La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16532 depositata il 5 maggio 2025, ha fornito importanti chiarimenti sui confini della responsabilità penale dei professionisti che certificano crediti fiscali per ricerca e sviluppo. La Suprema Corte ha stabilito che la mera attività certificatoria non è sufficiente per configurare il concorso nel reato di indebita compensazione, richiedendo invece la puntuale dimostrazione del contributo causale nella realizzazione dell’illecito. Tale pronuncia segna un passaggio cruciale nell’interpretazione dell’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000, con notevoli ricadute operative per commercialisti e consulenti fiscali.
Il caso concreto e l’annullamento della condanna
La vicenda riguarda una commercialista condannata in sede di merito a due anni di reclusione per concorso in indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti. La professionista aveva certificato crediti denominati “ricerca e sviluppo” utilizzati in compensazione da due società. Secondo l’accusa, la sua attività era stata essenziale nella procedura finalizzata all’ottenimento e all’utilizzo dei crediti fiscali, avendo supervisionato la predisposizione della documentazione contabile e certificatone la regolarità ai sensi della L. 190/2014.
I giudici di merito avevano ravvisato il contributo concorsuale proprio nell’attività certificatoria, qualificata come presupposto normativo necessario per l’utilizzo dei crediti in compensazione. La consapevolezza dell’irregolarità era stata desunta dal numero e dalla consistenza delle lacune documentali, nonché dagli errori presenti nelle attestazioni.
La Cassazione ha tuttavia annullato con rinvio la sentenza, applicando il principio di tipicità della legge penale e richiedendo un più rigoroso accertamento del contributo causale della professionista nella realizzazione dell’illecito tributario.
La configurazione dell’indebita compensazione nel sistema penaltributario
Nel solco del dispositivo della Suprema Corte, occorre ricordare che l’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000 prevede due distinte fattispecie di reato. Entrambe si caratterizzano per atti di compensazione di tipo commissivo, che si perfezionano quando viene presentato all’Amministrazione finanziaria il modello F24 contenente compensazioni indebite per importi superiori a cinquantamila euro per anno d’imposta.
La norma distingue tra utilizzo di crediti “non spettanti” (comma 1) e “inesistenti” (comma 2), ma in ogni caso ciò che rileva penalmente è il momento del mancato versamento causato dall’indebita compensazione. Tale momento va identificato nella presentazione del modello F24 e non nella successiva dichiarazione dei redditi. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. sentenza n. 4958/2019), la condotta decettiva si perfeziona proprio con l’utilizzo del modello di versamento.
Si consideri che l’art. 17 del D.Lgs. 241/1997 costituisce la normativa fiscale di riferimento per l’istituto della compensazione. La compilazione e il successivo invio del modello F24 rappresentano quindi gli elementi materiali della condotta penalmente rilevante.
Concorso dell’extraneus nel reato tributario: criteri e limiti
Il reato di indebita compensazione si configura come reato proprio, in cui l’agente viene identificato in colui che, nell’esercizio dei poteri di competenza, omette il versamento utilizzando in compensazione crediti inesistenti o non spettanti. Nella prassi applicativa, tale soggetto è generalmente individuato nell’amministratore della società o nel contribuente persona fisica.
Tuttavia, è pacificamente ammissibile il concorso dell’extraneus nel reato proprio. L’intermediario professionale può assumere un ruolo significativo nell’operazione, anche solo materiale, quando collabori alla compilazione o alla trasmissione del modello F24. In questi casi, il professionista può rispondere a titolo di concorso.
È opportuno sottolineare che il concorso di persone nel reato proprio non comporta, per effetto del principio di atipicità, alcuna restrizione dell’area dei contributi che possono essere prestati dai concorrenti privi della qualifica soggettiva. Il codice penale ha infatti adottato il criterio dell’efficienza causale della condotta di ciascun partecipe, includendo l’ipotesi in cui l’estraneo contribuisce con il suo comportamento alla lesione del bene giuridico protetto.
La necessaria prova del contributo causale del professionista
L’aspetto più innovativo della decisione in esame concerne il perimetro della responsabilità del professionista certificatore. La Cassazione, applicando con rigore il principio di tipicità che governa la materia penale, ha richiesto una più accurata verifica del contributo concorsuale.
Nella fattispecie esaminata, i modelli F24 risultavano trasmessi direttamente dalla società e non dall’intermediario professionale. In simili circostanze, non può darsi per scontato che la mera certificazione dei crediti integri automaticamente un concorso nel reato di indebita compensazione. È invece necessario dimostrare in modo puntuale quale sia stato l’effettivo apporto causale fornito dal professionista alla realizzazione dell’illecito tributario.
Tale impostazione introduce un importante elemento di garanzia per i professionisti. Non è sufficiente che il commercialista abbia certificato crediti poi rivelatisi inesistenti, ma occorre accertare se e in che misura la sua condotta abbia effettivamente contribuito all’utilizzo indebito in compensazione. Diventa quindi fondamentale valutare l’intero contesto operativo, verificando la consapevolezza del professionista e il nesso causale tra la sua attività e l’illecito fiscale.