La gestione degli impianti sportivi non può rappresentare l’attività principale per associazioni e società sportive dilettantistiche che vogliono mantenere l’iscrizione al RASD. Una distinzione che sta creando non poche difficoltà operative.
Gli enti dilettantistici devono concentrarsi sull’organizzazione e gestione di attività prettamente sportive, relegando tutto il resto – compresa la gestione delle strutture – in un ruolo di supporto. È questa la lettura che emerge dal decreto legislativo 36/2021, che ha ridisegnato i confini operativi di associazioni e società.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Per ASD e SSD la gestione degli impianti sportivi può essere solo attività secondaria e strumentale rispetto a quella sportiva dilettantistica principale.
- Lo statuto deve indicare chiaramente come attività primaria l’organizzazione e gestione di attività sportive (didattica, preparazione, formazione e assistenza).
- La gestione di impianti, riportata come attività principale nello statuto, comporta richieste di integrazione e rischio di cancellazione dal Registro.
- I proventi da gestione impianti (art. 9, c.1-bis, DLgs. 36/2021) sono irrilevanti per valutare la prevalenza delle attività secondarie.
- Le amministrazioni locali non devono richiedere la gestione impianti tra i requisiti “primari” dei bandi pubblici.
- La perdita della qualifica RASD esclude dagli incentivi fiscali e dalle agevolazioni previste per enti sportivi dilettantistici.
La normativa che definisce i confini dell’attività sportiva
Secondo l’articolo 7, primo comma, lettera b) del DLgs. 36/2021, le ASD e SSD devono prevedere nei propri statuti un oggetto sociale specifico. Deve essere chiaro il riferimento all’esercizio stabile e principale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche. La formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza rientrano tutte in questo perimetro.
Si consideri che l’articolo 9 dello stesso decreto ammette l’esercizio di attività diverse, ma solo se l’atto costitutivo lo prevede espressamente. E sempre che abbiano carattere secondario e strumentale rispetto a quelle principali. Come spesso accade nella prassi amministrativa, i dettagli operativi dovranno essere definiti da un decreto specifico.
Il mancato rispetto di questi presupposti per due esercizi consecutivi porta alla cancellazione d’ufficio dal Registro. Una sanzione che – nella casistica comune – comporta la perdita di tutte le agevolazioni fiscali.
Le richieste di integrazione che stanno coinvolgendo molti enti
Un numero considerevole di enti sportivi dilettantistici si è trovato a ricevere richieste di integrazione durante l’iscrizione al RASD. Il problema? I loro statuti includevano la gestione di impianti sportivi tra le attività primarie.
Gli uffici del Registro – istituito presso il Dipartimento per lo Sport e gestito tramite Sport e Salute Spa – hanno fornito indicazioni precise. Negli statuti devono essere indicate come attività primarie esclusivamente quelle di natura sportiva. L’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche, incluse formazione, didattica, preparazione e assistenza, rappresentano l’unico contenuto ammissibile.
Tutto il resto – gestione impianti sportivi, attività ludico-ricreative, dibattiti, workshop, spettacoli – deve essere specificato come attività secondaria e strumentale.
È importante e fondamentale comprendere che l’inclusione delle attività di gestione di impianti e strutture sportive non è ammissibile negli statuti, se non come attività di supporto. Devono essere svolte nel rispetto dell’art. 9 del DLgs. 36/2021 come “attività secondarie”.
La questione dei proventi: quando i numeri non contano
Nella pratica professionale si osserva spesso una preoccupazione legata ai ricavi. Cosa succede se i proventi derivanti dalla gestione degli impianti risultano prevalenti rispetto a quelli delle attività sportive primarie?
L’articolo 9, comma 1-bis del DLgs. 36/2021 ha chiarito questo aspetto. I proventi derivanti da rapporti di sponsorizzazione, promo pubblicitari, cessione di diritti e indennità legate alla formazione degli atleti sono irrilevanti. Lo stesso vale per i proventi dalla gestione di impianti e strutture sportive nel computo dei criteri e limiti per definire il carattere secondario.
Una disposizione che, nell’esperienza applicativa, facilita la gestione operativa ma non risolve il nodo statutario.
Le conseguenze per chi si occupa principalmente di gestione impianti
Per tutte quelle ASD/SSD la cui attività prevalente (o esclusiva) si sostanzia nella gestione di uno o più impianti sportivi, la situazione è critica. Gli enti privi di una propria attività sportiva dilettantistica vedranno preclusa l’iscrizione al RASD.
La conseguenza? La perdita delle agevolazioni e delle disposizioni di favore che l’ordinamento ricollega alla qualifica di ente sportivo dilettantistico. Si tratta di aspetti spesso trascurati in fase di costituzione, ma che possono compromettere l’intera struttura operativa.
Attenzione anche per amministrazioni e enti concedenti
La questione non riguarda solo le ASD/SSD. Anche le amministrazioni locali e gli enti che concedono impianti o contribuzioni devono prestare attenzione. È necessario che non prevedano tra i requisiti di accesso a bandi l’inclusione nell’oggetto sociale della “gestione di impianti sportivi” quale attività primaria.
Un errore che, nella prassi, può portare a contenziosi o all’esclusione di soggetti altrimenti idonei. Occorre quindi rivedere i criteri di selezione, allineandoli alle nuove disposizioni normative.
La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo restrittivo questi aspetti, richiedendo una corrispondenza precisa tra oggetto sociale statutario e attività effettivamente svolta.