- controlla che ogni spesa trovi riscontro nella documentazione contabile ufficiale (scritture, registri, bilancio, fatture, contratti di leasing, ecc.).
È opportuno notare una distinzione molto concreta. Il revisore certifica l’effettivo sostenimento delle spese e la loro corrispondenza alla contabilità. Non entra, invece, nella valutazione dell’ammissibilità della spesa alla luce della normativa ZES. Questo profilo resta in capo al contribuente e ai consulenti fiscali che lo assistono.
Per le imprese significa che non basta “avere la certificazione”. Serve un lavoro a monte sulla corretta qualificazione degli investimenti come beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive nella ZES, terreni o immobili strumentali, secondo l’articolo 16 del D.L. 124/2023 e il D.M. 17 maggio 2024.
Come indicare la certificazione nella comunicazione integrativa ZES
La certificazione non va solo redatta. Va anche “agganciata” correttamente al modello di comunicazione integrativa da presentare all’Agenzia delle Entrate entro il 2 dicembre 2025, a pena di decadenza dal credito d’imposta ZES Unica.
Il Provvedimento AE n. 25972 del 31 gennaio 2025 ha aggiornato il modello e le istruzioni. Nella sezione II del quadro E, dedicata agli “estremi fatture e certificazione”, il contribuente deve indicare:
- la data della certificazione;
- un eventuale identificativo interno della certificazione, se presente;
- il codice fiscale del soggetto che rilascia la certificazione, con un codice che individua il tipo di soggetto: revisore persona fisica, responsabile della revisione in una società, codice fiscale della società di revisione, componenti del collegio sindacale.
La comunicazione integrativa deve inoltre riportare l’ammontare del credito maturato sugli investimenti effettivamente realizzati e gli estremi delle fatture elettroniche collegate. L’assenza degli estremi della certificazione comporta il rigetto dell’istanza.
Molte imprese stanno sottovalutando questo aspetto, dando per scontato che basti conservare il documento in studio. In realtà, ai fini dell’agevolazione, il dato deve viaggiare dentro il modello, in modo coerente rispetto alle fatture e agli importi indicati nel prospetto certificato.
Investimenti senza fattura elettronica, acconti e invio tramite PEC
C’è poi un blocco di casi “speciali” in cui la certificazione contabile deve essere trasmessa anche via PEC all’Agenzia delle Entrate. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi di investimenti non documentabili con fattura elettronica o acquisiti tramite contratti di leasing.
Il punto 5.3 del Provvedimento n. 25972/2025 stabilisce che, per la quota di credito riferita a tali investimenti, la compensazione può partire solo dopo che l’Agenzia ha effettuato un controllo documentale presso il Centro Operativo di Cagliari. A questo scopo, il beneficiario è tenuto a inviare entro 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento che fisserà la percentuale di spettanza:
- la certificazione del revisore,
- la documentazione richiesta (ad esempio contratti o altri atti sostitutivi delle fatture).
L’indirizzo PEC è quello dedicato: creditoimpostazes@pec.agenziaentrate.it.
Un’attenzione in più va riservata agli acconti fatturati dal 20 settembre 2023 al 31 dicembre 2024, relativi a investimenti da realizzare tra il 1 gennaio 2025 e il 15 novembre 2025. In questi casi:
- nella certificazione il revisore deve attestare che le spese in acconto si riferiscono a investimenti effettuati nel periodo agevolato;
- le fatture di acconto vanno allegate alla certificazione, sempre via PEC;
- nel modello va barrata la casella 6 del quadro E, sia nella prima comunicazione sia nella integrativa.
Qui molte imprese stanno commettendo un errore logico pericoloso: indicano solo la fattura di saldo o riportano importi che non coincidono con il totale fattura a causa di note di acconto in detrazione. Il sistema dell’Agenzia incrocia invece l’importo agevolabile con il totale fattura legato allo stesso identificativo SDI. Se l’importo agevolabile supera il totale fattura, la comunicazione viene scartata.
Rischi per l’impresa che non ottiene o gestisce male la certificazione
L’assenza della certificazione comporta la decadenza dal credito d’imposta ZES Unica. Ma il vero rischio non è solo “non prendere il credito”. In presenza di errori rilevanti o di incoerenze con la contabilità, si possono aprire scenari di recupero del credito e di contestazioni anche su altri aspetti, dal momento che la documentazione ZES mette in luce l’intera struttura degli investimenti.
Va poi ricordato che, se il credito spettante supera 150.000 euro, scatta il vincolo del controllo antimafia ai sensi del D.Lgs. 159/2011. Il meccanismo opera anche nel caso in cui la soglia venga superata sommando il credito ZES 2025 e quello ZES 2024 riconosciuto con il Provvedimento n. 446421/2024.
In questo quadro, una certificazione affrettata, formalmente corretta ma poco ponderata, può trasformarsi in un boomerang. La firma del revisore non sterilizza eventuali errori di qualificazione fiscale degli investimenti o di rispetto dei limiti di intensità dell’aiuto.
Alcuni accorgimenti operativi per imprese e professionisti
Nella prassi, imprese e consulenti stanno dando per scontato che l’attività di certificazione sia una “copia” del lavoro di revisione annuale. Non è proprio così. L’incarico è distinto, anche dove c’è già revisione legale, e richiede:
- una lettera di incarico specifica, che delimiti il perimetro dell’attività e i limiti dell’attestazione;
- un prospetto ZES costruito ad hoc dall’impresa, con investimenti collegati alle singole fatture e ai beni;
- un controllo mirato sulle date di sostenimento, sui collegamenti tra acconti e saldi, sulla presenza di eventuale IVA indetraibile da includere nel costo, come permette l’articolo 7, comma 14, del D.M. 17 maggio 2024.
Per molti studi professionali ha senso impostare una procedura standard: checklist documentali, tracciabilità dei controlli svolti, archiviazione delle carte di lavoro legate alla certificazione ZES. È un costo in più, certo, ma riduce il rischio di contenzioso e rende difendibile il credito in caso di controlli successivi.
Dall’altra parte, le imprese dovrebbero smettere di considerare la certificazione come una formalità “da fare alla fine”. Chi gestisce piani di investimento complessi, con più fornitori, leasing e lavori in corso, avrebbe tutto l’interesse a coinvolgere il revisore già in fase di programmazione, per evitare sorprese vicine alla scadenza del 2 dicembre 2025


