Il 13 marzo scorso il Governo ha dato il via libera preliminare al secondo intervento correttivo sul Concordato Preventivo Biennale, uno strumento che sta mostrando alcune fragilità strutturali. Le Commissioni parlamentari stanno ora esprimendo i loro pareri – necessari ma non vincolanti – prima dell’approvazione definitiva. E proprio dal Senato emergono le critiche più incisive, con proposte concrete che potrebbero cambiare il volto dell’istituto.
Il percorso normativo e i primi riscontri parlamentari
Il secondo decreto correttivo sul Concordato Preventivo Biennale sta seguendo l’iter previsto: dopo l’approvazione preliminare da parte del Governo, il provvedimento è stato sottoposto all’esame delle Commissioni parlamentari. I primi pareri sono arrivati tra il 7 e l’8 maggio.
La Camera dei Deputati, attraverso le Commissioni Finanze e Bilancio, ha espresso un parere sostanzialmente favorevole, limitandosi ad alcune osservazioni tecniche. Più articolata la posizione del Senato: mentre la Commissione Bilancio ha formulato un giudizio non ostativo (con osservazioni), è dalla Commissione Finanze che arrivano le critiche più strutturate.
Il presidente Massimo Garavaglia, infatti, ha firmato l’8 maggio un parere che evidenzia diverse problematiche nell’impianto attuale, riprendendo peraltro preoccupazioni già manifestate lo scorso anno, quando il CPB era in fase di istituzione.
La soglia critica dell’incremento reddituale
Il nodo centrale riguarda l’attrattività dello strumento. La Commissione Finanze del Senato ha ribadito la necessità di porre un tetto chiaro alle proposte di incremento del reddito concordato – un punto già sollevato durante la fase istitutiva, ma evidentemente non recepito in modo adeguato.
Il Concordato Preventivo Biennale rischia di diventare una scatola vuota se le proposte formulate dall’Agenzia delle Entrate continueranno a prevedere aumenti troppo consistenti del reddito. Nel dettaglio, la Commissione ritiene che gli incrementi superiori al 10% rispetto al reddito dell’anno di riferimento rappresentino una soglia critica, oltre la quale molti contribuenti – è facile immaginarlo – potrebbero semplicemente non vedere alcun vantaggio nell’adesione.
Non è un caso che i numeri delle prime adesioni non abbiano entusiasmato. Con proposte di incremento spesso ben superiori alla soglia indicata, molti professionisti e imprenditori hanno preferito restare fuori dallo strumento.
Il problema degli scostamenti significativi
Un altro aspetto problematico riguarda il trattamento degli scostamenti significativi tra reddito concordato e reddito effettivo. Il nuovo schema di decreto correttivo prevede un inasprimento dell’imposta sostitutiva per i soggetti che nel biennio 2025-2026 presenteranno una differenza tra reddito concordato e reddito effettivo del periodo precedente superiore a 85.000 euro.
In particolare, sulla parte eccedente questa soglia, per i contribuenti Irpef scatterebbe l’aliquota massima del 43% – una vera e propria stangata che, secondo la Commissione, appare difficilmente conciliabile con la filosofia stessa dell’istituto.
La previsione, osserva Garavaglia, “non appare in linea con il disegno complessivo dell’istituto” e rischia di provocare un vero e proprio crollo delle adesioni nei prossimi bienni. La proposta alternativa è di innalzare la soglia a 100.000 euro – un margine più ampio che potrebbe risultare meno penalizzante.
Le ipotesi di decadenza e le proposte migliorative
Quanto alla decadenza dal concordato, il parere della Commissione contiene suggerimenti che vanno nella direzione di una maggiore flessibilità. Una delle proposte più significative prevede che l’accordo con il Fisco non debba necessariamente venire meno nel caso in cui il contribuente provveda a regolarizzare eventuali importi richiesti tramite avviso bonario entro 60 giorni.
Parallelamente, si propone di consentire una rettifica in diminuzione del reddito concordato per tenere conto della maxi-deduzione del 120% prevista per le nuove assunzioni – un meccanismo che garantirebbe maggiore equità nella determinazione dell’imponibile.
C’è poi un aspetto più tecnico ma non meno rilevante: la Commissione chiede che venga chiarita, attraverso una circolare esplicativa, la distinzione tra le diverse ipotesi che determinano l’esclusione dal concordato. L’obiettivo è evitare che i maggiori imponibili accertati vengano inclusi nei modelli di comunicazione dati rilevanti per gli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), qualora restino entro il limite del 30% dei ricavi dichiarati.
A differenza della Camera, però, i senatori non hanno ritenuto opportuno sollecitare una riapertura del ravvedimento speciale.
Interventi tecnici e operativi
Il parere si chiude con alcune proposte di carattere tecnico-operativo, che potrebbero rendere lo strumento più versatile:
- Estendere la possibilità di adesione al CPB anche per imposte indirette diverse dall’IVA
- Prevedere, sia per le imposte dirette che per quelle indirette, la preclusione alla doppia procedura di accertamento con adesione anche nel caso dell’adesione attivata di comune accordo
- Portare da mensile a trimestrale il termine entro cui i soggetti forfettari possono procedere con il versamento dell’IVA relativa agli acquisti sottoposti al regime del reverse charge
Quest’ultima modifica, in particolare, mira ad allineare i termini riconosciuti ai piccoli operatori con quelli già previsti per i soggetti più strutturati, che applicano il regime della liquidazione IVA trimestrale.
Resta da vedere se e come queste osservazioni verranno recepite nella versione definitiva del decreto correttivo. Il margine di manovra c’è, ma il tempo stringe: il Governo dovrà valutare attentamente le diverse proposte per trovare un equilibrio tra le esigenze di gettito e l’effettiva attrattività dello strumento.