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Deducibilità Compensi amministratori: quando l’ottimizzazione incontra la legittimità

20 Maggio, 2025

I compensi degli amministratori rappresentano uno degli aspetti più delicati nella gestione fiscale delle società. La recente sentenza della Cassazione fornisce nuovi chiarimenti su un tema spesso oggetto di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria: la deducibilità dei compensi parametrati all’andamento economico dell’azienda, che spesso solleva dubbi sulla loro legittimità. Anche il welfare aziendale emerge come strumento complementare nella strutturazione delle retribuzioni degli amministratori, con un impatto fiscale vantaggioso per entrambe le parti.

La delicata questione dei compensi agli amministratori

Il compenso agli amministratori societari è, diciamolo chiaramente, una delle leve più sensibili nella pianificazione fiscale d’impresa. Da un lato rappresenta il riconoscimento economico per chi gestisce l’azienda, dall’altro – e qui sta il punto – costituisce uno strumento sempre più utilizzato per l’ottimizzazione del carico tributario complessivo.

Non è semplice trovare il giusto equilibrio. L’amministratore vuole essere adeguatamente retribuito per il proprio impegno, ma la società ha l’esigenza di contenere i costi e, soprattutto, di assicurarsi che questi siano fiscalmente deducibili. Ecco perché il tema continua a essere oggetto di approfondimento da parte della dottrina tributaria e della giurisprudenza.

Quando parliamo di deducibilità, il principio cardine è quello dell’inerenza – che, tradotto in termini pratici, significa che deve esistere una correlazione tra il costo sostenuto e l’attività d’impresa. Ma non basta. L’inerenza ha anche una dimensione quantitativa: il compenso dell’amministratore deve essere congruo rispetto alla situazione economica dell’azienda. E qui si apre un ventaglio di interpretazioni e possibili contestazioni.

L’evoluzione giurisprudenziale: da un approccio restrittivo a uno più garantista

Negli anni, la giurisprudenza tributaria ha mostrato orientamenti non sempre coerenti su questo tema. All’inizio prevaleva un approccio piuttosto rigido: l’Amministrazione finanziaria si sentiva autorizzata a sindacare la congruità dei compensi erogati, anche in assenza di anomalie formali nei documenti societari.

Ma le cose sono cambiate. Progressivamente si è affermato un indirizzo più garantista verso i contribuenti, che ha messo un freno all’arbitrarietà delle contestazioni. Si è consolidato il principio secondo cui il diritto alla deduzione fiscale va riconosciuto in assenza di prove specifiche e concrete di comportamenti abusivi.

La Cassazione, con l’ordinanza n. 1051/2025, ha finalmente fatto chiarezza in questo terreno ancora pieno di zone d’ombra. I giudici hanno stabilito un principio importante: i compensi dell’amministratore sono deducibili, anche senza parametri predefiniti, purché esista una coerenza economica con l’andamento della società. Non servono formule matematiche o percentuali prestabilite – servono ragionevolezza e proporzionalità.

In particolare, la Suprema Corte ha osservato che “l’andamento – in concreto – dei compensi dell’amministratore della società appellante… poteva dirsi coerente ed in linea con l’andamento economico e finanziario della società medesima”. Una formulazione che lascia spazio alla valutazione caso per caso, senza rigidità precostituite.

Il compenso va valutato sui mezzi, non solo sui risultati

C’è un altro aspetto interessante nella sentenza citata. La Cassazione ha precisato che “il compenso va determinato in relazione ai mezzi utilizzati per raggiungere i risultati positivi, dovendo escludere che l’obbligazione assunta dal soggetto munito dell’incarico gestorio sia quella di risultato”.

In sostanza, i giudici hanno riconosciuto che l’amministratore non può essere valutato esclusivamente sui risultati raggiunti dalla società – sarebbe riduttivo e, in alcuni casi, profondamente ingiusto. L’impegno profuso, le competenze messe in campo, il tempo dedicato sono tutti elementi che giustificano il compenso, indipendentemente dai risultati economici che, come sappiamo, possono dipendere da molteplici fattori, alcuni dei quali al di fuori del controllo dell’amministratore.

Welfare aziendale: un’opportunità anche per gli amministratori

La sentenza della Cassazione assume rilevanza anche in relazione a una pratica sempre più diffusa: l’integrazione del compenso in denaro con strumenti di welfare aziendale. Non tutti lo sanno, ma questi strumenti possono essere estesi anche ai componenti del Consiglio di amministrazione – non solo ai dipendenti.

Secondo l’Agenzia delle entrate (risposta a interpello n. 954-1417 del 2016), è possibile includere gli amministratori nei piani di welfare aziendale, a condizione che i compensi da questi percepiti siano assimilabili a quelli da lavoro dipendente. Una precisazione importante, che apre scenari interessanti per la strutturazione dei pacchetti retributivi.

In questo modo, al reddito ordinario si può affiancare una componente in beni e servizi fiscalmente esente per l’amministratore e comunque deducibile per la società. Si tratta di una forma di remunerazione complementare che consente di ridurre il carico fiscale complessivo, mantenendo però – ed è fondamentale sottolinearlo – piena legittimità e trasparenza.

I vantaggi di un approccio integrato: compenso monetario e welfare

I vantaggi di questa impostazione sono abbastanza evidenti. Da una parte, l’amministratore beneficia di una quota di compenso che non viene tassata e non sconta contributi; dall’altra, la società può dedurre integralmente il costo dei beni e servizi erogati.

Ma attenzione: l’adozione del welfare aziendale richiede il rispetto di requisiti formali e sostanziali ben precisi. La minima svista nella qualificazione del reddito o nell’applicazione della disciplina può comportare contestazioni fiscali e sanzioni, vanificando tutti i benefici sperati. Non è un percorso che si può improvvisare.

In questo contesto, la pianificazione fiscale efficace deve basarsi su dati economici verificabili, su una documentazione adeguata e su soluzioni coerenti con l’andamento dell’impresa. Il compenso dell’amministratore – sia quello monetario che quello in forma di welfare – deve inserirsi in questa logica complessiva, rispettando criteri di trasparenza e razionalità economica.

L’onere della prova: chi deve dimostrare cosa

Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza citata riguarda l’onere della prova in caso di contestazione. La Cassazione ha confermato che spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’eventuale sproporzione del compenso e le finalità elusive. Non è il contribuente a dover giustificare preventivamente le proprie scelte gestionali.

Certo, la società deve essere in grado di documentare la coerenza tra la remunerazione erogata e le dinamiche aziendali – ma questo rientra nella normale diligenza amministrativa e nella corretta tenuta della documentazione societaria.

La riduzione unilaterale del costo da parte dell’Ufficio è stata giudicata illegittima, soprattutto quando “non risponde ad alcun criterio ovvero canone di razionalità o ad alcuna valida argomentazione”. Una presa di posizione forte, che rafforza le tutele per i contribuenti.

Pianificazione fiscale: l’importanza di un approccio documentato

Da tutto questo emerge un principio fondamentale per professionisti e imprese: la pianificazione fiscale, per essere efficace e sostenibile nel tempo, deve basarsi su elementi oggettivi e verificabili. Non basta cercare il risparmio d’imposta – bisogna costruire un sistema che regga anche di fronte a eventuali verifiche e contestazioni.

Il compenso dell’amministratore, nella sua forma monetaria e in quella di welfare, rappresenta oggi un elemento strategico nella governance societaria. La recente giurisprudenza rafforza la posizione dei contribuenti che operano correttamente, ribadendo che il diritto alla deduzione deve essere valutato considerando la reale coerenza con i risultati economici della società.

Un approccio equilibrato, che sappia coniugare strumenti tradizionali e soluzioni innovative come il welfare, rappresenta la strada migliore per una pianificazione patrimoniale e fiscale che sia non solo vantaggiosa, ma anche trasparente e sostenibile nel tempo.

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