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Accesso domiciliare non autorizzato: prove valide in sede penale ma non per il fisco

28 Aprile, 2025

La sentenza n. 9140 della Corte di Cassazione depositata il 5 marzo 2025 ha riaffermato un principio cardine del diritto tributario processuale. L’irregolarità nell’autorizzazione all’accesso domiciliare può invalidare l’accertamento fiscale. Tuttavia, tale vizio non impedisce l’utilizzabilità delle prove nel procedimento penale. La Suprema Corte ha chiarito la natura amministrativa dell’accesso effettuato dalla Guardia di Finanza in fase di verifica fiscale. Questo elemento differenzia sostanzialmente tale attività dalle operazioni di polizia giudiziaria, con rilevanti implicazioni per la difesa tecnica del contribuente sottoposto a verifica.

Fattispecie controversa e motivi di impugnazione

La fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine dall’impugnazione di una pronuncia della Corte d’Appello torinese. Il giudice di secondo grado aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Cuneo. Il ricorrente, socio detentore di quote maggioritarie in una società in nome collettivo, era stato ritenuto responsabile della violazione dell’art. 4 D.lgs. n. 74/2000. La condotta contestata consisteva nell’indicazione, nella dichiarazione Unico 2013 relativa al periodo d’imposta 2012, di un reddito imponibile notevolmente inferiore rispetto a quanto effettivamente percepito dalla partecipazione societaria.

Il ricorrente censurava la sentenza impugnata sotto il profilo dell’utilizzabilità del materiale probatorio. In particolare, eccepiva l’illegittimità dell’attività investigativa condotta dalle Fiamme Gialle. L’autorizzazione all’utilizzo dei dati acquisiti risultava circoscritta ad una persona fisica. Non si estendeva, pertanto, al compendio societario oggetto di verifica. Il motivo di doglianza investiva anche la carenza motivazionale della sentenza d’appello in ordine all’impiego dei dati fiscali acquisiti nel corso dell’attività ispettiva.

Autonomia dei procedimenti impositivo e penale

Il Supremo Collegio ha disatteso le censure del ricorrente. La pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale che sancisce la netta separazione tra ambito tributario e penale. La disciplina dell’acquisizione probatoria nel procedimento penale gode di autonomia rispetto alle norme che regolano l’attività accertativa fiscale. Tale distinzione non è meramente formale. Essa trova fondamento nella diversa natura ontologica e nella finalità dei due procedimenti. L’accertamento tributario si configura quale attività di natura amministrativa, finalizzata alla corretta determinazione della pretesa impositiva. Il procedimento penale, disciplinato dal codice di rito, persegue l’accertamento della responsabilità per fatti integranti fattispecie delittuose.

La Corte di legittimità ha precisato che l’accesso domiciliare eseguito nell’ambito di una verifica fiscale conserva la propria connotazione amministrativa. Non risulta pertanto soggetto alle norme procedurali penalistiche che disciplinano le attività di polizia giudiziaria. Questa demarcazione assume valenza determinante ai fini dell’utilizzabilità degli elementi probatori acquisiti. Il principio espresso incide significativamente sulla strategia difensiva nel contenzioso tributario e nel procedimento penale.

Quadro normativo in materia di accessi domiciliari tributari

La materia degli accessi domiciliari in ambito fiscale trova la propria disciplina nell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972. La disposizione delinea un articolato sistema di garanzie a tutela del contribuente. Il citato articolo prescrive che i funzionari dell’Amministrazione finanziaria possono accedere ai locali adibiti all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali. La norma subordina tuttavia tale facoltà alla presenza di “apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono”.

Il legislatore ha previsto presidi ancor più stringenti per gli accessi presso l’abitazione privata del contribuente. In tali ipotesi, la normativa impone la preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Il complesso di tali prescrizioni normative realizza un contemperamento tra le esigenze dell’accertamento fiscale e la tutela dell’inviolabilità del domicilio. Tale diritto fondamentale trova copertura costituzionale nell’art. 14 della Carta fondamentale. La giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito la necessità di bilanciare l’interesse fiscale con le garanzie personali del contribuente.

Regime giuridico dell’autorizzazione viziata o assente

La sentenza in commento affronta un profilo di notevole rilevanza applicativa: gli effetti dell’autorizzazione mancante o viziata si riverberano in modo asimmetrico nei due distinti ambiti procedimentali.

Nella sede tributaria, l’assenza o l’irregolarità formale del provvedimento autorizzativo può determinare l’invalidità derivata dell’atto impositivo. Occorre tuttavia rilevare, come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nella sentenza in esame (Cass. n. 7293/2020 e n. 3388/2010), che l’ordinamento tributario non contempla un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. La sanzione dell’invalidità non discende da un principio di carattere generale. Essa trova la propria fonte in specifiche disposizioni normative che la prevedono quale conseguenza di determinate violazioni procedimentali.

Nel contesto penalistico, la prospettiva muta radicalmente. La carenza o l’irregolarità dell’autorizzazione all’accesso domiciliare non comporta l’inutilizzabilità degli elementi probatori raccolti nell’ambito dell’accertamento del fatto-reato. Il materiale acquisito nel corso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali mantiene piena efficacia probatoria quale notitia criminis. Tali elementi possono pertanto costituire legittimo fondamento di una pronuncia di condanna in sede penale. Il principio espresso dalla Suprema Corte riveste carattere consolidato nella giurisprudenza di legittimità.

Evoluzione giurisprudenziale e principi consolidati

La decisione in commento si colloca in un solco ermeneutico già tracciato da precedenti arresti giurisprudenziali della Corte nomofilattica. Il Collegio richiama espressamente le pronunce n. 14278/2022, n. 6798/2015 e n. 12017/2007. Tali precedenti avevano cristallizzato il principio secondo cui gli elementi acquisiti durante le attività ispettive effettuate dalla Guardia di Finanza per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi conservano piena utilizzabilità in sede penale. Tale efficacia probatoria permane anche nelle ipotesi di invalidità dell’accesso ai fini tributari.

Il fondamento teorico di tale impostazione risiede nella peculiare natura delle funzioni esercitate dal Corpo della Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle, nell’esercizio delle proprie attribuzioni di polizia tributaria, operano con finalità di accertamento amministrativo-tributario. A tale attività non risultano applicabili le disposizioni processuali penalistiche. La netta demarcazione tra i due ambiti procedimentali garantisce l’autonomia del procedimento penale. Quest’ultimo può legittimamente fondare il proprio impianto probatorio su elementi acquisiti nell’ambito di verifiche fiscali, anche qualora queste risultino affette da vizi formali. Si tratta di un’applicazione del principio di autonomia tra procedimento tributario e penale, che trova fondamento nella diversità strutturale e funzionale dei due sistemi.

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