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Crediti IVA bloccati per le società di comodo: la disciplina italiana al vaglio UE

21 Maggio, 2025

Le società di comodo continuano a trovarsi in un limbo normativo che impedisce loro di recuperare i crediti IVA maturati, nonostante le censure espresse dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha recentemente confermato che, in assenza di modifiche all’articolo 30, comma 4, della legge 724/1994, queste società non potranno ottenere alcuna soluzione operativa per il rimborso dei crediti IVA annuali. La situazione attuale risulta particolarmente problematica per le imprese non operative o per quelle che si trovano in perdita sistematica, le quali rimangono intrappolate in un sistema che appare in contrasto con i principi comunitari.

La sentenza UE e il contrasto con la normativa italiana

La Corte di Giustizia UE, con la sentenza C-341/22 del marzo 2024, ha chiaramente censurato le modalità con cui la disciplina italiana contrasta le frodi fiscali e l’abuso della detrazione IVA. Il Ministero, pur riconoscendo questa censura, ha sostenuto in commissione Finanze alla Camera – rispondendo a un’interrogazione presentata da Fratelli d’Italia – che la sentenza non stabilisce un obbligo degli Stati membri di contrastare tali fenomeni.

C’è da dire che il MEF si è trovato un po’ in difficoltà nel giustificare la propria posizione. Da un lato ammette che la Corte ha censurato la normativa italiana, dall’altro sostiene che questa censura non impone necessariamente modifiche immediate. Insomma, un equilibrismo interpretativo che lascia le società di comodo in un limbo giuridico-fiscale.

Nel dettaglio, il punto 36 della sentenza critica proprio le “costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica, realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”. Però – ed è un però importante – al successivo punto 37, la Corte precisa che le misure adottate dagli Stati per assicurare la corretta riscossione dell’IVA devono rispettare certi limiti: non possono eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi e non devono “sistematicamente mettere in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA”.

Presunzioni e principio di neutralità fiscale

Un aspetto particolarmente controverso della normativa italiana riguarda il meccanismo presuntivo. La Corte, infatti, nel punto 40 della sentenza afferma con chiarezza che la detrazione può essere negata solo quando i fatti invocati per dimostrare evasione o abuso siano “sufficientemente dimostrati” e non basati su mere “presunzioni”.

E qui sta il nodo centrale della questione. La disciplina italiana sulle società di comodo si fonda esattamente su un sistema di presunzioni che, secondo la Corte, non appare giustificato. La neutralità dell’IVA – principio cardine del sistema comunitario – viene compromessa da una normativa che nega automaticamente il diritto alla detrazione.

Il MEF, nella sua risposta in commissione, ha concordato che la revisione della disciplina è stata solo “parzialmente avviata” con la rilevazione dei coefficienti per i test di operatività e il calcolo del reddito minimo, ma, al momento, l’articolo 30, comma 4, non è stato ancora “adeguato” ai principi di giustizia UE e della Cassazione.

Prospettive e rischi per i contribuenti

La questione non è meramente teorica, ma ha risvolti pratici significativi. L’eventuale invio di integrative a favore – ipotesi che potrebbe sembrare logica alla luce della sentenza – comporterebbe la riapertura di “rapporti esauriti” con potenziali “effetti sul gettito” che il Ministero preferirebbe evitare.

Questo significa che, nella pratica, un contribuente che volesse recuperare crediti IVA bloccati a causa della disciplina delle società di comodo si troverebbe di fronte a un muro normativo. Anche se – in teoria – la sentenza europea gli darebbe ragione.

Per fare un esempio concreto: una società immobiliare che detiene proprietà in attesa di valorizzazione, senza generare ricavi sufficienti per superare il test di operatività, potrebbe aver accumulato crediti IVA significativi per spese di manutenzione o ristrutturazione. Nonostante questi crediti derivino da operazioni reali ed economicamente giustificate, la società si vedrebbe negare il rimborso o la compensazione solo per il fatto di essere qualificata come “non operativa”.

Le criticità del sistema presuntivo

La disciplina delle società di comodo, introdotta per contrastare fenomeni elusivi, si basa su parametri matematici che creano una presunzione relativa di “non operatività”. Tale presunzione, tuttavia, risulta spesso difficile da superare nella pratica, anche per aziende con attività economiche reali ma semplicemente in fase di start-up o in temporanea difficoltà.

Il conflitto tra la normativa nazionale e quella comunitaria emerge proprio su questo punto: l’automatismo con cui viene negato il diritto alla detrazione dell’IVA appare sproporzionato rispetto all’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale. La Corte di Giustizia UE richiede che l’evasione o l’abuso siano concretamente dimostrati, non semplicemente presunti.

Un altro aspetto problematico è la retroattività: numerose società hanno accumulato crediti IVA nel corso degli anni, confidando nella possibilità di un loro futuro utilizzo. La mancata modifica della normativa italiana, nonostante la censura europea, lascia questi crediti in un limbo, con il rischio che diventino di fatto irrecuperabili.

Quali possibili soluzioni?

In attesa di una necessaria modifica normativa, i contribuenti potrebbero valutare alcune strategie. Una potrebbe essere quella di presentare istanze di rimborso basate direttamente sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, facendo leva sul principio di prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale.

Un’altra via potrebbe essere quella del contenzioso, benché questo comporti tempi e costi non trascurabili. I tribunali italiani, infatti, sono tenuti a disapplicare le norme nazionali in contrasto con il diritto dell’Unione, e la sentenza C-341/22 offre un solido fondamento giuridico per sostenere le ragioni del contribuente.

Va comunque detto che la situazione rimane incerta finché il legislatore non interverrà con una modifica esplicita dell’articolo 30, comma 4, della legge 724/1994. Solo allora le società di comodo potranno avere la certezza di recuperare i propri crediti IVA senza dover affrontare procedure contenziose o interpretazioni controverse delle norme.

Nel frattempo, i professionisti del settore si trovano a dover navigare in acque agitate, cercando di bilanciare il rispetto delle norme nazionali con la tutela dei diritti riconosciuti a livello comunitario. Una situazione, insomma, che richiede competenza tecnica e capacità di analizzare caso per caso le diverse situazioni.

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