Il governo ripensa la norma sui redditi da locazioni brevi. Nel testo definitivo della manovra finanziaria arriva un compromesso: chi gestisce direttamente l’immobile paga il 21%, mentre chi si avvale di agenzie o piattaforme online scatta al 26%. Una soluzione che mantiene l’agevolazione, ma solo a determinate condizioni.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- L’aliquota cedolare secca resta al 21% solo sulla prima unità immobiliare locata senza intermediari (no agenzie/portali tipo Airbnb).
- Anche un solo contratto tramite intermediario fa scattare l’aliquota al 26% sull’intero immobile per l’anno.
- Dalla seconda unità immobiliare, la cedolare secca è sempre al 26%, indipendentemente dal canale usato.
- La ritenuta sugli affitti brevi resta al 21% (acconto), non sale al 26%.
- Il nuovo regime si applica dai redditi 2026. Fino a tutto il 2025 restano valide le vecchie regole.
- Importante: ogni canale di locazione va documentato. Un errore comporta perdita dell’agevolazione.
La marcia indietro sulla cedolare
La situazione si era prospettata più severa nelle bozze circolate a inizio ottobre. Proprio allora era previsto un innalzamento generalizzato delle aliquote per tutte le locazioni brevi. La proposta iniziale era drastica: tutti pagavano il 26%, niente eccezioni. Cosa è accaduto? Si è aperto un dibattito animato tra le forze politiche. Forza Italia e la Lega hanno protestato con durezza. Le associazioni di categoria hanno parlato di vera e propria stangata.
Nel frattempo gli stessi politici che sottoscrivono il programma faticano a trovare spazi comuni. Il ministro Salvini a Rai Tre aveva dichiarato: la norma al 26% “non ci sarà”. Proprio questo attrito interno ha portato a una ricalibrazione del testo.
Cedolare secca affitti brevi: sì al 21%, ma non con intermediari
L’articolo 7 della manovra bollinata dalla Ragioneria mantiene la cedolare al 21% su una unità immobiliare scelta dal contribuente. Però introduce una precisa limitazione. L’aliquota ridotta è possibile “sempre che, durante il periodo d’imposta, non siano stati conclusi contratti aventi ad oggetto tale unità immobiliare tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare o tramite soggetti che gestiscono portali telematici”.
Tradotto in pratica: puoi beneficiare del 21% solo se affitta il tuo immobile completamente da solo, senza aiuto esterno. Niente agenzie. Niente Airbnb, Booking, Vrbo o simili. Il contratto deve nascere dalla trattativa diretta tra te e il turista. Dal momento in cui coinvolgi terzi per gestire la prenotazione o trovare il cliente, l’aliquota sale automaticamente al 26%.
Cosa succede se per una parte dell’anno lo gestisci direttamente e per il resto usi una piattaforma? La norma non ammette sfumature. Anche un solo contratto concluso tramite intermediario fa scattare l’aliquota piena al 26% sull’intero immobile per quell’anno.
Gli altri immobili restano al 26%
Questa norma riguarda esclusivamente la prima unità immobiliare. Se possiedi più abitazioni da affittare a breve termine, dalle due in poi, continui a pagare il 26% esattamente come accade dal 2024. La riduzione al 21% non è mai stata estesa a questa platea di proprietari, e la nuova manovra non cambia nulla sotto questo profilo.
Si ricordi che dal 2024 era già prevista una progressione: la prima unità poteva usufruire del 21%, dalla seconda alla quarta scattava il 26% (conseguenza della legge n. 213/2023), mentre oltre la quarta presumzione di imprenditorialità significa tassazione da attività d’impresa con IRPEF ordinaria.
La ritenuta non cambia: resta il 21%
Gli intermediari immobiliari e i gestori di piattaforme telematiche operano una ritenuta sui canoni che incassano o su cui intervengono nel pagamento. Nella bozza iniziale si ipotizzava di portarla al 26%. Nel testo definitivo, no. Resta al 21% e mantiene natura di ritenuta a titolo d’acconto, come specifica il decreto legge n. 50/2017.
Cosa significa? Il locatore riceve la somma netta (al netto della ritenuta del 21%), poi in sede di dichiarazione dei redditi deve inserire il versamento effettuato e utilizzarlo come credito d’imposta contro l’imposta dovuta, a prescindere dal regime prescelto (cedolare al 21%, cedolare al 26%, o IRPEF).
Una platea ristretta beneficia del 21%
Il testo governativo, stando alle stime tecniche, presuppone che il 90% dei locatori di brevi termini continuerà a servirsi di portali online. Il motivo è semplice: la comodità. Prenotazioni automatiche, gestione centralizzata, protezione in caso di contestazioni. In pochi decidono di cavarsela da soli, affrontando direttamente trattative, accertamenti affidabilità ospiti, incassi.
Di conseguenza, la cedolare al 21% diventa patrimonio di una minoranza. Chi sceglie di restare piccolo, gestire una casa vacanza senza intermediari, può conservare l’agevolazione fiscale. Tutti gli altri pagheranno il 26%.
La progressione normativa dalla presunzione d’imprenditorialità
Il sistema è frutto di una stratificazione normativa che affonda le radici nel 2021. Partì con la presunzione d’imprenditorialità oltre le quattro unità (legge n. 178/2020). Proseguì con il CIN obbligatorio e l’applicazione del 26% dalla seconda alla quarta unità (legge n. 213/2023 dal 2024). Ora si aggiunge questo discrimine basato sul canale di distribuzione.
Il risultato è una fiscalità a più livelli. Non basta contare quante abitazioni possiedi. Conta anche come le gestisci.
Tabella riepilogativa dei regimi
| Scenario | Aliquota cedolare | Condizioni |
|---|---|---|
| 1 immobile, senza intermediari | 21% | Contratti diretti, nessun portale |
| 1 immobile, con intermediari/portali | 26% | Anche solo un contratto tramite agenzia o Airbnb |
| Da 2 a 4 immobili | 26% | Indipendentemente dal canale |
| Oltre 4 immobili | IRPEF ordinaria | Presunzione d’imprenditorialità |
Le criticità di questa soluzione
Il compromesso risolve parte dei problemi, ma ne introduce altri. In primo luogo, dalla prospettiva dei proprietari sorge una domanda: chi accetta di rinunciare alle piattaforme per risparmiare il 5%? I dati di mercato mostrano che questo margine non compensa i vantaggi organizzativi.
In secondo luogo, dal punto di vista fiscale, la gestione si complica. Occorre documentare scrupolosamente il canale tramite il quale ogni contratto è stato concluso, perché basta una violazione per perdere l’intera agevolazione annuale. I commercialisti devono fare attenzione. Qualche omissione documentale può costare caro.
In terzo luogo, le associazioni di categoria continuano a sostenere che è comunque un inasprimento. Confedilizia ha ribadito: “Il testo, pur presentandosi come una correzione, mantiene l’aggravio per la maggioranza”.
Cosa significa per il fisco
Dal versante delle entrate, il ministero dell’Economia stima effetti finanziari positivi pari a 102,4 milioni di euro annui a regime. Questo dato si basa su una popolazione prevalentemente affezionata ai portali.
Tradotto: il governo ricava poco di meno rispetto a una tassazione al 26% universale, ma esce un compromesso di non fare saltare il tavolo con la maggioranza parlamentare. Non è stata cioè una scelta di principio fiscale, bensì di equilibrio politico.
Il CIN rimane obbligatorio
Non cambia nulla per il Codice Identificativo Nazionale. Rimane dovunque richiesto, sia che affitti tramite piattaforme sia che lo faccia da solo. È un obbligo parallelo di tracciabilità, introdotto dalla legge n. 213/2023.
Le scadenze
Il nuovo regime entra in vigore dal periodo d’imposta 2026. Significa che se affitti nel corso del 2026, dovrà applicare le nuove regole. Se nel 2025 continuare al regime precedente (cedolare al 21% sul primo immobile, senza discrimine sul canale).
Come verificare il rispetto della norma
L’Agenzia delle Entrate dovrà acquisire dati dalle piattaforme telematiche: quanti contratti per quale proprietario, in quale periodo. Questo permetterà incroci e verifiche ex post. Chi dichiara il 21% ma gli algoritmi mostrano attività tramite Airbnb, avrà problemi.
La documentazione del locatore diviene cruciale. Conserva copie di contratti, messaggi privati con i turisti, ricevute di pagamento diretto. Tutto serve a provare che non hai mai usato intermediari per quella specifica proprietà.
Il peso della scelta del canale distributivo
Emerge così un elemento di complessità inedito. Non è più soltanto il numero di immobili a determinare l’aliquota. È il modo in cui li gestisci. Permette ancora margini di pianificazione fiscale legittima, ma richiede consapevolezza e attenzione.
Chi possiede una casa vacanza e la gestisce personalmente, con WhatsApp e bonifico diretto, può ancora beneficiare del 21%. Chi decide di installare una cassaforte per la ricchezza passiva tramite Airbnb, accetta il 26%. È una scelta consapevole di modello di business.
I nodi critici rimasti irrisolti
Rimane tuttavia aperto il dibattito sulla proporzione. Le associazioni sottolineano che la quasi totalità dei servizi di breve affitto passa ormai attraverso piattaforme digitali. È come offrire uno sconto ai pochissimi che scelgono di non usufruire di servizi essenziali per operare in quel mercato.
Alcuni esperti suggeriscono che il vero freno all’offerta di immobili sia proprio questa complicazione normativa, non l’aliquota in sé. Tra gestire autonomamente decine di prenotazioni annuali e pagare il 26% tramite piattaforme, la scelta si rivela obbligata.



