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Certificazione Tax Control Framework tra prima attestazione e aggiornamento

19 Novembre, 2025

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Il Tax Control Framework, nella disciplina dell’adempimento collaborativo, è il cuore del rapporto “a rischio condiviso” tra impresa e Amministrazione finanziaria. Senza un TCF adeguato e funzionante non c’è accesso al regime di cooperative compliance previsto dal D.Lgs. 128/2015, che richiede un sistema organizzato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali, validato da un certificatore esterno indipendente.  Negli ultimi interventi normativi e regolamentari il TCF non è più visto come un documento statico, ma come un dispositivo “vivo”, che deve dialogare con i cambiamenti del business, degli applicativi, della struttura di gruppo e, ovviamente, del contesto normativo e giurisprudenziale. Le imprese che chiedono di entrare o restare in cooperative compliance sono quindi chiamate a dimostrare non solo di aver costruito il sistema, ma di mantenerlo aggiornato nel tempo.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Il Tax Control Framework è il presupposto tecnico per accedere e restare nel regime di cooperative compliance.
  • La prima certificazione ha carattere “fondativo”: serve a dimostrare l’esistenza e l’adeguatezza del sistema di controllo del rischio fiscale.
  • L’aggiornamento ha cadenza almeno triennale, ma va anticipato se intervengono cambiamenti rilevanti in struttura, processi o business.
  • Nella prima certificazione i controlli sono tendenzialmente integrali, nell’aggiornamento si concentrano su evoluzioni, criticità e incidenti emersi nel triennio.
  • Il certificatore deve essere indipendente, iscritto negli appositi elenchi e in grado di dimostrare un monitoraggio effettivo, non solo formale, del TCF.

Prima certificazione TCF e certificazione Tax Control Framework

La prima certificazione del TCF ha una funzione selettiva: è il “biglietto d’ingresso” nel regime di adempimento collaborativo. Il professionista abilitato, iscritto negli elenchi tenuti da Consiglio nazionale forense e Consiglio nazionale dei commercialisti, deve attestare che il sistema di controllo del rischio fiscale dell’impresa rispetta i requisiti fissati dal decreto MEF Giustizia sui certificatori e dalle linee guida dell’Agenzia delle Entrate.

In questa fase l’analisi è, di regola, molto estesa. Si considerano la governance fiscale, la mappatura dei processi a rischio, le procedure di intercettazione delle operazioni sensibili, il ruolo delle funzioni di controllo, l’integrazione con i sistemi di contabilità e bilancio. In pratica il certificatore costruisce, insieme all’impresa, una fotografia completa del “perimetro fiscale”, evidenziando le aree di criticità e verificando che siano previste misure di prevenzione e rimedio.

Si immagini un gruppo multinazionale che adotta un nuovo ERP, internalizza la funzione fiscale e ridisegna i flussi di fatturazione internazionale. Nella prima certificazione il professionista deve verificare che tutto questo sia stato riflesso in procedure formalizzate, controlli documentati e flussi informativi tracciabili, non solo “prassi di fatto”.

Aggiornamento triennale del TCF, lettura dell’“almeno”

La legge parla di aggiornamento del TCF con cadenza “almeno triennale”. L’avverbio è tutt’altro che ornamentale. Non significa che si debba intervenire solo ogni tre anni, ma che il triennio è un limite massimo, oltre il quale il sistema non può rimanere senza una nuova attestazione, a meno di non mettere a rischio la permanenza nel regime.

Nella prassi, dottrina e documenti operativi sottolineano che ogni mutamento significativo nella struttura societaria, nell’organizzazione interna o nei modelli di business richiede un riesame anticipato del TCF. Una fusione, l’ingresso in un nuovo settore regolato, un massiccio ricorso all’intelligenza artificiale nei processi amministrativi sono esempi tipici di eventi che possono imporre un aggiornamento prima del triennio, proprio per non lasciare “scoperti” i nuovi rischi fiscali creati dal cambiamento.

L’aggiornamento triennale, quindi, dovrebbe essere l’occasione minima per un check completo, mentre nel frattempo il certificatore valuta se intervenire in modo mirato ogni volta che emergono fatti nuovi di rilievo.

Controlli del certificatore: cosa cambia tra prima attestazione e aggiornamento

Il contenuto dei controlli non è identico nelle due fasi, anche se il riferimento resta sempre al medesimo impianto normativo e regolamentare.

Ecco una schematizzazione utile:

Profilo Prima certificazione Aggiornamento triennale
Obiettivo principale Accertare l’esistenza e l’adeguatezza del TCF Verificare il mantenimento e l’evoluzione
Ampiezza delle verifiche Mappatura integrale dei processi a rischio Focus su cambiamenti, incidenti e criticità
Documentazione attesa Policy, procedure, organigrammi, flussi completi Aggiornamenti, report interni, test eseguiti
Esito pratico Accesso al regime di cooperative compliance Conferma della permanenza nel regime

Nel primo rilascio il certificatore ricostruisce da zero il sistema. Nel triennio, invece, valuta se l’impresa ha davvero usato il TCF nella gestione quotidiana del rischio fiscale oppure se lo ha relegato a documento da cassetto. Per esempio, se negli ultimi tre anni ci sono stati accertamenti, rilievi di revisori, incidenti di controllo, questi eventi diventano il banco di prova per capire se il modello ha funzionato o è rimasto solo sulla carta.

Il ruolo “continuo” del professionista tra cooperative compliance e rischio fiscale

Dottrina e prassi sottolineano che il certificatore non è un semplice “notaio” del sistema, ma un attore tecnico che deve mantenere un certo grado di indipendenza e, al tempo stesso, di prossimità al business. Le regole sugli albi e sull’indipendenza mirano a evitare conflitti di interesse, ma non impediscono un dialogo costante tra impresa e professionista, specie nei contesti più complessi.

Nella realtà operativa, se il rapporto si riduce al solo appuntamento triennale, il rischio è che la certificazione del Tax Control Framework diventi un adempimento formale. Al contrario, l’ottica della cooperative compliance spinge verso una manutenzione continua: rilevazione dei segnali deboli, analisi delle novità normative, revisione dei controlli su specifiche aree (transfer pricing, IVA, incentivi) man mano che il contesto evolve.

Un’impresa che, ad esempio, acquisisce una società estera a metà triennio e aspetta l’aggiornamento formale per adeguare il TCF sta di fatto esponendo sé stessa e il certificatore a un rischio di misallineamento tra modello e realtà.

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