La questione della deducibilità fiscale degli interessi di mora collegati al tardivo versamento dei tributi continua a generare dibattiti tra operatori e amministrazione finanziaria. Quando un’impresa o un professionista versa in ritardo le proprie imposte, si trova a pagare – oltre al tributo principale – anche degli interessi moratori. Ma questi ultimi possono essere portati in deduzione dal reddito?
Il dibattito sulla natura degli interessi moratori imposte
La controversia nasce dalla natura stessa di questi oneri finanziari. Gli interessi che maturano sul ritardo nei pagamenti tributari hanno una funzione che molti definiscono risarcitoria, nella prassi servono a compensare l’erario per il ritardato incasso delle somme dovute. Questo aspetto li distingue nettamente dagli interessi passivi ordinari, quelli che derivano dall’attività tipica d’impresa e dalla gestione finanziaria corrente.
Il punto nodale riguarda l’accessorietà di tali costi rispetto all’obbligazione tributaria principale. Se un’imposta non è deducibile – come previsto dalle norme generali del TUIR – cosa succede agli oneri accessori che ne derivano? La risposta non è così scontata come potrebbe sembrare.
La posizione della Cassazione nella pronuncia n. 28740/2022
L’ordinanza dei giudici di legittimità ha segnato un punto fermo nella discussione. Il caso riguardava una società che aveva contestato un avviso di accertamento relativo, tra l’altro, a fatture riferite a operazioni considerate inesistenti. L’Agenzia delle entrate aveva negato la deducibilità degli interessi moratori sul ritardato versamento delle imposte. La contribuente ha impugnato la decisione, ma sia il giudice di primo grado che la Commissione tributaria regionale hanno respinto il ricorso, confermando la tesi dell’amministrazione.
Nel ricorso in Cassazione la società sosteneva la violazione dell’articolo 96 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, ritenendo che per la deducibilità degli interessi passivi non rilevi se questi siano accessori al tributo o meno, purché risultino inerenti all’attività.
La Suprema Corte ha però rigettato questa tesi. Secondo quanto previsto dall’articolo 109, comma 5, del TUIR, le spese e i componenti negativi diversi dagli interessi passivi sono deducibili se si riferiscono ad attività o beni che generano ricavi imponibili. La formula normativa distingue espressamente gli interessi passivi dagli altri componenti negativi, suggerendo un regime particolare per questi ultimi.
Interessi passivi ordinari e moratori: due regimi distinti
La giurisprudenza prevalente riconosce che gli interessi passivi – quelli derivanti dalla normale attività di finanziamento dell’impresa – beneficiano di un trattamento favorevole. Possono essere dedotti senza necessità di dimostrarne l’inerenza specifica, rispettando soltanto i limiti quantitativi stabiliti dall’articolo 63 del TUIR (ora articolo 96 dopo le modifiche normative). Questo perché tali oneri finanziari attengono alla funzione di approvvigionamento di risorse che caratterizza ogni impresa, secondo quanto previsto dal codice civile.
Ma gli interessi moratori su tributi non pagati tempestivamente hanno una genesi diversa. Non nascono dall’attività imprenditoriale tipica o dalla funzione finanziaria, bensì dall’inadempimento di un obbligo di legge. Il mancato rispetto delle scadenze fiscali genera questi costi aggiuntivi che, nella visione della Corte, si pongono in termini di accessorietà rispetto all’obbligazione tributaria originaria.
L’indeducibilità delle imposte sui redditi è sancita dall’articolo 109 del TUIR. Se il tributo principale non può essere dedotto, anche i costi accessori – compresi gli interessi di mora – seguono lo stesso destino fiscale. La prestazione di pagamento di questi interessi mira a ristabilire l’intera misura dell’importo che l’impresa avrebbe dovuto versare all’erario, incluso l’onere derivante dal ritardo.
Differenze con gli interessi da ravvedimento speciale
Vale la pena precisare che esistono diverse tipologie di interessi nel contesto tributario. L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 56 del marzo 2025, ha chiarito che gli interessi versati da un professionista nell’ambito del ravvedimento speciale (previsto dalla legge n. 197/2022) non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo.
Il ragionamento seguito dall’amministrazione è analogo a quello della Cassazione. Gli interessi moratori rappresentano oneri accessori rispetto al pagamento delle imposte regolarizzate. Dal momento che le imposte oggetto di ravvedimento sono indeducibili, anche gli interessi che ne derivano seguono il medesimo trattamento. Inoltre, secondo l’articolo 54 del TUIR, sono deducibili solo le spese sostenute nell’esercizio dell’attività professionale, e gli interessi derivanti da un inadempimento fiscale non rientrano in questa categoria.
Gli orientamenti dell’Agenzia delle entrate: una posizione articolata
La questione si complica ulteriormente se si considerano alcuni recenti documenti di prassi. La risposta a interpello n. 172 del 2024 ha affrontato un caso particolare: una società che, dopo aver ricevuto un accertamento relativo a prezzi di trasferimento (transfer pricing) per gli anni dal 2014 al 2018, aveva definito la vertenza attraverso un atto di adesione, versando maggiori imposte, sanzioni e interessi.
In quella circostanza l’Agenzia ha confermato l’orientamento già espresso con la risposta n. 541 del 2022, secondo cui gli interessi dovuti a seguito di accertamento di maggiori imposte sul reddito e IRAP sarebbero deducibili dal reddito d’impresa nel loro ammontare complessivo, indipendentemente dalla natura delle imposte cui si riferiscono.
Questa posizione sembrerebbe porsi in contrasto con l’ordinanza della Cassazione n. 28740/2022. Come si spiega tale divergenza? Occorre analizzare attentamente le fattispecie. Nel caso esaminato dall’Agenzia si trattava di interessi maturati nell’ambito di un accertamento e successiva definizione, in un contesto che potrebbe presentare caratteristiche diverse rispetto al semplice ritardato pagamento spontaneo del tributo.
Un esempio concreto per chiarire
Si consideri il caso di un’impresa manifatturiera che nel 2024 ha versato con 180 giorni di ritardo l’acconto IRES di giugno. Sul tributo principale di 50.000 euro sono maturati interessi moratori per 1.500 euro. L’impresa vorrebbe dedurre questi 1.500 euro dal reddito imponibile dell’esercizio 2024.
Secondo l’orientamento della Cassazione espresso nell’ordinanza 28740/2022, tali interessi non sarebbero deducibili. Derivano infatti dal mancato rispetto di una scadenza fiscale, non dall’attività tipica dell’impresa. Si configurano come onere accessorio a un tributo (l’IRES) che è per sua natura indeducibile.
In un caso diverso – per esempio un’impresa che ottiene un finanziamento bancario per ampliare il proprio stabilimento e paga 10.000 euro di interessi passivi sul mutuo – questi ultimi sarebbero invece deducibili (nei limiti previsti dall’articolo 96 del TUIR), perché originati dalla funzione finanziaria dell’impresa, non da una violazione di obblighi tributari.
Profili critici e questioni aperte
La soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità solleva alcune perplessità tra gli operatori del settore. Se il legislatore avesse voluto rendere espressamente indeducibili gli interessi moratori su tributi, avrebbe potuto inserire una previsione specifica negli articoli 99 o 109 del TUIR, dove è disciplinata l’indeducibilità delle imposte sui redditi.
L’assimilazione degli interessi moratori alle sanzioni amministrative risulta inoltre discutibile. Come osservato in passato da Assonime nella circolare n. 18/2012, le sanzioni rappresentano una reazione dell’ordinamento a una condotta illecita, mentre gli interessi di mora costituiscono piuttosto la quantificazione di un danno patrimoniale. La loro funzione non è punitiva ma compensativa del ritardo nell’esazione del tributo.
Si potrebbe argomentare che, in determinate circostanze, il ritardato versamento delle imposte derivi da scelte imprenditoriali consapevoli, finalizzate a non perdere opportunità di business o a generare ricavi aggiuntivi utilizzando temporaneamente le somme dovute al fisco. In questi casi gli interessi moratori potrebbero essere considerati funzionali, anche se indirettamente, alla produzione di reddito.
Il regime IRAP: un ulteriore elemento di complessità
La questione assume connotati specifici anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive. L’Agenzia delle entrate, con precedenti documenti di prassi, ha chiarito che gli interessi moratori applicati per l’adempimento tardivo di obbligazioni doganali non sono deducibili dal valore della produzione delle imprese, in quanto costituiscono oneri finanziari iscritti in voci di conto economico non rilevanti secondo l’articolo 5 del decreto legislativo n. 446/1997.
Questo orientamento conferma che, al di là delle questioni relative alla determinazione del reddito d’impresa, esistono profili di indeducibilità anche sotto altri aspetti del prelievo tributario.
Implicazioni operative per imprese e professionisti
Nella compilazione delle dichiarazioni dei redditi, le imprese devono prestare particolare attenzione al trattamento degli interessi moratori pagati su tributi. Tali importi, se inizialmente contabilizzati come costi deducibili, dovranno essere ripresi a tassazione attraverso apposite variazioni in aumento del reddito fiscale.
Per i professionisti la situazione è ancora più chiara, alla luce dei recenti chiarimenti dell’Agenzia relativi al ravvedimento speciale. Gli interessi versati nell’ambito di procedure di regolarizzazione non possono in alcun modo essere dedotti dal reddito di lavoro autonomo, mancando il requisito dell’inerenza rispetto all’attività professionale svolta.
Considerazioni finali sul quadro normativo
La materia presenta ancora zone d’ombra e margini di incertezza. Da un lato la giurisprudenza di legittimità, con l’ordinanza 28740/2022, afferma con chiarezza l’indeducibilità degli interessi moratori su imposte non pagate tempestivamente. Dall’altro lato l’amministrazione finanziaria, in alcuni specifici documenti di prassi, sembra ammettere la deducibilità di interessi dovuti a seguito di accertamenti e successive definizioni.
Questa apparente contraddizione potrebbe dipendere dalle diverse fattispecie esaminate, oppure da una evoluzione nell’interpretazione delle norme. Resta il fatto che i contribuenti si trovano di fronte a un quadro non completamente lineare, che richiede particolare prudenza nella gestione di questi oneri finanziari.
Ciò che emerge con certezza è la necessità di distinguere nettamente tra interessi passivi ordinari, pienamente deducibili nei limiti previsti dalla legge, e interessi moratori su tributi, per i quali il principio di accessorietà rispetto all’obbligazione tributaria principale ne determina, nella maggior parte dei casi, l’indeducibilità fiscale.



