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Deducibilità abbigliamento dei professionisti: tra incertezze giurisprudenziali e pratiche applicative

1 Luglio, 2025

La determinazione delle spese deducibili per l’acquisto di abbigliamento da parte di professionisti e artisti continua a rappresentare una delle questioni più controverse nella giurisprudenza tributaria di merito. L’assenza di una disciplina specifica e le oscillazioni interpretative dei giudici tributari generano incertezze applicative che rendono necessario un esame approfondito della fattispecie.

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Il fondamento normativo e il principio di inerenza

La questione trae origine dalla disposizione di cui all’articolo 54 del TUIR, che subordina la deducibilità delle spese dal reddito di lavoro autonomo alla loro connessione funzionale con l’attività esercitata. Il legislatore richiede che i costi siano sostenuti “nell’esercizio dell’attività”, configurando un requisito di inerenza che deve tradursi in un rapporto di diretta e immediata correlazione tra spesa sostenuta e attività professionale.

Questa impostazione trova conferma nella consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inerenza va intesa come il rapporto di diretta e immediata correlazione che deve instaurarsi tra la spesa sostenuta e l’attività esercitata (Cass. n. 3198/2015).

La distinzione tra vestiario tecnico e generico

Nella prassi applicativa, emerge una distinzione fondamentale tra due categorie di abbigliamento. Il vestiario tecnico comprende indumenti caratterizzati da specifica funzionalità professionale – come la toga per gli avvocati, il camice per i medici o gli abiti di scena per i ballerini – per i quali l’inerenza appare indiscutibile e la deducibilità integrale trova pacifica accettazione.

Diversamente, il vestiario generico presenta problematiche più complesse, trattandosi di capi che possono essere utilizzati sia nell’ambito professionale sia in quello privato. Qui si concentrano le maggiori criticità interpretative e le divergenze giurisprudenziali.

Orientamenti giurisprudenziali contrastanti

Il filone favorevole alla deducibilità

La Commissione Tributaria di primo grado di Torino, con la sentenza n. 959/2/24, ha riconosciuto la deducibilità dei costi per abbigliamento sostenuti da un commercialista. Il ragionamento del collegio si è fondato sulle particolari cariche ricoperte dal contribuente e sulla circostanza che questi fosse “tenuto ad indossare abiti di qualità in occasione degli incontri con i clienti o in occasioni pubbliche, adeguati al decoro che la professione impone”.

Questo orientamento evidenzia come la valutazione dell’inerenza non possa prescindere dalle specifiche modalità di esercizio dell’attività e dal contesto professionale di riferimento.

L’orientamento restrittivo

In senso diametralmente opposto si sono espresse la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia (n. 65/2/22) e la Commissione di primo grado di Catania (n. 4567/10/24). Secondo questi orientamenti, i costi per abbigliamento e calzature risultano indeducibili in quanto privi del necessario collegamento funzionale con l’attività professionale esercitata.

Tale impostazione si fonda su una interpretazione rigida del requisito di inerenza, che esclude la rilevanza di considerazioni legate al decoro professionale o all’immagine del contribuente.

Il vestiario negli ambiti artistici e dello spettacolo

Particolare rilevanza assume la giurisprudenza relativa ai professionisti del mondo dello spettacolo, dove emerge una maggiore apertura verso il riconoscimento della deducibilità.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, nella sentenza n. 3938/15/18, ha stabilito la deducibilità al 50% dei costi per abbigliamento sostenuti da un’attrice e conduttrice televisiva, qualificando tali beni come “ad uso promiscuo”. Il ragionamento si è basato sull’obbligo contrattuale di indossare “adeguato vestiario moderno di sua proprietà”.

Analogamente, i giudici lombardi hanno riconosciuto la deducibilità parziale delle spese per abbigliamento di una cantante lirica professionale, valorizzando la circostanza che tale attività “richiede sicuramente determinati standard di immagine, la presentazione in scena con abbigliamento adatto, la partecipazione ad eventi promozionali” (C.T. Reg. Lombardia n. 949/1/22).

L’inquadramento nell’uso promiscuo

Una prospettiva interpretativa particolarmente interessante emerge dalla Commissione di secondo grado della Lombardia (n. 468/7/24), che ha affrontato il caso di una giornalista e influencer nel settore moda. I giudici hanno ritenuto che il vestiario costituisse “parte integrante del personaggio e dell’immagine che viene professionalmente spesa”, configurando una condizione strettamente collegata con l’attività svolta.

Questa impostazione apre la strada all’applicazione dell’articolo 54-quinquies, comma 3 del TUIR, che prevede la deducibilità al 50% per i beni ad uso promiscuo.

Considerazioni sulla documentazione e prova dell’inerenza

Emerge dalla casistica giurisprudenziale l’importanza cruciale della documentazione probatoria. I casi di riconoscimento della deducibilità si caratterizzano per la presenza di elementi documentali che attestano il collegamento tra spesa e attività – come clausole contrattuali specifiche, regolamenti professionali o particolari modalità di esercizio dell’attività.

La mera invocazione del decoro professionale o dell’immagine del contribuente non appare sufficiente a superare il vaglio dell’inerenza. Occorre invece dimostrare un collegamento funzionale specifico tra il costo sostenuto e la generazione dei ricavi professionali.

Profili applicativi e cautele operative

Nella pratica professionale, quando un esercente arte o professione acquista abbigliamento utilizzabile sia nell’attività sia privatamente, sembra ragionevole ipotizzare la deducibilità al 50% ex articolo 54-quinquies, comma 3 del TUIR. Tuttavia, tale approccio richiede che la correlazione tra attività e costo sia adeguatamente documentata e plausibile.

I professionisti devono pertanto prestare particolare attenzione alla conservazione di elementi probatori che possano giustificare l’inerenza della spesa, non potendosi escludere contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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