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Cessione intracomunitaria e non imponibilità: vale qualsiasi mezzo di prova?

17 Novembre, 2025

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La Corte di giustizia, con la sentenza 13 novembre 2025 nella causa C-639/24, ha messo nero su bianco un concetto che in pratica molti professionisti intuivano già: per riconoscere la non imponibilità IVA di una cessione intracomunitaria non ci si può fermare ai soli requisiti formali dell’art. 45-bis del regolamento UE 282/2011. Anche quando il cedente non riesce a produrre tutti i documenti elencati in quella disposizione, le autorità fiscali devono valutare qualsiasi mezzo di prova idoneo a dimostrare che si è realizzata una reale cessione intracomunitaria di beni. La Corte torna così sul terreno del principio di neutralità fiscale e ricorda che la non imponibilità IVA prevista dall’art. 138 della direttiva 2006/112/CE non può essere negata se le condizioni sostanziali sono soddisfatte: il bene deve essere effettivamente spedito o trasportato dal primo Stato membro verso un altro Stato UE, in favore di un soggetto passivo identificato ai fini IVA in quello Stato. Il testo della direttiva, peraltro, non impone al cedente il possesso di specifici documenti probatori, né elenca in modo esaustivo gli elementi necessari per dimostrare il trasferimento. Il regolamento 282/2011, con l’art. 45-bis, costruisce solo un sistema di presunzioni relative: se il contribuente si colloca dentro quegli schemi documentali, beneficia di un percorso probatorio semplificato. Se non ci rientra, però, non è automaticamente fuori gioco. Ed è proprio qui che la sentenza C-639/24 diventa un riferimento operativo forte per chi gestisce la cessione intracomunitaria e punta alla non imponibilità.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • La non imponibilità IVA delle cessioni intracomunitarie discende dall’art. 138 della direttiva 2006/112/CE, che richiede trasferimento effettivo dei beni in altro Stato UE e controparte soggetto passivo.
  • L’art. 45-bis del regolamento UE 282/2011 prevede presunzioni relative basate su combinazioni di documenti (CMR, polizze, fatture di trasporto, assicurazioni, atti pubblici, ricevute di deposito).
  • La Corte di giustizia (sentenza 13 novembre 2025, causa C-639/24) ha chiarito che l’elenco dell’art. 45-bis non è esaustivo e non può trasformarsi in condizione rigida per la non imponibilità.
  • Anche in assenza di tutti i documenti “canonici”, il cedente può far valere altri mezzi di prova idonei a dimostrare il trasferimento intracomunitario effettivo dei beni.
  • Le amministrazioni fiscali devono valutare l’insieme delle prove disponibili, senza negare la non imponibilità solo per il mancato rispetto di requisiti formali.
  • Nella prassi italiana, la circolare AE n. 12/2020 riconosce la possibilità di adottare prassi probatorie nazionali più flessibili rispetto alla presunzione del regolamento.
  • Per gli operatori economici è essenziale strutturare un fascicolo documentale ordinario e una strategia di recupero ex post, per ridurre il rischio di contestazioni sulla cessione intracomunitaria non imponibile.

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Il quadro normativo: direttiva IVA, regolamento 282/2011 e art. 45-bis

La cessione intracomunitaria di beni non imponibile si regge su due pilastri:

  • l’art. 138 della direttiva 2006/112/CE, che disciplina la non imponibilità;

  • l’art. 45-bis del regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, che introduce presunzioni probatorie.

L’art. 138 richiede, in sintesi:

  • i) la presenza di due soggetti passivi IVA stabiliti in Stati membri diversi;
  • ii) il trasferimento fisico del bene dallo Stato del cedente allo Stato dell’acquirente.

Nulla, però, dice su “quali” prove documentali debbano essere prodotte. La parte più tecnica, come si sa, è contenuta nel regolamento di esecuzione: l’art. 45-bis individua una serie di documenti che, se presenti con determinate combinazioni, fanno scattare una presunzione di avvenuto trasporto intracomunitario.

Il punto chiave, che la Corte di giustizia mette in evidenza, è che queste presunzioni non chiudono il sistema, non esauriscono il campo probatorio. Vengono incontro all’operatore che si organizza ex ante, ma non trasformano l’elenco di documenti in un vincolo rigido e insuperabile, pena la perdita del regime di non imponibilità.

Per chi lavora in studio, questo significa una cosa molto concreta: la documentazione prevista dal 45-bis resta il primo binario da seguire, però occorre ragionare sempre anche sul “piano B” probatorio, nel caso in cui uno o più tasselli manchino.

Le presunzioni quando il trasporto è curato dal fornitore

Quando il trasporto o la spedizione dei beni è a carico del venditore, l’art. 45-bis costruisce la presunzione in modo abbastanza schematico. Il fornitore deve avere, oltre alla propria dichiarazione che attesta il trasferimento dei beni in altro Stato membro, una delle seguenti combinazioni:

  • opzione A: almeno due elementi di prova non contraddittori, rilasciati da due soggetti indipendenti e diversi dalle parti del contratto, tra:

    • CMR firmata;

    • polizza di carico;

    • fattura del trasporto aereo;

    • fattura emessa dallo spedizioniere;

  • opzione B: uno dei documenti di trasporto di cui sopra, più uno tra:

    • polizza assicurativa relativa al trasporto;

    • documentazione bancaria che prova il pagamento del trasporto o della spedizione;

    • documento ufficiale di un’autorità pubblica (es. notaio) che attesta l’arrivo dei beni nello Stato di destinazione;

    • ricevuta di un depositario nello Stato di arrivo che conferma il deposito dei beni.

Tutti questi documenti devono provenire da soggetti terzi e indipendenti rispetto a venditore e acquirente.

Per avere un colpo d’occhio operativo, si può schematizzare così:

Soggetto che cura il trasporto Documenti principali (almeno uno) Documenti aggiuntivi possibili Effetto
Fornitore (cedente) CMR firmata / polizza di carico / fattura aerea / fattura spedizioniere Polizza assicurativa, documenti bancari sul trasporto, atto pubblico, ricevuta depositario Presunzione relativa di avvenuta cessione intracomunitaria

Chi organizza il trasporto in prima persona dovrebbe, nella prassi, costruire fin da subito un fascicolo con questi documenti. Ma, come la sentenza ribadisce, se qualcosa manca non si deve dare per perso l’intero impianto della non imponibilità: occorre ragionare su altri elementi probatori, comunque coerenti con il percorso fisico della merce.

Le presunzioni quando il trasporto è organizzato dall’acquirente

Nel caso in cui la spedizione o il trasporto siano “in capo” all’acquirente, la combinazione documentale diventa un po’ più articolata. Oltre agli elementi di prova indicati per il trasporto a carico del cedente, il fornitore deve disporre di una dichiarazione scritta dell’acquirente che attesti:

  • che il trasporto è avvenuto a suo carico;

  • lo Stato membro di destinazione dei beni;

  • gli elementi identificativi dell’operazione (data, quantità, natura dei beni, ecc., in coerenza con la prassi amministrativa).

Il legislatore unionale, in sostanza, sposta parte dell’onere informativo sull’acquirente, ma mantiene fermo il ruolo attivo del cedente nella raccolta delle prove: il fornitore resta responsabile, verso il fisco, di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la cessione intracomunitaria non imponibile.

Anche qui si ragiona per presunzioni relative: le autorità fiscali possono sempre contestare la realtà del trasferimento se hanno elementi contrari. Il messaggio implicito della Corte è che il pacchetto documentale “tipo” facilita le verifiche, ma non sostituisce l’analisi concreta del caso.

Il caso concreto: tronchi di quercia dalla Croazia alla Slovenia

La causa C-639/24 parte da una vicenda molto concreta: una società stabilita in Croazia vende tronchi di quercia a un soggetto passivo sloveno. Il trattamento applicato è quello della cessione intracomunitaria non imponibile.

In sede di controllo, l’Amministrazione finanziaria nazionale contesta però il regime applicato, sostenendo che la documentazione prodotta dalla società croata non rispetta le combinazioni prescritte dall’art. 45-bis. In sostanza: mancano alcuni documenti “chiave”, oppure non sono ritenuti sufficientemente coerenti.

La società cedente replica che:

  • l’art. 45-bis ha la funzione di rendere più agevole la prova della cessione intracomunitaria;

  • tuttavia, chi non dispone di tutti i documenti elencati dovrebbe poter dimostrare in altro modo che i beni sono stati effettivamente spediti in un altro Stato membro a favore di un soggetto passivo IVA.

La Corte di giustizia accoglie questa impostazione: ricorda che l’art. 45-bis non fornisce un elenco esaustivo degli elementi probatori e che il mancato rispetto formale di quelle combinazioni non può, da solo, privare il contribuente della non imponibilità se, nella sostanza, la cessione intracomunitaria ha avuto luogo.

È qui che torna centrale il richiamo al principio di neutralità fiscale: non si può tassare un’operazione che, per natura e struttura, rientra nel campo delle cessioni intracomunitarie non imponibili, solo perché un documento manca o è redatto in modo non perfettamente allineato alle indicazioni regolamentari.

La cessione intracomunitaria oltre l’art. 45-bis: spazio per altri mezzi di prova

Il passaggio più interessante, per chi assiste imprese e professionisti, è proprio questo: la cessione intracomunitaria può essere dimostrata anche con mezzi di prova diversi da quelli indicati nel regolamento. La Corte sottolinea che, se non fosse così, gli operatori che non possono disporre dei documenti “tipici” si vedrebbero negare la non imponibilità anche quando il trasferimento di beni verso un altro Stato UE è effettivo e verificabile.

Quali potrebbero essere, allora, questi altri mezzi di prova? Il ragionamento non viene chiuso in modo rigido, e forse è meglio così. A titolo esemplificativo, si possono considerare:

  • tracciamenti logistici messi a disposizione da piattaforme di trasporto;

  • documenti di magazzino presso il cliente (ad esempio, schede di carico/scarico);

  • comunicazioni commerciali e operative che, nel loro insieme, ricostruiscono il viaggio del bene;

  • documentazione fotografica o digitale di consegna (oggi abbastanza frequente in alcuni settori);

  • riscontri incrociati con le dichiarazioni Intrastat e le registrazioni contabili estere.

La chiave è la coerenza complessiva: ogni elemento preso singolarmente può sembrare debole, ma l’insieme può risultare persuasivo, soprattutto se convergente e non contraddittorio.

Il ruolo della non imponibilità cessione intracomunitaria nella prassi italiana

La giurisprudenza europea si innesta su un quadro nazionale che, in parte, aveva già recepito un approccio flessibile. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 12/2020, ha riconosciuto che l’art. 45-bis non preclude agli Stati membri di adottare prassi più flessibili in materia di prova delle cessioni intracomunitarie, anche ampliando il ventaglio dei documenti ammessi.

La non imponibilità cessione intracomunitaria, nella prassi, viene gestita spesso con un set documentale “standard” (fattura, CMR, documenti di trasporto, eventuali polizze e pagamenti). La sentenza C-639/24, però, mette in luce un punto che rischia di essere sottovalutato: l’assenza di un documento non significa automaticamente che l’operazione sia imponibile.

Il rischio, per chi opera in modo troppo formalistico, è duplice:

  1. lato fisco, pretendere l’IVA in situazioni dove il presupposto della cessione intracomunitaria è pienamente realizzato, con possibili contenziosi che si potrebbero evitare;

  2. lato contribuente, rassegnarsi a pagare l’imposta o a rinunciare al regime di favore in caso di documentazione incompleta, senza esplorare percorsi probatori alternativi.

In studio, quindi, occorre forse rivedere i protocolli interni: non solo check-list dei documenti da acquisire, ma anche procedure per la gestione “ex post” di operazioni in cui il fascicolo standard non è perfetto.

Un esempio pratico: quando mancano i documenti “canonici”

Si immagini una società italiana che vende macchinari a un cliente francese, soggetto passivo IVA. Il trasporto è organizzato dal compratore.

Per varie ragioni, la CMR originale non rientra nei tempi, la dichiarazione scritta del cliente arriva tardi e non contiene tutti i dati suggeriti dalle linee guida, la polizza assicurativa è intestata a un broker internazionale che usa formati poco chiari.

In un approccio rigido, si potrebbe dire: non c’è la combinazione ordinata di documenti del 45-bis, quindi la non imponibilità è a rischio. La logica indicata dalla Corte porta invece a un’altra domanda: si riesce, in modo complessivo, a dimostrare che:

  • il bene è partito dall’Italia;

  • è stato consegnato in Francia;

  • il cliente francese lo ha ricevuto e contabilizzato come acquisto intracomunitario?

Se la risposta è sì – magari attraverso estratti delle piattaforme di tracking del vettore, fatture del trasporto, registrazioni contabili del cliente, scambi di email che confermano arrivo, collaudi, interventi di assistenza in loco – allora l’operazione può rientrare nella non imponibilità, anche se il fascicolo non coincide con il “modello ideale” del regolamento.

Come impostare una strategia probatoria robusta (e realistica)

Sul piano operativo, per il cedente diventa decisivo organizzare la documentazione su due livelli:

I. Livello ordinario (ex ante)

  • predisporre modelli standard di incarico al vettore e di dichiarazione del cliente;

  • chiedere sempre CMR, DDT, polizze, fatture di trasporto;

  • collegare documentazione logistica, contratti e fatture in modo sistematico.

II. Livello di recupero (ex post)

  • se qualche documento canonico manca, ricostruire l’operazione con:

    • dati di tracking;

    • riscontri contabili;

    • corrispondenza commerciale;

    • dichiarazioni integrative del cliente;

  • motivare, in un eventuale contraddittorio, come l’insieme degli elementi dimostri con ragionevole certezza il trasferimento dei beni.

Sotto traccia, la sentenza suggerisce anche di non subire passivamente l’impostazione dell’ufficio: se la contestazione si concentra solo sull’assenza formale di un documento, occorre riportare il confronto sul terreno sostanziale, così come delineato dall’art. 138 della direttiva e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

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