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Credito d'imposta riacquisto prima casa

Credito d’imposta riacquisto prima casa: l’Agenzia allunga i tempi a due anni

11 Novembre, 2025

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Negli ultimi mesi l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato aggiornamenti significativi al manuale relativo all’acquisto di immobili a uso abitativo, mettendo a fuoco alcune questioni che rimangono ancora piuttosto critiche per chi si muove nel mercato immobiliare. La guida, resa disponibile a ottobre 2025, contiene specificazioni che vanno oltre il semplice ripasso della normativa vigente e toccano aspetti su cui esperti e contribuenti faticavano a trovare chiarimenti. Tra le tante novità affrontate, c’è spazio per una ricognizione su come vengono tassati gli acconti versati inizialmente e i depositi cauzionali previsti nei contratti preliminari. Cosa ancora più interessante, emerge dalla lettura della guida un nuovo orientamento su uno dei benefici più gettonati: il credito d’imposta per chi riacquista una prima abitazione dopo la vendita di quella precedente. Questo tema, in particolare, solleva questioni normative tutt’altro che banali e merita un’analisi approfondita.

🕒 Cosa sapere in un minuto

Estensione del termine biennale

  • Credito d’imposta riacquisto: termine esteso a 24 mesi per alienazione ex prima casa
  • Applicabile anche ad acquisti 2024 se termine non scaduto al 31 dicembre 2024
  • Acquisto nuovo immobile + vendita vecchio entro 2 anni = agevolazione + credito conservati

Il nodo della sequenza temporale

  • Acquisto → Vendita: termine 24 mesi per rivendita e maturazione credito
  • Vendita → Acquisto: termine 12 mesi per nuovo acquisto e credito (art. 7 L. 448/98)
  • Disallineamento normativo crea disparità di trattamento tra fattispecie assimilabili

Profili di criticità

  • Possibile violazione art. 3 Cost. (parità di trattamento)
  • Beneficio riconosciuto a fattispecie non disciplinata da norma
  • Contrasto persistente Agenzia-Notariato su tassazione acconti preliminare

Raccomandazioni operative

  • Anticipare acquisto nuovo immobile per usufruire termine biennale
  • Verificare continuità agevolazione con dichiarazione intenti nel rogito
  • Consultare professionista per sequenza temporale ottimale
  • Attendere possibili chiarimenti legislativi su asimmetria normativa

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Come cambiano gli acconti e le caparre da gennaio 2025

A partire dal capodanno 2025, il quadro fiscale legato agli acconti versati e alle caparre confirmatorie ha ricevuto una configurazione diversa rispetto al passato. Le modifiche introdotte dal decreto legislativo 139 del 2024 hanno ridisegnato il sistema di tassazione per questi versamenti iniziali. Ora, chi versa una caparra confermata al preliminare oppure un acconto deve fare i conti con un’imposta di registro dello 0,5%, o comunque un prelievo non superiore a quello dovuto poi sul contratto definitivo.

La complicazione nasce però quando entra in gioco l’Iva. Se l’operazione immobiliare che seguirà è soggetta all’imposta sul valore aggiunto (circostanza abbastanza frequente), il trattamento dei versamenti iniziali cambia significativamente. Qui emerge, nella guida ufficiale, una distinzione importante: quando c’è una caparra confermata, essa rimane fuori dal campo Iva e pertanto sconta l’imposta di registro allo 0,5%, aggiungendosi poi all’imposta fissa di 200 euro dovuta per la registrazione del preliminare. Diverso il discorso se si versa un acconto: in questo caso la somma viene fatturata e assoggettata a Iva, con la conseguenza che sulla registrazione del preliminare si pagheranno due imposte fisse da 200 euro ciascuna, una sul contratto e una sull’acconto, per effetto del principio di alternatività tra Iva e registro.

L’orientamento assunto dall’amministrazione fiscale su questo punto riprende quanto già sostenuto nel passato (ricordiamo la risoluzione 311 del 2019), ma l’Ordine dei Notai ha sollevato obiezioni. Nel documento dello studio 122-2024 dell’anno scorso, infatti, il Notariato ha evidenziato come il decreto legislativo 139 del 2024, nel fissare il principio di unitarietà della tassazione lungo tutta la sequenza preliminare-definitiva, fornisca argomenti a favore dell’esclusione di un doppio prelievo di 200 euro a titolo di imposta di registro quando sul preliminare sia versato un acconto assoggettato a Iva.

L’imposta di registro versata al preliminare si sottrae da quella definitiva

Un aspetto procedimentale che la guida ribadisce riguarda la dinamica secondo cui l’imposta di registro già versata al momento del preliminare viene successivamente scalata dall’imposta dovuta al rogito definitivo. Questo meccanismo di scomputo può condurre a una situazione particolare: l’imposta di registro effettivamente dovuta sul contratto finale potrebbe risultare inferiore a mille euro, anche se l’articolo 10 comma 2 del decreto legislativo 23 del 2011 stabilisce che l’imposta di registro del 2% oppure 9% su operazioni di trasferimento immobiliare non può scendere sotto questa soglia minima.

L’interpretazione dell’Agenzia, dunque, consente una minore gravosità in situazioni dove i versamenti preliminari riducono consistentemente il carico fiscale. Ciò rappresenta una possibilità interessante per le parti coinvolte, anche se rimangono spazi di incertezza interpretativa legati al concreto funzionamento del meccanismo di sconto.

Il credito d’imposta riacquisto oggi gode di un termine più lungo

Arriviamo al nucleo centrale della questione, ossia come l’Agenzia ha riconsiderato il beneficio fiscale legato al riacquisto della prima abitazione. Nel corso dell’estate 2025, l’amministrazione ha emanato la risposta a un interpello (numero 197, datata 30 luglio) che ha chiarito un aspetto fondamentale: il raddoppio del termine concesso per vendere la vecchia casa, introdotto dalla legge di bilancio 2025, trova applicazione anche al credito d’imposta per il riacquisto.

Spieghiamolo con un’ipotesi concreta: immaginiamo che un contribuente acquisti oggi la nuova abitazione destinata a prima casa. Se procede a cedere il vecchio immobile entro ventiquattro mesi dal nuovo atto di acquisto, potrà non soltanto mantener fermo il beneficio sull’imposta di registro o Iva pagata per l’acquisto odierno, ma anche accumulare il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa. Questa è una novità sostanziale rispetto al passato, dove il termine massimo per rivendere era di dodici mesi dal momento dell’acquisto della nuova abitazione.

Dalla lettura del documento ufficiale emerge però una considerazione che genera perplessità: nel caso opposto, cioè quando un contribuente prima vende la vecchia casa e successivamente acquista la nuova, tra i due atti deve intercorrere al massimo dodici mesi affinché maturi il credito d’imposta. La situazione crea dunque un’asimmetria normativa, perché il credito dipende dalla sequenza temporale della compravendita.

Una disarmonia tra le due sequenze temporali

L’elemento che salta all’occhio, leggendo con attenzione la posizione ufficiale dell’Agenzia, è come esista uno squilibrio nel trattamento di due situazioni che dovrebbero essere sostanzialmente equiparabili. Se il contribuente prima aliena l’ex prima casa e, quindi, procede al riacquisto della nuova, il credito matura unicamente se tra i due atti decorrono massimo dodici mesi, conforme a quanto stabilito letteralmente dall’articolo 7 della legge 448 del 1998. Al contrario, se il contribuente prima acquista la nuova prima casa e in seguito cede la vecchia, il credito di imposta può maturare se tra i due atti passano fino a ventiquattro mesi, così come interpretato (estensivamente) dall’Agenzia stessa mediante la risposta 197 del 2025.

Questa difformità di trattamento lascia aperte questioni non da poco. In primo luogo, ci si interroga su possibili profili di incostituzionalità legati al principio di uguaglianza davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione): due scenari assimilabili dal punto di vista economico-sostanziale ricevono un trattamento normativo diverso, con la situazione non espressamente prevista dal testo legislativo (la rivendita posteriore al nuovo acquisto) che risulta più vantaggiosa di quella testualmente disciplinata dalla norma.

Quando il termine biennale favorisce chi non è previsto dalla legge

È interessante osservare che la norma originaria dell’articolo 7 della legge 448/1998 nemmeno contempla, nel suo linguaggio letterale, la possibilità di acquistare prima e vendere dopo. La legge parla di chi vende entro un anno e poi riacquista: è questa la sequenza disciplinata dal testo. Eppure l’Agenzia, interpretando estensivamente la ratio della norma (ovvero incentivare il ricambio del patrimonio immobiliare), ha riconosciuto il beneficio anche nel caso inverso, applicandovi il termine allargato a due anni.

Tutto ciò solleva un quesito di una certa rilevanza: se l’interprete amministrativo estende il beneficio a una fattispecie non espressamente contemplata dalla legge, può anche attribuirle condizioni più favorevoli di quelle riservate alla fattispecie testualmente prevista? Oppure non dovrebbe piuttosto allineare le due ipotesi al regime meno vantaggioso, proprio per evitare trattamenti difformi di situazioni assimilabili?

La letteratura tributaria e la dottrina hanno sottolineato come simili differenziazioni, specialmente quando premiano ipotesi non previste dalla legge, possano generare questioni rilevanti sotto il profilo costituzionale.

L’agevolazione prima casa rimane ferma al termine di due anni

Un chiarimento riguarda l’agevolazione vera e propria della prima casa. L’allargamento del termine da uno a due anni, introdotto dalla manovra finanziaria 2025, vale integralmente per chi desideri mantener ferma l’applicazione dell’aliquota agevolata del 2% sull’imposta di registro (oppure l’esenzione Iva in caso di immobili nuovi). Se io acquisto con agevolazione prima casa e vendo l’immobile precedente entro ventiquattro mesi, conservo il beneficio su entrambi gli atti.

Tuttavia, per quanto riguarda il credito d’imposta specificamente collegato al riacquisto, il discorso è leggermente diverso. Qui bisogna guardare al temporale tra alienazione della vecchia casa e acquisto della nuova: il credito spetta se tale lasso temporale non supera dodici mesi dalla rivendita, salvo l’interpretazione estensiva dell’Agenzia per il caso di acquisto anticipato rispetto alla vendita.

È importante precisare: se io compro nuova prima casa e vendo quella vecchia tra uno e due anni dal nuovo acquisto, mantengo l’agevolazione sul nuovo acquisto, ma perdo il credito d’imposta specifico. Il credito, invece, mi spetta (secondo l’amministrazione) se la vendita avviene entro ventiquattro mesi dall’acquisto.

Prospettive di modifica normativa per recuperare coerenza

L’asymmetria evidenziata ha indotto commentatori esperti e stessi professionisti del settore a riflettere sulla necessità di un intervento legislativo correttivo. Una soluzione auspicabile consisterebbe nell’adeguare il dettato letterale dell’articolo 7 della legge 448/1998 a quello che disciplina l’agevolazione prima casa (cui rimanda la Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 131/1986), estendendo il termine biennale a entrambe le fattispecie e alle loro varianti sequenziali.

In tal modo, sia chi vende prima e acquista dopo, sia chi acquista prima e vende dopo, potrebbe contare su identici archi temporali, eliminando così ogni profilo di disparità. Una simile riforma normativa comporterebbe indubbio beneficio in termini di chiarezza, certezza del diritto e conformità al principio costituzionale di parità di trattamento.

Ad oggi, tuttavia, questa correzione non è stata apportata. Pertanto, i contribuenti interessati dall’una o dall’altra sequenza temporale devono orientarsi sulla base dell’interpretazione amministrativa finora fornita, consapevoli che eventuali sviluppi giurisprudenziali potrebbero modificare l’assetto attuale.

Le implicazioni per chi progetta il riacquisto

Da un punto di vista pratico, chi intende riacquistare una prima casa beneficiando sia dell’agevolazione sia del credito d’imposta deve ponderare con attenzione la tempistica della transazione. Se l’obiettivo è massimizzare i vantaggi, l’acquisto della nuova abitazione dovrebbe precedere la vendita della vecchia, così da usufruire dell’estensione biennale per la rivendita. Naturalmente, ciò presuppone la disponibilità economica per portare avanti due transazioni a breve distanza temporale.

Al contrario, se la logica è prima vendere e poi acquistare, il termine è più stringente (dodici mesi) e non beneficia dell’allargamento introdotto dalla legge di bilancio 2025. Questo crea una situazione dove la sequenza temporale prescelta incide notevolmente sulla realizzabilità concreta del beneficio.

I professionisti consulenti, quindi, hanno l’onere di illustrare al cliente le implicazioni di ciascun percorso, suggerendo la soluzione più conveniente e realistica alla luce delle circostanze specifiche.

La questione rimane ancora contesa tra amministrazione e notariato

Vale la pena sottolineare che su alcuni punti del regime transitorio e della tassazione degli acconti, la posizione dell’Agenzia e quella della categoria notarile continuano a presentare letture difformi. L’amministrazione sostiene l’applicabilità della doppia imposta fissa (200+200 euro) quando sul preliminare sia versato un acconto assoggettato a Iva. Il Notariato, invece, contesta questa interpretazione sulla base della riforma introdotta dal decreto legislativo 139/2024, ritenendo che il principio di unitarietà della tassazione dovrebbe escludere un simile duplice prelievo.

Finché la questione non sia risolta definitivamente (magari tramite una circolare chiarificatrice o, eventualmente, un intervento della magistratura amministrativa), i professionisti coinvolti nelle transazioni rimangono esposti a una zona di incertezza non irrilevante. La prassi notarile tende a conformarsi alla posizione dell’Agenzia per evitare contenziosi successivi, ma ciò non elimina completamente le perplessità sulla solidità interpretativa di questa impostazione.

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