L’ordinanza n. 19653 del 16 luglio 2025 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione segna un momento di svolta nell’interpretazione delle dinamiche fiscali dell’affitto d’azienda, delineando con precisione chirurgica i confini tra ammortamento e manutenzione nell’affitto d’azienda. Una decisione che arriva in un momento particolarmente delicato, quando le operazioni di affitto di rami aziendali stanno vivendo una fase di crescente diffusione, specialmente nei settori del retail e dell’entertainment. Il caso analizzato – una società operante nel settore dei centri commerciali e cinematografi distribuiti su tutto il territorio nazionale – offre un paradigma interpretativo di straordinaria rilevanza pratica. Non si tratta infatti di una semplice querelle accademica, ma di una questione che tocca direttamente le scelte strategiche di migliaia di imprese italiane che utilizzano l’affitto d’azienda come strumento di crescita e ottimizzazione fiscale.
Ammortamento e manutenzione nell’affitto d’azienda: lorigine del contendere
La vicenda processuale prende le mosse da un accertamento dell’Agenzia delle Entrate che aveva messo nel mirino le quote di ammortamento dedotte dalla società concedente. Al centro della controversia, una apparente contraddizione nelle clausole contrattuali che aveva fatto scattare i controlli fiscali: da un lato, la deroga espressa agli articoli 2561 e 2562 del codice civile con conseguente attribuzione al concedente dell’obbligo di conservare l’efficienza dell’organizzazione; dall’altro, il riaddebito agli affittuari delle spese di manutenzione ordinaria.
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Per l’Amministrazione finanziaria, questa duplice previsione configurava una palese contraddizione. La logica era apparentemente lineare: se gli affittuari si facevano carico delle manutenzioni ordinarie, come poteva il concedente rivendicare il diritto di ammortamento basandosi sull’obbligo di conservare l’efficienza aziendale? Una lettura che, secondo i funzionari, rendeva fiscalmente indeducibili le quote di ammortamento ai sensi dell’art. 102, comma 8 del TUIR.
Ma la realtà operativa dei contratti di affitto d’azienda, come spesso accade nella pratica commerciale, si rivelava più complessa e articolata di quanto potesse apparire a una prima analisi.
Il principio cardine: a chi spetta l’ammortamento nell’affitto d’azienda
La Suprema Corte ha richiamato con fermezza il principio consolidato che governa la materia: secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (Cass. 22070/2022, 6836/2019, 675/2007, 997/2001), l’ammortamento dei beni compresi nell’azienda data in affitto compete al soggetto che ha l’obbligo di conservare in efficienza l’azienda stessa.
Questo soggetto è, di regola, l’affittuario, che assumendosi il rischio della perdita di valore dei beni conseguente all’uso o all’obsolescenza tecnologica, vede il proprio risultato di gestione riflettere l’onere per logorio e perimento dei beni aziendali, traslato dalla posizione del concedente.
Tuttavia – e qui sta il cuore pulsante della questione – quando le parti del contratto di affitto d’azienda deroghino convenzionalmente alla disciplina dell’art. 2561 c.c., la situazione si capovolge. In questi casi, come precisato dalle pronunce nn. 18537/2010 e 1172/2008, la titolarità del diritto di deduzione degli ammortamenti non viene traslata all’affittuario ma rimane salda nelle mani del concedente.
La distinzione che fa la differenza: efficienza strutturale versus manutenzione operativa
Ed è proprio qui che la recente ordinanza introduce un elemento di chiarezza destinato a fare giurisprudenza. La Commissione tributaria regionale aveva intuito la chiave di lettura corretta, distinguendo due categorie di costi sostanzialmente diverse nella loro natura e finalità .
Da una parte, i costi per il mantenimento dell’efficienza dell’intera organizzazione e degli impianti comuni, quelli necessari al funzionamento dell’intera struttura dei centri commerciali. Questi oneri, per loro natura strategici e strutturali, erano rimasti a carico del concedente in virtù della deroga convenzionale pattuita.
Dall’altra parte, i “costi di manutenzione ordinaria, di personalizzazione e di gestione quotidiana e periodica” delle spese comuni – pulizia, vigilanza, antincendio, servizio neve – che per loro natura operativa erano stati trasferiti agli affittuari attraverso il meccanismo del riaddebito.
La Cassazione ha sposato questa lettura, chiarendo che questi ultimi costi non possono definirsi “attinenti alla conservazione dell’efficienza dell’organizzazione della struttura e degli impianti oggetto del contratto di affitto”, trattandosi piuttosto di cosiddette “spese interne”.
Anatomia di una decisione: l’analisi contrattuale che ha convinto la Cassazione
L’approccio metodologico adottato dai giudici di legittimità merita particolare attenzione. Piuttosto che fermarsi a una lettura formalistica delle clausole contrattuali, la Corte ha condotto un’analisi sostanziale delle pattuizioni, verificando la coerenza tra le previsioni contrattuali e la loro effettiva portata economica.
I giudici di appello avevano correttamente identificato l’assenza di contrasto tra:
- La clausola che derogava espressamente al disposto dell’art. 2561 c.c., esonerando gli affittuari dalle spese dirette a contrastare il deperimento del ramo d’azienda e a ripristinare le funzionalità originarie
- La clausola che poneva a carico degli affittuari le spese di riparazione e manutenzione di carattere ordinario e operativo
Una distinzione che nella prassi contrattuale assume contorni spesso sfumati, ma che la giurisprudenza ha ora chiarito con maggiore precisione.
Implicazioni operative: come cambia la redazione dei contratti
La pronuncia offre indicazioni operative di notevole valore per chi si occupa di strutturare contratti di affitto d’azienda. Nell’esperienza applicativa, emerge chiaramente come la distinzione tra diverse tipologie di oneri non rappresenti solo una garanzia contro future contestazioni fiscali, ma costituisca elemento fondamentale di certezza nei rapporti negoziali.
La giurisprudenza ha infatti sviluppato, nel corso degli anni, un orientamento che privilegia la sostanza sulla forma, ma richiede al contempo formulazioni contrattuali esplicite e non equivoche quando si intenda derogare alla disciplina civilistica standard. Come spesso accade nella pratica professionale, la chiarezza espositiva diventa elemento di tutela legale.
Alla luce della recente ordinanza, appare opportuno che i contratti di affitto d’azienda:
- Specifichino dettagliatamente quali spese rimangano a carico del concedente per la conservazione dell’efficienza aziendale, con particolare riferimento agli impianti strutturali e alle infrastrutture comuni
- Identifichino con precisione le manutenzioni e gestioni operative trasferite all’affittuario, distinguendo tra spese di carattere ordinario e straordinario
- Evitino formulazioni generiche che possano generare sovrapposizioni interpretative o zone grigie nella ripartizione degli oneri
Le ricadute sulla pianificazione fiscale: tra ottimizzazione e sostenibilitÃ
La decisione della Cassazione conferma che la pianificazione fiscale nell’ambito dell’affitto d’azienda richiede un approccio che va ben oltre la mera tecnica contrattuale. È necessario infatti considerare non solo l’obiettivo fiscale immediato, ma anche la sostenibilità operativa e la chiarezza interpretativa delle pattuizioni nel medio-lungo termine.
Quando il concedente intenda mantenere la deducibilità degli ammortamenti attraverso la deroga all’art. 2561 c.c., deve necessariamente assumere l’onere economico effettivo della conservazione dell’efficienza aziendale. Tale assunzione non può limitarsi a una mera previsione contrattuale di facciata, ma deve tradursi in concreti impegni di spesa coerenti con la finalità di mantenimento del valore e della funzionalità dell’organizzazione aziendale.
Nella casistica professionale, si osserva come spesso le operazioni più complesse dal punto di vista fiscale siano quelle che offrono maggiori margini di ottimizzazione, ma richiedono al contempo una strutturazione particolarmente attenta e una gestione operativa coerente con le previsioni contrattuali.
L’evoluzione del quadro giurisprudenziale: da Cass. 675/2007 ad oggi
La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che ha visto una progressiva evoluzione interpretativa negli ultimi due decenni. La storica sentenza n. 675 del 2007 aveva già stabilito il principio secondo cui nell’affitto d’azienda non compete al proprietario alcuna deduzione delle quote di ammortamento fino a quando i beni restano nella libera disponibilità dell’affittuario.
Tuttavia, la giurisprudenza successiva – attraverso pronunce come la n. 22171/2022 – ha gradualmente affinato i criteri interpretativi, riconoscendo la possibilità di deroghe contrattuali purché formulate con chiarezza e coerenza sostanziale. L’ordinanza n. 19653/2025 rappresenta l’ultimo anello di questa catena evolutiva, fornendo criteri operativi ancora più precisi per distinguere tra diverse categorie di costi e oneri.