Il sipario cala sul superbonus, ma per migliaia di proprietari si apre una stagione di verifiche che potrebbe rivelarsi ben più costosa degli interventi stessi. L’Agenzia delle Entrate intensifica i controlli e punta l’attenzione sui beneficiari finali, anche quando questi hanno agito in completa buona fede. Una coda lunga di contenziosi che rischia di travolgere chi aveva semplicemente approvato i lavori in assemblea condominiale.
La chiusura formale del superbonus a fine 2025 (con aliquota ridotta al 65%) non rappresenta affatto un punto di arrivo. Anzi. Secondo gli ultimi dati ENEA aggiornati a ottobre 2025, quasi 139.000 edifici condominiali hanno avviato interventi con questa misura, e circa il 5% presenta ancora cantieri incompleti o criticità documentali. Numeri che si traducono in potenziali contestazioni per decine di migliaia di famiglie.
L’amministrazione finanziaria ha avviato una fase operativa che durerà anni. I tecnici dell’Agenzia stanno passando al setaccio non solo le imprese e i professionisti coinvolti, ma anche i condomini stessi. La logica è semplice, anche se brutale: secondo quanto previsto dall’art. 119 del D.L. 34/2020, il beneficiario ultimo della detrazione risponde in prima persona delle irregolarità, a prescindere dal coinvolgimento diretto in eventuali truffe.
Cantieri fermi e requisiti mancanti
Il caso più frequente riguarda i lavori mai portati a termine. Una situazione che può sembrare banale, ma che nasconde risvolti pesanti sul piano fiscale. Se un cantiere si blocca prima del completamento, viene meno uno dei requisiti fondamentali per accedere al superbonus: l’effettiva esecuzione delle opere. Le Entrate, a quel punto, non potranno che recuperare l’intero importo del credito d’imposta già utilizzato.
Per il vecchio 110%, poi, c’è un altro elemento imprescindibile da considerare. Bisognava raggiungere il salto di due classi energetiche. Se i tecnici incaricati dei controlli accertano che questo obiettivo non è stato centrato, scatta automaticamente la decadenza dal beneficio. Non importa se i lavori sono stati completati o se il condominio ha speso migliaia di euro: senza il miglioramento certificato, il diritto alla detrazione svanisce.
E qui emerge il primo paradosso: chi ha dato il via libera ai lavori in assemblea, fidandosi delle asseverazioni tecniche e della serietà dell’impresa, si ritrova oggi a dover fronteggiare richieste di restituzione che possono raggiungere cifre considerevoli. Parliamo non solo dell’importo del credito, ma anche di sanzioni al 25% e interessi che si accumulano nel tempo.
Il nodo dei materiali “fantasma” nei SAL
Tra i profili più insidiosi che stanno emergendo c’è quello legato al computo dei materiali negli Stati di Avanzamento Lavori. Nella prassi operativa degli ultimi anni, molte imprese hanno incluso nei SAL anche materiali già pagati ma non ancora installati. Una scelta dettata spesso dalla necessità di rispettare le scadenze ravvicinate imposte dalla normativa, soprattutto nel passaggio dal 110% alle aliquote inferiori.
Ora però questa modalità finisce dritta nel mirino dei verificatori. L’Agenzia delle Entrate sta contestando la legittimità di questa procedura, sostenendo che il credito d’imposta spetta solo per interventi effettivamente realizzati. Risultato: chi ha inserito materiali non posati nei SAL per centrare le scadenze rischia di vedersi recuperare quelle somme, anche se i lavori sono poi stati completati nei mesi successivi.
Prendiamo il caso di un condominio che ha approvato lavori per 500.000 euro. L’impresa, per rispettare la deadline del 31 dicembre, ha fatturato e incluso nel SAL finale anche materiali consegnati ma non installati, per un valore di 80.000 euro. Questi elementi vengono poi montati nei primi mesi dell’anno successivo. Tecnicamente i lavori sono completi e il risultato energetico raggiunto, ma sul piano formale quella porzione di credito potrebbe essere contestata perché riferita a opere non ancora eseguite alla data indicata nel SAL.
Le responsabilità che ricadono sui condomini
C’è un aspetto che molti sottovalutano. Quando l’Agenzia delle Entrate accerta irregolarità, si rivolge al soggetto che ha fruito della detrazione, ossia il condominio o i singoli proprietari. Poco importa se l’errore è stato commesso da un tecnico nell’asseverazione o da un’impresa nella documentazione dei lavori.
La normativa fiscale è chiara: chi ha utilizzato il credito ne risponde direttamente. Ovviamente i condomini potranno poi rivalersi in sede civile nei confronti dei professionisti o delle aziende che hanno causato il danno, ma intanto devono fare i conti con il Fisco. E spesso si tratta di cifre che vanno restituite in un’unica soluzione, senza possibilità di rateizzazione come era stato invece previsto per lo sconto fiscale originario.
Secondo i dati della Guardia di Finanza, al novembre 2025 sono stati sequestrati oltre 9,3 miliardi di euro di crediti d’imposta inesistenti legati ai bonus edilizi. Una cifra enorme, che però va rapportata ai 219,5 miliardi di crediti complessivamente ceduti o utilizzati in sconto: parliamo di circa il 4% del totale. Un fenomeno grave, certo, ma non così diffuso come certa narrazione mediatica potrebbe far pensare.
Controlli a tappeto sulle asseverazioni tecniche
L’attenzione degli uffici si concentra anche sulla qualità delle asseverazioni. I tecnici abilitati hanno l’obbligo di certificare non solo la congruità delle spese, ma anche il rispetto dei requisiti tecnici previsti dalla normativa. Quando emergono discrepanze tra quanto dichiarato e quanto effettivamente realizzato, scattano le contestazioni.
Un esempio concreto può chiarire la questione. Supponiamo che un condominio abbia realizzato un cappotto termico e la sostituzione della caldaia centralizzata. Il tecnico asseveratore certifica che i lavori permettono il salto di due classi energetiche, da G a E. Durante i controlli successivi, l’ENEA o i tecnici incaricati dall’Agenzia delle Entrate verificano che in realtà il miglioramento effettivo porta solo dalla classe G alla F, quindi una sola classe.
In questo scenario, il condominio perde il diritto al superbonus. Potrà eventualmente rientrare nell’ecobonus ordinario (con aliquota molto inferiore), ma la differenza dovrà essere restituita, con sanzioni e interessi. Il tecnico che ha rilasciato l’asseverazione incorretta risponderà in sede professionale e penale, ma questo non cambia la posizione fiscale del committente.
Le frodi e il coinvolgimento dei general contractor
Nei casi più gravi, le verifiche hanno fatto emergere veri e propri schemi fraudolenti. Società che risultano intestate a prestanome, che emettono fatture per lavori mai eseguiti, che utilizzano documentazione falsa per generare crediti d’imposta da rivendere poi sul mercato. La Guardia di Finanza ha scoperto casi in cui imprese hanno dichiarato interventi per oltre 20 milioni di euro, creando crediti fasulli per circa 9 milioni.
Ma anche quando non c’è dolo, possono verificarsi situazioni problematiche. General contractor che spariscono dopo aver incassato gli acconti, lasciando cantieri a metà. Subappaltatori che eseguono lavori difformi da quanto progettato. Materiali di qualità inferiore rispetto a quelli previsti nel capitolato.
In tutti questi casi, la domanda che si pongono i condomini è: perché dovremmo pagare noi? La risposta è nel meccanismo stesso del superbonus, che ha spostato il rischio fiscale sul beneficiario finale. Chi ha optato per lo sconto in fattura o la cessione del credito ha di fatto anticipato un beneficio che lo Stato verifica solo successivamente. Se emergono irregolarità, il recupero va fatto presso chi ha già goduto del vantaggio fiscale.
Controlli che dureranno otto anni
Va considerato un altro elemento temporale cruciale. L’Agenzia delle Entrate ha otto anni di tempo per effettuare le verifiche e notificare eventuali avvisi di recupero. Questo significa che anche chi ha concluso i lavori nel 2021 o 2022 potrebbe ricevere contestazioni fino al 2029 o 2030. Una prospettiva che tiene appesi migliaia di contribuenti per quasi un decennio.
Il quadro è reso ancora più complesso dal fatto che i controlli non si limitano alla verifica documentale. In molti casi vengono effettuati sopralluoghi tecnici per accertare che gli interventi dichiarati corrispondano alla realtà. E qui possono emergere difformità di ogni tipo: dalla mancata installazione di alcuni componenti all’utilizzo di materiali diversi da quelli certificati, fino a errori nelle modalità di posa che compromettono l’efficacia dell’intervento.
Le uniche vie d’uscita: documentazione e assistenza legale
Di fronte a questo scenario, chi ha utilizzato il superbonus deve muoversi con estrema attenzione. La prima regola è conservare tutta la documentazione: fatture, bonifici parlanti, asseverazioni, SAL, comunicazioni all’ENEA, delibere assembleari, contratti con le imprese. Ogni elemento può rivelarsi decisivo in caso di contestazione.
Quando arriva una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate (ne sono state inviate già oltre 500.000 nel 2025), non va sottovalutata. Si tratta spesso di richieste di chiarimenti che, se gestite correttamente, possono evitare conseguenze più gravi. Fornire la documentazione richiesta nei termini previsti, dimostrare la buona fede e l’effettiva esecuzione dei lavori può fare la differenza.
In presenza di contestazioni formali, diventa indispensabile l’assistenza di professionisti specializzati. Commercialisti, avvocati tributaristi e tecnici possono valutare la fondatezza delle pretese dell’amministrazione finanziaria e decidere se sia opportuno presentare memorie difensive, attivare procedure di autotutela o, nei casi più complessi, procedere con un ricorso alla giustizia tributaria.
Il futuro post-superbonus per i condomini
Con la chiusura definitiva del superbonus (salvo le zone sismiche che mantengono il 110% fino a fine 2025), i condomini che vogliono proseguire con interventi di riqualificazione devono ripiegare su altre misure. L’ecobonus ordinario resta disponibile, ma con aliquote molto inferiori: 36% dal 2026, rispetto al 50% del 2025 per le prime case.
Anche il sismabonus continua a esistere, con percentuali che variano in base al miglioramento della classe di rischio sismico raggiunto. Ma le modalità di accesso sono più complesse e, soprattutto, è venuta meno la possibilità di cedere il credito o utilizzare lo sconto in fattura (eliminata dal D.L. 11/2023).
Questo nuovo scenario richiede una pianificazione molto più attenta. I condomini devono valutare se hanno la capienza fiscale sufficiente per assorbire le detrazioni in quattro o dieci anni. Chi non ha redditi adeguati rischia di perdere una parte consistente del beneficio, rendendo meno conveniente l’operazione dal punto di vista economico.
La stagione del superbonus si chiude quindi lasciando dietro di sé non solo edifici riqualificati (oltre 538.000 condomini secondo i dati ENEA), ma anche una lunga coda di verifiche, contenziosi e incertezze che accompagneranno proprietari e professionisti per gli anni a venire. Una lezione per tutti: quando si accede a incentivi fiscali di questa portata, la prudenza nella gestione degli aspetti formali vale quanto la qualità tecnica degli interventi.



