Il 4 giugno 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo correttivo che disciplina il concordato preventivo biennale per il periodo 2025-2026, confermando l’esclusione del ravvedimento speciale. La decisione assume particolare rilevanza considerando che tale istituto rappresentava uno degli strumenti di maggiore attrattività per l’adesione al concordato nella sua prima applicazione. L’analisi della scelta normativa rivela una strategia di inasprimento che potrebbe compromettere l’efficacia dell’istituto, specialmente in un contesto in cui le adesioni al primo biennio sono risultate significativamente inferiori alle aspettative dell’Amministrazione finanziaria. La mancata riproposizione del ravvedimento speciale configura un vulnus nell’architettura complessiva del concordato preventivo biennale che merita un approfondimento analitico.
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Evoluzione normativa del ravvedimento speciale: dal decreto omnibus all’esclusione definitiva
Il ravvedimento speciale per i soggetti aderenti al concordato preventivo biennale fu introdotto dall’articolo 2-quater del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2024, n. 143 (c.d. “Decreto Omnibus”). L’istituto consentiva ai contribuenti ISA che avevano aderito al concordato per il biennio 2024-2025 di regolarizzare le posizioni relative ai periodi d’imposta dal 2018 al 2022 mediante il versamento di un’imposta sostitutiva.
La ratio dell’istituto si fondava su considerazioni di carattere tanto sistematico quanto pragmatico. Dal punto di vista sistematico, il ravvedimento speciale rappresentava un incentivo alla compliance volontaria, coerente con la filosofia collaborativa che sottende l’intero impianto del concordato preventivo biennale. Dal versante pragmatico, l’istituto mirava a incrementare il gettito attraverso la regolarizzazione spontanea di posizioni pregresse, riducendo al contempo il contenzioso.
La metodologia di calcolo dell’imposta sostitutiva si basava sui punteggi ISA conseguiti per ciascuna annualità oggetto di regolarizzazione. Specificamente, l’aliquota variava dal 10% per i contribuenti con punteggio ISA pari a 10, fino al 15% per quelli con punteggio compreso tra 6 e 7,99. Tale meccanismo premiava i contribuenti caratterizzati da maggiore affidabilità fiscale, creando un sistema di incentivi graduali particolarmente efficace.
Iter parlamentare e mancato accoglimento delle osservazioni delle commissioni
Durante la fase istruttoria del decreto correttivo, la Commissione Finanze aveva formulato una proposta articolata per la riproposizione del ravvedimento speciale destinato ai soggetti aderenti al concordato preventivo biennale 2025-2026. L’ipotesi contemplava non solo la riattivazione dell’istituto per il nuovo biennio, ma anche l’estensione retrospettiva al periodo d’imposta 2023.
Tale proposta si inseriva in un contesto di crescenti preoccupazioni circa l’efficacia del concordato preventivo biennale nella sua configurazione originaria. I dati relativi alle adesioni al primo biennio evidenziavano infatti un risultato modesto rispetto alle previsioni, con particolare riferimento ai contribuenti in regime forfettario (successivamente esclusi dall’istituto) e a quelli caratterizzati da maggiore variabilità reddituale.
La Commissione aveva inoltre sottolineato come l’esclusione del ravvedimento speciale rischiasse di compromettere l’equilibrio costi-benefici dell’adesione al concordato, specialmente per quei contribuenti che si trovavano in situazioni di potenziale esposizione per annualità pregresse. L’argomentazione si fondava sulla considerazione che la certezza fiscale rappresenta un elemento essenziale per valutare la convenienza dell’adesione all’istituto.
Tuttavia, il testo definitivo approvato dal Consiglio dei Ministri non ha recepito tali osservazioni. L’esclusione del ravvedimento speciale appare quindi come una scelta deliberata dell’Esecutivo, che privilegi probabilmente considerazioni di gettito a breve termine rispetto all’obiettivo di incrementare l’adesione volontaria al concordato.
Profili sistematici dell’esclusione: impatti sulla compliance volontaria
L’esclusione del ravvedimento speciale dal concordato preventivo biennale 2025-2026 genera diverse criticità sotto il profilo della coerenza sistematica. In primo luogo, viene meno uno degli elementi che caratterizzavano l’istituto come strumento di “pacificazione fiscale” tra Amministrazione e contribuenti.
Il ravvedimento speciale configurava infatti una sanatoria a carattere definitivo che, una volta perfezionata, precludeva l’esercizio dei poteri di accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39 del D.P.R. n. 600/1973 e all’articolo 54, secondo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972. Tale limitazione operava per i periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, fatte salve specifiche eccezioni legate alla decadenza dal concordato o alla commissione di reati tributari.
La copertura offerta dal ravvedimento speciale si estendeva anche ai profili IVA, configurando un ombrello protettivo particolarmente ampio. La mancanza di questo strumento nell’architettura del nuovo concordato comporta che i contribuenti aderenti rimangono esposti all’attività di controllo per le annualità pregresse secondo le regole ordinarie.
Dal punto di vista della compliance volontaria, l’esclusione del ravvedimento speciale elimina un incentivo significativo all’adesione. Il calcolo costi-benefici che i contribuenti effettuano per valutare la convenienza del concordato deve infatti considerare non solo i vantaggi prospettici (certezza del carico fiscale per il biennio concordatario), ma anche quelli retrospettivi (regolarizzazione delle posizioni pregresse).
Impatti operativi per i contribuenti ISA e alternative residue
Per i contribuenti ISA che si accingono a valutare l’adesione al concordato preventivo biennale 2025-2026, l’assenza del ravvedimento speciale comporta una significativa riduzione dell’attrattività dell’istituto. La mancanza di questo strumento di regolarizzazione agevolata lascia infatti irrisolte eventuali problematiche relative alle annualità pregresse.
È opportuno considerare che i contribuenti con esposizioni per periodi pregressi si trovano ora di fronte a un trade-off meno favorevole. Da un lato, l’adesione al concordato garantisce certezza per il biennio 2025-2026 e l’accesso ai benefici premiali previsti dall’ordinamento. Dall’altro, permane l’incertezza relativamente alle annualità antecedenti, con la conseguente possibilità di futuri accertamenti.
In assenza del ravvedimento speciale, i contribuenti interessati alla regolarizzazione di posizioni pregresse devono ricorrere agli istituti ordinari. Tra questi, assume particolare rilevanza l’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997, che tuttavia presenta termini e modalità meno favorevoli rispetto al ravvedimento speciale.
Nella prassi applicativa, si osserva come alcuni contribuenti stiano valutando strategie alternative, quali la presentazione di dichiarazioni integrative a favore del Fisco per le annualità pregresse, al fine di prevenire eventuali accertamenti. Tuttavia, tali strategie presentano margini di incertezza significativi e non offrono le garanzie di definitività che caratterizzavano il ravvedimento speciale.