La Suprema Corte di Cassazione ha nuovamente fatto chiarezza su uno dei temi più dibattuti nel diritto tributario: la distribuzione utili extracontabili società ristretta base si presume sempre, anche quando la compagine sociale risulta formata esclusivamente da altre società. L’ordinanza n. 15274 del 9 giugno 2025 segna un punto fermo nella giurisprudenza, confermando che lo “schermo” della personalità giuridica non neutralizza affatto la presunzione consolidata dalla prassi.
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Distribuzione utili extracontabili: quando la base ristretta fa scattare l’accertamento
Nel caso esaminato dalla Cassazione, l’Amministrazione finanziaria aveva contestato a una società per azioni maggiori ricavi non dichiarati, estendendo poi l’accertamento ai soci per la presunta distribuzione di utili extracontabili. I contribuenti avevano sollevato due eccezioni principali: da un lato sostenevano che la società non potesse considerarsi a ristretta base sociale perché composta da altre società anziché da persone fisiche; dall’altro contestavano l’applicazione della presunzione a semplici disconoscimenti di costi, non a ricavi nascosti.
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La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, richiamando la propria giurisprudenza consolidata secondo cui “la presunzione di riparto non deve affatto considerarsi neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica”. Secondo i giudici di legittimità, il principio generale del divieto dell’abuso del diritto trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, rendendo irrilevante la forma giuridica assunta dai partecipanti alla società.
Aspetto soggettivo: società di capitali equiparate a persone fisiche
La decisione della Cassazione tocca un aspetto spesso trascurato nella prassi professionale. Quando si valuta se una società possa considerarsi a ristretta base sociale, l’elemento quantitativo del numero dei soci non può essere l’unico parametro di riferimento. Come chiarito nell’ordinanza, “affinché la base partecipativa possa considerarsi ristretta, l’esiguo numero dei soci non dovrebbe avere una valenza meramente quantitativa, ma dovrebbe sempre tradursi nel dato qualitativo della complicità tra partecipanti”.
Nella pratica questo significa che una società controllata al 50% ciascuno da due holding familiari può tranquillamente rientrare nella casistica delle società a base ristretta, indipendentemente dalla complessità della catena partecipativa. La ratio di questo orientamento si fonda su quella “massima di comune esperienza” per cui dalla ristrettezza della base sociale si inferisce “un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi”.
Un esempio pratico può chiarire meglio il concetto. La società Alfa S.p.A. è partecipata al 60% dalla holding Beta S.r.l. (controllata dai fratelli Rossi) e al 40% dalla società Gamma S.r.l. (controllata dalla famiglia Bianchi). Anche se formalmente Alfa ha due soci-società, ai fini dell’applicazione della presunzione di distribuzione utili extracontabili, l’Amministrazione finanziaria potrà considerare la compagine effettivamente ristretta, guardando alla sostanza dei rapporti piuttosto che alla forma.
Aspetto oggettivo: dai ricavi occulti ai costi disconosciuti
L’altro profilo esaminato dalla Cassazione riguarda l’estensione della presunzione. Tradizionalmente, la giurisprudenza aveva elaborato questo meccanismo con riferimento ai ricavi non dichiarati dalle società, considerando che tali somme dovessero necessariamente essere finite nelle tasche dei soci attraverso canali informali.
I contribuenti hanno tentato di distinguere questa fattispecie dal caso in cui l’Amministrazione si limiti a disconoscere costi regolarmente contabilizzati. L’argomentazione appariva logica: se i costi risultano dalle scritture contabili, come si può presumere che il maggior reddito derivante dal loro disconoscimento sia stato distribuito ai soci?
La Suprema Corte ha però chiarito che la presunzione opera ugualmente, “non solo per le componenti positive di reddito accertate, ma anche per le componenti negative disconosciute, in quanto quest’ultime farebbero emergere la presenza di maggiori risorse non dichiarate e (presuntivamente) distribuite tra i soci”. Il ragionamento della Cassazione si basa sul principio che ogni disconoscimento di costi determina comunque un maggior reddito disponibile per la società, e questo maggior reddito, in presenza di una base sociale ristretta, si presume distribuito.
Onere della prova: le nuove frontiere della difesa del contribuente
Un aspetto particolarmente interessante dell’orientamento più recente della Cassazione riguarda il contenuto della prova contraria che il contribuente può offrire per vincere la presunzione. Mentre in passato era necessario dimostrare che i maggiori utili erano stati accantonati dalla società o reinvestiti nell’attività, l’ordinanza n. 2464 del 2 febbraio 2025 ha aperto nuove possibilità difensive.
Secondo questo più recente indirizzo, “una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili”.
Questa evoluzione giurisprudenziale potrebbe rappresentare un importante strumento difensivo, specialmente nei casi di società familiari dove alcuni soci risultano formalmente partecipanti ma sostanzialmente estranei alla conduzione dell’attività. Tuttavia, come precisa la stessa Cassazione, “il problema si sposta sul piano della prova dell’estraneità assoluta del socio alla gestione e alla vita della società, che deve essere precisa e rigorosa”.
Implicazioni operative: strategie di difesa e compliance
Le conseguenze pratiche di questo orientamento giurisprudenziale impongono una riflessione approfondita sui profili di rischio delle società a ristretta base sociale. In primo luogo, diventa fondamentale curare con particolare attenzione la documentazione contabile e la conservazione di tutti i documenti giustificativi delle spese sostenute.
In caso di controllo fiscale, la società deve essere in grado di dimostrare non solo l’inerenza e la deducibilità dei costi, ma anche la loro effettiva sostenibilità. La mancanza di documentazione adeguata, infatti, può facilmente trasformarsi in un disconoscimento di costi con tutte le conseguenze derivanti dalla presunzione di distribuzione.
Sul fronte della pianificazione fiscale, alcune società potrebbero valutare l’opportunità di allargare artificialmente la base sociale attraverso l’ingresso di nuovi soci, anche con quote minoritarie. Tuttavia, questa strategia deve essere valutata con estrema cautela, considerando che la giurisprudenza guarda sempre più alla sostanza dei rapporti piuttosto che alla forma.
Questioni processuali: motivazione per relationem e diritto di difesa
Un aspetto spesso sottovalutato nella gestione di questi contenziosi riguarda la motivazione degli atti impositivi. La Cassazione ha chiarito che l’obbligo di motivazione degli avvisi notificati ai soci può essere soddisfatto anche mediante rinvio alla motivazione dell’accertamento riguardante la società.
Questa prassi trova giustificazione nel diritto del socio, ex articolo 2476 del Codice civile, di consultare la documentazione relativa alla società. Tuttavia, nella pratica professionale è fondamentale verificare che il socio abbia effettivamente avuto accesso all’atto presupposto e ai suoi documenti giustificativi, pena la nullità dell’accertamento per vizio di motivazione.
La questione assume particolare rilevanza quando la società risulta già estinta al momento dell’accertamento nei confronti dei soci. In questi casi, come chiarito dalla giurisprudenza più recente, l’impossibilità di accedere alla documentazione societaria potrebbe compromettere l’efficacia del rinvio per relationem, aprendo spazi per la contestazione dell’atto impositivo.