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Correzione Errori Contabili

Correzione Errori Contabili: l’analisi di Assonime

10 Luglio, 2025

Con la circolare n. 16 di luglio 2025, Assonime torna a battere un tasto che ormai da tre anni tiene in scacco commercialisti e revisori: quello della rilevanza fiscale delle correzioni contabili. E stavolta l’Associazione sembra voler forzare la mano, sostenendo che anche gli errori di qualificazione e quantificazione dovrebbero rientrare nel perimetro applicativo della norma. Dal 2022, quando il decreto-legge 73 ha modificato l’articolo 83 del TUIR, le imprese con bilancio sottoposto a revisione legale possono correggere gli errori contabili direttamente nell’esercizio di correzione, senza ricorrere alla dichiarazione integrativa. Una semplificazione che sulla carta doveva snellire le procedure, ma che nella realtà ha aperto una serie di problematiche interpretative tutt’altro che marginali.

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Le risposte dell’Agenzia: una strada in salita

Le recenti risposte a interpello nn. 73/2024 e 63/2025 dell’Agenzia delle Entrate hanno fornito alcuni chiarimenti, ma non hanno dissipato tutti i dubbi. Anzi, se possibile, hanno reso il quadro ancora più complesso. Nella risposta 63, in particolare, il Fisco si è trovato ad esaminare un caso di errata classificazione di un componente negativo di reddito – un errore che aveva comportato un’imputazione temporale sbagliata del costo.

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Il dato interessante, secondo Assonime, è che l’Agenzia ha riconosciuto la rilevanza fiscale anche a questo tipo di errore. Non si trattava, insomma, del classico errore di imputazione temporale che tutti si aspettavano di vedere coperto dalla norma, ma di qualcosa di più sottile: un errore di qualificazione contabile che aveva trascinato con sé conseguenze temporali.

“La circostanza che l’Amministrazione finanziaria abbia riconosciuto la rilevanza fiscale della correzione dell’errore anche in tale caso”, scrive Assonime nella sua circolare, “sembra deporre nel senso di ricomprendere nell’ambito oggettivo della disciplina la generalità degli errori contabili”. Una lettura estensiva che, se confermata nella prassi, rivoluzionerebbe l’approccio al tema.

Sanzioni: un nodo ancora da sciogliere

Sul fronte sanzionatorio, la questione si fa ancora più delicata. Secondo Assonime, con la risposta 63/2025, l’Agenzia delle Entrate sembra ribadire implicitamente che la correzione contabile fa venir meno ex tunc il presupposto applicativo delle sanzioni per infedele dichiarazione.

Tradotto in parole povere: se correggi l’errore secondo la nuova disciplina, è come se l’errore non fosse mai esistito. Un principio che suona musica alle orecchie dei contribuenti, ma che lascia aperti molti interrogativi pratici. Cosa succede, ad esempio, se l’errore viene scoperto durante un controllo? E se la correzione avviene dopo l’avvio di un accertamento?

Il paradosso è che questa interpretazione, pur favorevole al contribuente, poggia su basi ancora traballanti. L’Agenzia, infatti, non si è mai espressa in modo esplicito sulla questione, limitandosi a suggerimenti impliciti che i professionisti devono decifrare come moderni crittografi.

La battaglia degli ambiti: cosa rientra e cosa no

Ma è sull’ambito oggettivo che si gioca la partita più importante. Fino ad oggi, la prassi aveva sostanzialmente limitato l’applicazione della norma agli errori di imputazione temporale – quelli, per intenderci, in cui un costo o un ricavo finiscono nell’esercizio sbagliato. Ma Assonime vuole alzare l’asticella.

Nella visione dell’Associazione, la disciplina dovrebbe abbracciare tre categorie di errori:

  • Gli errori di imputazione temporale (già sostanzialmente accettati).
  • Gli errori di qualificazione (quelli che riguardano la natura giuridica dell’operazione).
  • Gli errori di quantificazione (quelli che incidono sull’ammontare delle poste).

È una lettura audace, che amplia notevolmente il perimetro applicativo. Ma è anche una lettura che poggia su un caso singolo – quello esaminato nella risposta 63/2025 – che potrebbe non essere sufficiente a sostenere un’interpretazione così estensiva.

Il rebus delle modalità applicative

Se il “cosa” è complesso, il “come” non è da meno. La questione delle modalità con cui le poste correttive assumono rilevanza fiscale è infatti uno dei nodi più intricati dell’intera disciplina.

Sul tavolo ci sono due tesi principali. La prima vorrebbe attribuire alla posta correttiva la stessa rilevanza fiscale che avrebbe avuto nel periodo originario – una sorta di “macchina del tempo” fiscale che riporta tutto alle condizioni di partenza. La seconda – quella che Assonime considera più corretta – prevede invece che la correzione assuma rilevanza nell’esercizio di correzione, seguendo le regole vigenti in quel momento.

L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, sembra navigare a vista con una soluzione “intermedia” che cambia a seconda del tipo di errore. Per alcune tipologie di errori, in particolare quelli riguardanti la quota capitale dei canoni di locazione e le quote di ammortamento, viene adottata la prima tesi interpretativa, ripristinando di fatto la situazione fiscale che sarebbe emersa in assenza dell’errore contabile.

Ma per altre poste – quelle legate al ROL fiscale dell’articolo 96 del TUIR – si applicano regole diverse. Un approccio che, pur comprensibile sul piano tecnico, rischia di creare un ginepraio interpretativo di difficile gestione.

Correzione Errori Contabili: una corsa contro il tempo

Un altro aspetto cruciale – e spesso sottovalutato – riguarda i tempi entro cui deve perfezionarsi la correzione. Secondo Assonime, il ritardo nell’approvazione del bilancio o nell’ottenimento della revisione non dovrebbe pregiudicare l’applicazione della disciplina, purché il bilancio venga approvato e revisionato al più tardi entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi.

È un principio di buon senso, che tiene conto delle complessità operative che molte società si trovano ad affrontare. Spesso, infatti, l’approvazione del bilancio slitta per motivi che esulano dalla volontà dell’impresa: problemi tecnici, questioni legali, difficoltà nel reperimento di informazioni. In questi casi, sarebbe paradossale far perdere il beneficio della semplificazione per ritardi non imputabili alla società.

Ma anche qui mancano conferme ufficiali. L’Agenzia non si è mai pronunciata esplicitamente sulla questione, lasciando i professionisti in una zona grigia che non aiuta certo la pianificazione fiscale.

Casi pratici: quando la teoria incontra la realtà

Per comprendere meglio le implicazioni pratiche, consideriamo alcuni esempi concreti che si presentano quotidianamente negli studi professionali.

Caso 1 – Errore di classificazione: Una società ha erroneamente classificato l’acquisto di due automezzi come “costi per materie prime” anziché come “ammortamenti”. L’errore, scoperto nell’esercizio successivo, comporta la necessità di stornare la voce errata e riclassificare correttamente l’operazione. Secondo l’interpretazione Assonime, questa correzione dovrebbe avere piena rilevanza fiscale.

Caso 2 – Errore di quantificazione: Un’impresa ha applicato un’aliquota di ammortamento del 15% anziché del 10% su un macchinario. La correzione nell’esercizio successivo comporta uno storno della quota eccedente e la rilevazione della quota corretta. Anche in questo caso, la rilevanza fiscale dovrebbe essere riconosciuta.

Caso 3 – Errore temporale classico: Un costo di competenza dell’esercizio 2024 viene erroneamente imputato al 2025. La correzione nel 2025 comporta lo storno del costo e la sua reimputazione corretta. Questo è il caso “semplice” che tutti danno per scontato rientri nella disciplina.

Ma cosa succede se gli errori si intrecciano tra loro? Se, ad esempio, un errore di classificazione comporta anche un errore di quantificazione e uno di imputazione temporale? La disciplina attuale non fornisce risposte chiare, lasciando i professionisti a navigare a vista.

Le criticità procedurali: un labirinto burocratico

Dal punto di vista procedurale, l’applicazione della disciplina presenta diverse zone d’ombra che meritano attenzione. In primo luogo, la questione della documentazione: come deve essere documentata la correzione per avere rilevanza fiscale? È sufficiente la semplice annotazione in contabilità o servono specifiche procedure?

La prassi sta orientandosi verso un approccio sostanzialista: l’importante è che la correzione sia chiaramente identificabile e riconducibile all’errore originario. Ma mancano linee guida precise che possano orientare i professionisti nella predisposizione della documentazione di supporto.

Un secondo aspetto riguarda il coordinamento con il revisore legale. La norma richiede che il bilancio sia sottoposto a revisione, ma non specifica se il revisore debba espressamente pronunciarsi sulla correzione degli errori. Nella pratica, molti revisori inseriscono specifiche osservazioni nella relazione, ma non è chiaro se questo sia un requisito sostanziale o meramente formale.

Il confronto con altre discipline: un quadro disomogeneo

Interessante è anche il confronto con altre discipline fiscali che affrontano tematiche analoghe. Il regime delle dichiarazioni integrative, ad esempio, prevede regole precise sui termini e sulle modalità applicative. La disciplina del consolidato fiscale ha sviluppato una prassi consolidata sulla gestione degli errori tra società del gruppo.

Ma la disciplina della correzione degli errori contabili sembra viaggiare su un binario separato, con regole proprie che non sempre si coordinano armonicamente con il resto del sistema. Questo crea inevitabili zone di attrito che i professionisti devono gestire caso per caso.

Le prospettive: verso un intervento normativo?

Di fronte a questo scenario, Assonime auspica un tempestivo intervento normativo che faccia chiarezza una volta per tutte. Un auspicio che trova d’accordo tutto il mondo professionale, stanco di navigare in acque così tempestose.

Le opzioni sul tavolo sono diverse. Si potrebbe intervenire con un decreto ministeriale che fornisca chiarimenti operativi dettagliati. Oppure si potrebbe modificare direttamente la norma primaria, specificando meglio l’ambito applicativo e le modalità operative.

L’alternativa è affidarsi all’evoluzione della prassi amministrativa, sperando che l’Agenzia delle Entrate fornisca gradualmente chiarimenti attraverso circolari e risposte a interpello. Ma questa strada, pur percorribile, rischia di essere lunga e tortuosa.

Riflessioni conclusive: tra opportunità e incertezze

La disciplina della correzione degli errori contabili rappresenta indubbiamente un’opportunità di semplificazione per le imprese. Evitare la dichiarazione integrativa significa non solo risparmiare tempo e costi, ma anche ridurre il rischio di errori procedurali che potrebbero compromettere l’efficacia della correzione.

Ma le incertezze interpretative ancora irrisolte rischiano di vanificare questi benefici. Un professionista che deve consigliare un cliente si trova spesso costretto a scegliere tra l’approccio più prudenziale – quello che limita l’applicazione della disciplina ai casi certi – e quello più aggressivo – che sfrutta al massimo le interpretazioni estensive.

In questo contesto, la posizione di Assonime rappresenta un importante contributo al dibattito. L’interpretazione estensiva proposta dall’Associazione potrebbe aprire nuovi scenari applicativi, ma richiede conferme autorevoli per poter essere applicata con tranquillità.

Il mondo professionale resta in attesa di sviluppi che possano finalmente fare chiarezza su una materia che, tre anni dopo la sua introduzione, continua a generare più domande che risposte. Nel frattempo, la prudenza rimane la virtù principale per chi deve gestire questi aspetti nella pratica quotidiana.

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