L’iter parlamentare della Legge di Bilancio per l’anno 2026 ha subito nelle ultime settimane una significativa inversione di rotta per quanto concerne la disciplina delle compensazioni tra crediti tributari e debiti previdenziali. L’emendamento governativo presentato il 12 dicembre 2025 elimina il divieto originariamente previsto dall’articolo 26 del disegno di legge, determinando rilevanti conseguenze sul piano operativo e sistematico.
La questione si inserisce nel più ampio contesto delle misure di contrasto alle indebite compensazioni di crediti inesistenti, fenomeno che negli ultimi anni ha determinato significative perdite di gettito erariale. Occorre analizzare l’evoluzione normativa e le implicazioni giuridiche della scelta legislativa, valutando altresì i profili di compatibilità con il quadro sistematico vigente.
Il quadro normativo ante riforma
La disciplina delle compensazioni orizzontali trova il proprio fondamento nell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, che consente ai contribuenti di effettuare il versamento di imposte, contributi previdenziali e premi assicurativi mediante compensazione con crediti relativi ad altre imposte e contributi. Tale istituto, introdotto nel sistema tributario italiano con finalità di semplificazione e razionalizzazione degli adempimenti, ha nel tempo assunto crescente rilevanza nella gestione della liquidità aziendale.
Secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 17 citato, i versamenti possono essere effettuati utilizzando in compensazione crediti relativi a imposte erariali, contributi previdenziali INPS (lettera e), premi assicurativi INAIL (lettera f) e contributi dovuti alle forme pensionistiche complementari (lettera g). Il meccanismo operativo si realizza attraverso il modello F24, che permette l’indicazione simultanea di debiti e crediti con conseguente versamento del solo saldo.
La prassi operativa consolidatasi negli anni ha fatto emergere alcune criticità. Da un lato, la compensazione rappresenta uno strumento di alleggerimento della pressione finanziaria sulle imprese, particolarmente rilevante in contesti di difficoltà economica o di significativi investimenti agevolati. Dall’altro, il sistema ha mostrato vulnerabilità rispetto a comportamenti elusivi o fraudolenti, con l’utilizzo di crediti inesistenti o non spettanti per compensare debiti effettivi.
L’intervento restrittivo originariamente previsto
La bozza iniziale della Legge di Bilancio 2026 conteneva, all’articolo 26, comma 1, lettera a), una modifica sostanziale all’articolo 4-bis del decreto legge 29 marzo 2024, n. 39, convertito con legge 23 maggio 2024, n. 67. La disposizione introduceva un divieto generalizzato di utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta diversi da quelli emergenti dalla liquidazione delle imposte per il pagamento di specifiche categorie di debiti.
Secondo il tenore letterale della norma proposta, “i crediti d’imposta diversi da quelli emergenti dalla liquidazione delle imposte non possono essere utilizzati in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ai fini del pagamento dei debiti di cui all’articolo 17, comma 2, lettere e), f) e g), del medesimo decreto”. Tale divieto si sarebbe applicato anche ai crediti d’imposta trasferiti a soggetti diversi dal titolare originario.
L’ambito oggettivo della restrizione risultava particolarmente ampio. Per “crediti d’imposta diversi da quelli emergenti dalla liquidazione delle imposte” si intendono tutti i crediti di natura agevolativa, tra cui:
- Crediti derivanti da incentivi agli investimenti (Industria 4.0, Transizione 5.0, ricerca e sviluppo)
- Crediti edilizi da superbonus e altri bonus edilizi
- Crediti ZES (Zone Economiche Speciali) e ZLS (Zone Logistiche Semplificate)
- Crediti per investimenti nel Mezzogiorno
- Crediti per attività di ricerca e innovazione
Restavano invece compensabili i crediti emergenti dalla liquidazione annuale delle imposte, quali il credito IRPEF, IRES o IVA risultante dalla dichiarazione dei redditi o dalla dichiarazione IVA. La ratio della distinzione risiedeva nella presunta maggiore affidabilità dei crediti dichiarativi rispetto a quelli agevolativi, questi ultimi ritenuti più esposti al rischio di indebito utilizzo.
La decorrenza temporale e l’ambito soggettivo
La disposizione era destinata a entrare in vigore dal 1° luglio 2026, con un periodo di transizione che avrebbe consentito ai contribuenti di riorganizzare la propria gestione finanziaria. L’applicazione della norma interessava l’intera platea dei soggetti passivi, senza distinzioni dimensionali o settoriali, estendendo quindi a tutti i contribuenti un divieto fino a quel momento circoscritto a specifiche categorie.
Ai sensi dell’articolo 4-bis del decreto legge 39 del 2024 nella formulazione vigente prima della riforma, analoga preclusione era già prevista per:
- Banche e intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’articolo 106 del Testo Unico Bancario
- Società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo di cui all’articolo 64 del Testo Unico Bancario
- Imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio dei rami vita
- Soggetti che hanno acquisito crediti derivanti da bonus edilizi
L’estensione del divieto a tutti i contribuenti rappresentava quindi un significativo inasprimento del regime, motivato dall’esigenza di arginare fenomeni di indebita compensazione che, secondo le stime della Relazione tecnica governativa, avevano determinato rilevanti perdite di gettito.
Le reazioni del mondo professionale e imprenditoriale
L’introduzione del divieto generalizzato ha suscitato immediate e diffuse reazioni critiche da parte delle rappresentanze professionali e imprenditoriali. L’Associazione Nazionale Commercialisti, attraverso il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, ha espresso “forte preoccupazione” per gli effetti della misura, evidenziando come essa avrebbe penalizzato imprese virtuose che hanno legittimamente maturato crediti fiscali attraverso investimenti incentivati dallo Stato.
Nella comunicazione del 6 novembre 2025, l’ANC sottolineava come “pur essendo comprensibile e condivisibile l’intento di contrastare i fenomeni di indebite compensazioni e migliorare la tracciabilità delle partite”, l’intervento normativo risultasse sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito. La critica principale verteva sulla mancata differenziazione tra crediti legittimamente maturati e crediti potenzialmente fraudolenti, con conseguente applicazione di una presunzione di inaffidabilità generalizzata.
Confindustria, nell’audizione presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato del 5 novembre 2025, ha definito la misura “penalizzante per le imprese” e ha evidenziato l’impatto particolarmente critico sul settore edilizio e su quello degli investimenti produttivi. L’impossibilità di compensare i contributi previdenziali e i premi assicurativi con crediti fiscali agevolativi avrebbe determinato tensioni di liquidità proprio nelle imprese più impegnate in piani di investimento e ammodernamento tecnologico.
Anche la Fondazione Inarcassa, rappresentativa degli ingegneri e architetti liberi professionisti, ha espresso “ferma contrarietà” alla norma, sottolineando come essa avrebbe paralizzato l’intera filiera dell’edilizia e della progettazione tecnica. Il presidente Andrea De Maio ha chiesto “controlli mirati e strumenti di verifica efficaci, non divieti generalizzati che colpiscono indiscriminatamente comportamenti virtuosi e fraudolenti”.
Particolare rilevanza ha assunto la posizione della Confederazione Italiana Agricoltori, che ha evidenziato l’impatto della misura sul settore primario, dove l’utilizzo di crediti fiscali per compensare i contributi previdenziali costituisce prassi consolidata e necessaria per la gestione della stagionalità dei flussi di cassa.
La modifica della soglia per il blocco delle compensazioni
Parallelamente al divieto di compensazione tra crediti agevolativi e debiti previdenziali, il comma 2 dell’articolo 26 del disegno di legge originario interveniva sulla soglia prevista per l’operatività del blocco compensativo in presenza di debiti iscritti a ruolo scaduti. L’articolo 37, comma 49-quinquies, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, prevede il divieto di compensazione per i contribuenti che presentano debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori di importo superiore a una determinata soglia, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e non siano in essere provvedimenti di sospensione.
La soglia, originariamente fissata a 1.500 euro e successivamente elevata a 100.000 euro, viene ora ridotta a 50.000 euro. Tale modifica, confermata anche nell’emendamento governativo che elimina il divieto di compensazione tra crediti agevolativi e debiti previdenziali, determina un ampliamento significativo della platea dei soggetti interessati dal blocco compensativo.
Occorre evidenziare che il computo dei 50.000 euro riguarda esclusivamente i debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, includendo:
- Ruoli ordinari per imposte sui redditi, IVA, imposte sostitutive
- Atti di accertamento esecutivi affidati agli agenti della riscossione
- Cartelle di pagamento per imposte erariali
- Sanzioni e interessi relativi alle imposte erariali
Non rileva, ai fini del computo, la circostanza che l’iscrizione a ruolo sia stata effettuata a titolo provvisorio o definitivo. Analogamente, non assume rilievo l’eventuale pendenza di contenzioso, salvo che sia stato concesso un provvedimento di sospensione da parte dell’organo giurisdizionale o dell’Agenzia delle Entrate in autotutela.
Restano esclusi dal computo i debiti relativi a contributi previdenziali INPS, premi assicurativi INAIL e tributi locali. Tale esclusione determina una significativa asimmetria nel trattamento delle diverse tipologie di debiti, con potenziali effetti distorsivi sulla gestione delle priorità di pagamento da parte delle imprese.
L’emendamento governativo del 12 dicembre 2025
Il mutamento di orientamento politico è maturato nel corso delle settimane successive alla presentazione del disegno di legge, a seguito delle pressioni delle rappresentanze di categoria e della presa d’atto delle implicazioni operative della norma. Con comunicato stampa del 12 dicembre 2025, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha reso noto “l’impegno del Governo a eliminare dalla Legge di Bilancio 2026 il divieto di compensazione tra i crediti fiscali maturati nel cassetto fiscale e il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.
L’emendamento governativo, presentato in Commissione Bilancio del Senato nella stessa data, elimina la modifica all’articolo 4-bis del decreto legge 39 del 2024, ripristinando di fatto la disciplina previgente. Tale scelta legislativa comporta il mantenimento della possibilità, per la generalità dei contribuenti, di utilizzare i crediti d’imposta agevolativi per compensare i debiti previdenziali e assicurativi secondo la disciplina ordinaria dell’articolo 17 del decreto legislativo 241 del 1997.
Restano ferme le limitazioni già previste per specifiche categorie di soggetti (banche, intermediari finanziari, imprese di assicurazione) e per i crediti derivanti da bonus edilizi, la cui disciplina era stata introdotta in precedenti interventi normativi con finalità di contrasto a fenomeni fraudolenti specificamente individuati in quei settori.
Profili di razionalità sistematica della scelta legislativa
L’eliminazione del divieto generalizzato appare coerente con una valutazione di proporzionalità tra obiettivi di contrasto all’evasione ed elusione fiscale e tutela delle legittime aspettative dei contribuenti. Il principio di proporzionalità, desumibile dall’articolo 3 della Costituzione nella sua declinazione di ragionevolezza, impone che le limitazioni ai diritti dei contribuenti siano strettamente correlate alle finalità perseguite e non eccedano quanto necessario per il loro conseguimento.
Nel caso specifico, la criticità della norma originaria risiedeva nella presunzione assoluta di inaffidabilità dei crediti agevolativi, senza possibilità di prova contraria. Tale impostazione confliggeva con la necessaria distinzione tra contribuenti virtuosi e soggetti che pongono in essere comportamenti fraudolenti, penalizzando indiscriminatamente entrambe le categorie.
La scelta di mantenere ferme le limitazioni già previste per settori specifici (crediti edilizi, intermediari finanziari) appare invece giustificata dall’evidenza empirica di fenomeni fraudolenti concentrati in quei comparti. L’approccio selettivo consente di calibrare l’intervento normativo sulle effettive aree di rischio, evitando un impatto generalizzato sul sistema economico.
Occorre inoltre considerare che la disciplina delle compensazioni si inserisce in un quadro più ampio di strumenti di controllo a disposizione dell’Amministrazione finanziaria. L’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, disciplina i controlli preventivi sui crediti utilizzati in compensazione, consentendo all’Agenzia delle Entrate di sospendere l’efficacia della compensazione in presenza di profili di rischio. Tale strumento, se efficacemente utilizzato, permette di intercettare le compensazioni indebite senza necessità di divieti generalizzati.



