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IVA sulla commissione di finanziamento nel factoring

13 Novembre, 2025

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A fine ottobre 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito definitivamente un aspetto che nelle prassi nazionali ha generato discussioni e dubbi interpretativi significativi: le commissioni praticate dai factor quando cedono crediti ai loro clienti rientrano nell’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Non si tratta cioè di operazioni esenti, come alcuni sostenevano, ma di prestazioni interamente imponibili. La pronuncia tocca simultaneamente il factoring nella versione tradizionale (quella dove il factor acquista i crediti) e quella strutturata mediante pegno (dove i crediti rimangono formalmente in capo al cliente ma fungono da garanzia). In entrambi gli scenari, la tassazione resta identica.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Sentenza C-232/24 (CGUE, 23 ottobre 2025): Le commissioni di finanziamento praticate dai factor sono soggette a IVA sia nel factoring tramite cessione (pro soluto) che tramite pegno (pro solvendo).
  • Motivo: Il recupero crediti è escluso dall’esenzione IVA prevista dall’art. 135, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE. La prestazione è unica e indivisibile, quindi completamente imponibile.
  • Effetto diretto: I contribuenti possono invocare questa eccezione davanti ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, indipendentemente dal recepimento nelle normative interne.
  • Implicazione: Le società di factoring devono applicare IVA su commissioni e spese di apertura fascicoli in ogni fattispecie operativa.

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Il quadro normativo europeo e le esenzioni finanziarie

Secondo le disposizioni della Direttiva 2006/112/CE, i legislatori europei hanno previsto delle esenzioni significative nel settore delle operazioni finanziarie. Nello specifico, l’articolo 135 al primo paragrafo, lettera b), autorizza gli Stati ad esentare dall’IVA sia la concessione che la negoziazione di crediti, inclusa la gestione di crediti per parte di chi li ha originati. Tuttavia, la stessa norma contiene un’eccezione rilevante: il recupero e l’incasso dei crediti rimangono espressamente al di fuori di questa sfera di esenzione.

È proprio questo elemento a costituire il focus centrale della sentenza della Corte europea. Dato che le esenzioni rappresentano deroghe al principio generale secondo il quale le prestazioni di servizi sono tassate, la loro interpretazione deve seguire canoni ristretti. Al contrario, l’eccezione relativa al recupero crediti – che sottrae operazioni dalla sfera esentata – deve essere intesa in senso estensivo, cioè applicandola a una gamma più larga di fattispecie possibile.

Factoring “proprio” e “improprio”: non c’è differenza fiscale

Lungo la giurisprudenza europea, s’era consolidata una distinzione tra due modelli operativi: il factoring “in senso proprio” (dove il factor veramente acquisisce i crediti) e quello “in senso improprio” (dove i crediti restano presso il cliente ma il factor ne assume comunque gestione e rischi). Alcuni operatori ritenevano che questa discriminazione potesse riflettersi anche nel trattamento fiscale.

La Corte, tuttavia, ha rigettato categoricamente questa impostazione. Dal punto di vista sostanziale, ha argomentato, non sussiste alcuna giustificazione per differenziare il regime IVA tra questi due modelli. In entrambi gli assetti, il factor fornisce prestazioni economiche dietro compenso, il che significa che esercita un’attività economica a titolo oneroso. L’elemento determinante non è la forma giuridica della transazione (cessione o pegno), bensì il contenuto economico reale dell’operazione: la movimentazione, il controllo e l’incasso di crediti altrui.

Il factoring tramite vendita di crediti: unicità della prestazione

Quando un factor e un cliente concludono un contratto attraverso il quale il factor versa fondi in cambio della definitiva cessione dei crediti, si genera una situazione particulare dal punto di vista tributario. I denari che il factor verso non rappresentano un finanziamento che il cliente dovrà restituire; essi costituiscono piuttosto il corrispettivo corrisposto per la vendita conclusiva e irrevocabile dei crediti medesimi.

Conseguentemente, non esiste rapporto di mutuo tra le due parti. La commissione addebitata dal factor al cliente – che retribuisce l’intera operazione di gestione, incasso e assorbimento del rischio di inadempimento – non può configurarsi come il prezzo di una concessione di credito, operazione che altrimenti godrebbe dell’esenzione prevista dall’articolo 135. Piuttosto, essa rappresenta il corrispettivo di una prestazione unificata orientata al recupero e all’incasso dei crediti ceduti, prestazione che rimane completamente assoggettata a IVA per espressa esclusione dall’esenzione.

Il factoring tramite pegno: la stessa conclusione

La variante del factoring in cui i crediti vengono utilizzati come garanzia (pegno) del finanziamento fornito dal factor segue lo stesso principio applicativo. In questa ipotesi, il factor mette a disposizione del cliente una somma di denaro, strutturata non come finanziamento autonomo ma come complemento della gestione dei crediti. I crediti rimangono formalmente presso il cliente però fungono da collaterale del finanziamento stesso. Per il resto, il factor si assume l’onere di recuperare e incassare questi crediti, il che rappresenta lo scopo essenziale dell’operazione complessiva.

Nel momento in cui il factor abbia il dovere di occuparsi del recupero dei crediti (indipendentemente dal fatto che siano stati ceduti o utilizzati come garanzia), il finanziamento stesso non può più essere considerato come una prestazione autonoma e separata. Esso diviene l’aspetto complementare di un’operazione unitaria focalizzata sulla riscossione dei crediti. Pertanto, la commissione versata dal cliente al factor per l’apertura della pratica e la gestione complessiva viene totalmente ricondotta sotto il medesimo regime impositivo: tassazione IVA completa, poiché il nucleo economico della transazione è il recupero crediti.

Prestazioni accessorie e criterio dell’unicità economica

La giurisprudenza della Corte ha sviluppato, nel corso dei decenni, un criterio rilevante per determinare quando più elementi contrattuali vadano qualificati come un’unica prestazione economica indivisibile oppure come operazioni distinte. Una prestazione è “unica” nel momento in cui due o più elementi forniti dal prestatore risultano così intimamente connessi dal punto di vista economico e funzionale da formare, oggettivamente, una sola prestazione di cui è artificiale la scomposizione.

Accade pure che una prestazione sia considerata “principale” mentre altre risultino “accessorie” rispetto ad essa. In questi casi, tutte le prestazioni ricevono il medesimo trattamento fiscale di quella principale. Una prestazione rientra nella qualità di accessoria allorché i clienti non la percepiscono quale fine autonomo e indipendente, bensì esclusivamente quale strumento funzionale al migliore godimento della prestazione principale offerta dal fornitore medesimo.

Nella fattispecie del factoring, sia da parte del cliente che da parte del factor, l’operazione si presenta come un unicum economico finalizzato a trasferire a un terzo sia il compito sia i rischi legati al recupero e all’incasso dei crediti. Non è possibile scindere logicamente la commissione dalla gestione vera e propria, giacché quella rappresenta il corrispettivo di questa.

L’eccezione al recupero crediti e l’effetto diretto

Un ultimo profilo affrontato dalla Corte riguarda il rilievo e l’applicabilità dell’eccezione relativa al “recupero crediti” prevista dalla Direttiva europea. La Corte ha stabilito che tale eccezione riveste carattere incondizionato e preciso, il che le conferisce efficacia diretta negli ordinamenti giuridici interni degli Stati membri.

Questa conclusione ha rilevanza pratica cruciale. Significa, in concreto, che i contribuenti possono invocare direttamente questa disposizione della Direttiva nei confronti dello Stato davanti ai giudici nazionali, specialmente quando lo Stato medesimo l’abbia recepita in modo scorretto o incompleto nelle normative interne. Un provvedimento normativo europeo possiede “efficacia diretta” nel momento in cui contiene un obbligo che non è subordinato ad alcuna condizione, né dipende dall’emanazione di ulteriori atti da parte delle istituzioni europee o da quelle nazionali, e risulta formulato in termini chiari e inequivocabili, tali da consentire al contribuente di invocarla e al giudice di applicarla.

Il significato pratico per le società di factoring

La pronuncia della Corte non è una novità rivoluzionaria dal punto di vista della dottrina giuridica (già la sentenza C-305/01, come richiamato dalla Corte stessa, aveva delineato questo orientamento), tuttavia consolida in modo definitivo una posizione che in alcuni ordinamenti nazionali restava ancora oggetto di contrasto. Per le società italiane di factoring, ciò comporta l’obbligo di applicare IVA sulle commissioni e sulle spese di apertura fascicoli, sia che il factoring avvenga mediante cessione pro soluto sia mediante pegno dei crediti.

È evidente che questa tassazione ha influenza sui margini economici delle operazioni e su come i factor strutturano i loro corrispettivi. Tuttavia, la sostanza economica dell’operazione prevale sulla forma giuridica che assume. Non è più difendibile, alla luce della sentenza, l’idea che si possa scindere artificialmente una commissione per l’incasso da quella di finanziamento, attribuendo a ciascuna un diverso regime IVA.

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