Una pausa di riflessione che sa di salvagente. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ufficialmente rinviato al 31 dicembre 2025 l’obbligo per gli amministratori delle società di comunicare la propria PEC al Registro delle Imprese. Una decisione che, alla vigilia della presunta scadenza del 30 giugno, mette fine a mesi di incertezze interpretative che avevano lasciato imprese e professionisti in balia di indicazioni spesso contraddittorie.
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La genesi di un obbligo controverso
L’introduzione dell’obbligo di domicilio digitale personale per gli amministratori non nasce dal nulla. La Legge di Bilancio 2025, attraverso l’articolo 1 comma 860 della legge n. 207/2024, ha esteso alle figure apicali delle società quello che già dal 2020 era previsto per le imprese stesse. Un’estensione che – almeno sulla carta – dovrebbe garantire maggiore trasparenza e facilità di comunicazione con la Pubblica Amministrazione.
Ma il diavolo, come spesso accade, si nasconde nei dettagli. La norma, infatti, si limitava a stabilire l’obbligo senza specificare tempistiche precise per le società già costituite. Una lacuna che ha aperto le porte a interpretazioni divergenti e, inevitabilmente, a confusione operativa.
Il MIMIT aveva tentato di fare chiarezza
Con la nota n. 43836 del 12 marzo 2025, il Ministero aveva provato a dipanare la matassa. Le indicazioni erano chiare: obbligo per tutti gli amministratori di società di persone e capitali, PEC rigorosamente personale (diversa da quella aziendale) e termine fissato al 30 giugno per le società pre-esistenti.
Il perimetro dei soggetti obbligati era stato tracciato con precisione chirurgica. Dentro tutti: dagli amministratori di Srl agli accomandatari delle Sas, dai liquidatori nominati dai soci a quelli giudiziali. Fuori invece – e qui la normativa mostrava il suo lato più tecnico – le società semplici (salvo quelle agricole), i consorzi privi di attività commerciale e le società di mutuo soccorso.
Quando le prassi camerali fanno cortocircuito
Eppure, qualcosa non quadrava. Man mano che si avvicinava la fatidica data del 30 giugno, diverse Camere di Commercio iniziavano a prendere le distanze dalle indicazioni ministeriali. Milano, Torino, Padova, Bergamo: un coro sempre più numeroso che sottolineava come la legge non prevedesse alcun termine perentorio.
Una posizione che, va detto, poggiava su basi giuridiche solide. In effetti, la normativa di riferimento non stabiliva scadenze precise per le società già operative, limitandosi a prevedere l’obbligo in senso generale. E dove manca il termine, viene meno anche la possibilità di applicare sanzioni per ritardo.
I professionisti in prima linea per il rinvio
Il mondo professionale non è rimasto a guardare. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, attraverso il presidente Elbano de Nuccio, ha intessuto un dialogo serrato con il Ministero. Un’interlocuzione che si è rivelata determinante per arrivare alla proroga.
L’ADC (Associazione dei Dottori Commercialisti) aveva espresso “forte rammarico per l’introduzione di un nuovo adempimento che appare utile solo all’Amministrazione pubblica, senza alcun beneficio concreto per le imprese”. Una critica che coglieva nel segno: l’obbligo rischiava di trasformarsi in un ulteriore gravame burocratico ed economico, soprattutto per le PMI.
Gli aspetti tecnici rimangono invariati
Nonostante il rinvio, le regole del gioco non cambiano. La PEC dell’amministratore deve essere esclusivamente personale: addio alla possibilità di utilizzare quella aziendale, come inizialmente ipotizzato da alcune Camere. Una scelta che risponde alla ratio della norma, volta a garantire un canale di comunicazione diretto e identificabile con la persona fisica.
Particolare attenzione merita la situazione degli amministratori “plurimi” – quelli che ricoprono cariche in più società . Per loro è prevista una certa flessibilità : possono utilizzare lo stesso indirizzo PEC per tutte le aziende amministrate oppure, se preferiscono, diversificare con più caselle dedicate.
Il nodo delle sanzioni rimane sul tavolo
Qui si apre uno scenario interessante dal punto di vista giuridico. Il differimento al 31 dicembre 2025 è sicuramente un sollievo operativo, ma non risolve il nodo di fondo: l’applicabilità delle sanzioni previste dall’articolo 2630 del Codice Civile.
La norma punisce con multe da 103 a 1.032 euro (riducibili a un terzo in caso di regolarizzazione entro 30 giorni) chi omette comunicazioni obbligatorie al Registro delle Imprese. Ma se la legge di bilancio non fissa termini specifici, su cosa si baserebbe l’irrogazione della sanzione?
È un punto che il MIMIT dovrà chiarire con precisione nella circolare attesa. Perché una cosa è stabilire quando bisogna adempiere, un’altra è definire quando scatta la mora sanzionabile.
Esenzioni e diritti di segreteria: un piccolo ristoro
Nel mare di complicazioni, c’è almeno una buona notizia. La comunicazione della PEC degli amministratori, quando effettuata come pratica autonoma, è esente da bollo e diritti di segreteria. Un’agevolazione che il Ministero ha esteso – per interpretazione analogica – anche agli amministratori, pur non essendo esplicitamente prevista dalla normativa.
Attenzione però: l’esenzione vale solo per la comunicazione “pura”. Se la PEC viene comunicata insieme ad altre pratiche (come la nomina di un nuovo amministratore), si applica la normale disciplina dei diritti camerali.
Reti d’impresa e società consortili: casi particolari
La nota ministeriale aveva chiarito anche alcuni aspetti per le forme organizzative più particolari. Le reti d’impresa rientrano nell’obbligo solo se dotate di soggettività giuridica e iscritte nella sezione ordinaria del Registro. Escluse invece le società consortili e i consorzi, quando la loro attività si limita alla disciplina o coordinamento delle imprese aderenti.
Una distinzione che riflette il principio generale dell’obbligo: colpisce chi svolge effettivamente attività imprenditoriale commerciale, non chi si limita a funzioni organizzative o di coordinamento.
Liquidatori e cessazioni: quando l’obbligo sopravvive alla societÃ
Aspetto spesso trascurato ma rilevante: l’obbligo si estende anche ai liquidatori, siano essi nominati dai soci o dal tribunale. Una previsione logica, considerato che durante la liquidazione sono proprio loro ad assumere le funzioni di gestione della società .
Il MIMIT ha chiarito che l’interpretazione deve essere estensiva, ricomprendendo tutti i soggetti che – a vario titolo – esercitano poteri di amministrazione. Una lettura che supera il principio di interpretazione restrittiva degli obblighi economici, privilegiando le finalità di trasparenza sottese alla norma.
Il cammino verso dicembre: cosa aspettarsi
I prossimi mesi saranno cruciali per mettere a punto gli aspetti operativi. Le Camere di Commercio dovranno uniformare le loro procedure, superando le divergenze interpretative emerse negli ultimi mesi. E il sistema informativo di Telemaco dovrà essere ottimizzato per gestire il flusso di comunicazioni atteso.
Dal punto di vista pratico, le società hanno ora tempo sufficiente per:
- Verificare se gli amministratori dispongono già di PEC personali;
- Attivare le caselle mancanti presso provider accreditati.
Le incognite di un obbligo ancora giovane
Resta da vedere se, nei prossimi mesi, emergeranno nuove questioni interpretative o se il panorama normativo riuscirà finalmente a stabilizzarsi. Per ora, amministratori e società possono tirare un sospiro di sollievo. Ma è solo un rinvio, non un condono.Una pausa di riflessione che sa di salvagente. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ufficialmente rinviato al 31 dicembre 2025 l’obbligo per gli amministratori delle società di comunicare la propria PEC al Registro delle Imprese. Una decisione che, alla vigilia della presunta scadenza del 30 giugno, mette fine a mesi di incertezze interpretative che avevano lasciato imprese e professionisti in balia di indicazioni spesso contraddittorie.