L’approvazione definitiva della legge di semplificazione del 26 novembre 2025 modifica in profondità il modo in cui si gestiscono le vendite di beni provenienti da donazione. La novità, inserita all’articolo 44 del provvedimento, stabilisce che l’acquirente non rischia più di vedersi sottrarre l’immobile a causa di un’azione dei legittimari del donante. È un passaggio che molti osservatori consideravano ormai inevitabile, perché da anni il sistema creava incertezza e quasi immobilizzava una parte del mercato. Però vale la pena chiedersi se questa scelta risolve tutto o se crea un equilibrio diverso, forse non ancora del tutto compreso.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Le vendite di immobili provenienti da donazione non rischiano più la restituzione.
- L’art. 44 della legge di semplificazione 2025 monetizza i diritti dei legittimari.
- L’acquirente non può più subire l’azione di riduzione sulla casa acquistata.
- Il legittimario ha solo un credito verso il donatario, non più il diritto di riavere il bene.
- Le banche potranno finanziare liberamente gli immobili donati.
- Resta da valutare l’impatto sui rapporti familiari e sui contenziosi futuri.
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Le criticità del vecchio sistema e la paralisi dei trasferimenti
Per molto tempo la disciplina successoria aveva un effetto inatteso. Ogni immobile ricevuto in donazione portava con sé una sorta di ombra, perché coniuge, figli o genitori del donante potevano sostenere che la liberalità avesse leso la loro quota riservata. E, ai sensi degli articoli 553 e seguenti del codice civile, l’azione di riduzione permetteva di chiedere la reintegrazione della legittima anche agendo verso chi aveva acquisito il bene dal donatario.
Nella prassi questo rischio diventava un problema enorme. Chi acquistava una casa proveniente da donazione si trovava davanti a tre possibilità: rinunciare, pretendere complicati atti di garanzia o sperare che gli eredi non contestassero nulla. Le banche, com’è noto, tendevano a chiudere la porta ai mutui su questi immobili. Senza finanziamento, molti atti non si perfezionavano neppure. La quota di vendite bloccate non era irrilevante e riguardava soprattutto abitazioni passate tra genitori e figli.
Il punto, spesso sottovalutato, era che un rischio giuridico così prolungato nel tempo rendeva la donazione un atto utile nell’immediato ma potenzialmente dannoso nel lungo periodo. Eppure la normativa rispecchiava una logica precisa: tutelare i legittimari anche contro scelte compiute molti anni prima. Una scelta forte, che però si scontrava ormai con la necessità di fluidità del mercato immobiliare.
Il nuovo meccanismo e la monetizzazione della quota dei legittimari
La riforma interviene su un nodo che gli operatori denunciavano da anni. L’idea del legislatore è chiara e relativamente semplice: garantire ai legittimari un diritto economico e non più reale sul bene donato. Significa che non possono più chiedere la restituzione dell’immobile ma solo un indennizzo. Un cambiamento che muta radicalmente la portata dell’azione di riduzione della donazione.
Secondo quanto previsto dall’articolo 44, il legittimario conserva il diritto a contestare la liberalità, però l’oggetto della sua pretesa diventa monetario. L’immobile resta nella sfera dell’acquirente e l’eventuale credito del legittimario grava sul donatario. È un passaggio che ribalta l’impostazione storica del codice civile e si allinea alla prassi già osservata in altri ordinamenti europei.
Questa impostazione risolve il problema dell’instabilità dei trasferimenti. Da un punto di vista tecnico, la norma consente al compratore di acquistare senza più l’assillo del rischio retroattivo. L’immobile donato può essere utilizzato come garanzia bancaria, perché non esiste più la possibilità che un’azione giudiziaria lo sottragga al nuovo proprietario.
A ben guardare però, qualcosa merita una riflessione più attenta. Se il legittimario riceve un credito, chi paga? Il donatario. Ma cosa accade se quest’ultimo non ha patrimoni liquidi? La legge crea una sicurezza per il mercato ma potrebbe produrre contenziosi sulla capacità patrimoniale del beneficiario della donazione. Un punto che sarebbe ingenuo ignorare.
La prospettiva dei notai e i dubbi che emergono tra i giuristi
Il Consiglio Nazionale del Notariato ha accolto con favore la novità, definendola una svolta capace di liberare finalmente la circolazione degli immobili. Nella loro analisi, la riforma elimina una rigidità che non aveva più ragione di esistere. Gli acquirenti, osservano, potranno muoversi con maggiore certezza e senza nell’angolo il timore di veder invalidata una vendita perfettamente legittima.
Non tutti però condividono questa visione così lineare. Alcuni studiosi del diritto successorio fanno notare che la monetizzazione non sempre garantisce una tutela piena dei legittimari. L’azione di riduzione nasceva come meccanismo di reintegrazione concreta, non come generatore di un mero credito. Trasformare il diritto reale in un diritto di credito può, secondo alcuni interpreti, ridurre la forza della garanzia sostanziale.
Altri avanzano una domanda più di fondo: se l’obiettivo è tutelare i legittimari, perché spostare l’onere interamente sul donatario? La riforma sembra favorire la stabilizzazione del mercato immobiliare più che la tutela della quota familiare. È una scelta legittima, ma va riconosciuto che sposta gli equilibri.
C’è poi un ulteriore aspetto. La donazione rappresenta da sempre un istituto delicato, legato ai rapporti affettivi e patrimoniali. Trasformarla in un meccanismo che produce un possibile debito futuro potrebbe generare situazioni critiche nelle famiglie, soprattutto dove le risorse economiche sono scarse. Alcune voci si chiedono se la legge avrebbe dovuto prevedere strumenti di regolazione alternativa, magari un’assicurazione obbligatoria o un fondo di garanzia.
Le vendite di beni da donazione nella prassi operativa dopo la riforma
Nella pratica quotidiana il cambiamento è notevole. Un immobile ricevuto in donazione potrà essere venduto senza tempi d’attesa. Non serve più attendere i dieci anni dalla morte del donante. Non serve ottenere complesse liberatorie. E non serve ricorrere a polizze costose, spesso richieste dalle banche come condizione per l’erogazione del mutuo.
Il mercato si aspetta un aumento della vendibilità di questi immobili, oggi spesso svalutati proprio per la loro origine. Alcuni operatori ritengono che l’effetto possa essere immediato. Altri preferiscono un approccio più prudente: una norma può modificare la disciplina, ma la fiducia degli investitori richiede tempo e casi pratici che confermino la stabilità del nuovo quadro giuridico.
È opportuno notare inoltre che la gestione del credito del legittimario potrebbe diventare un nuovo terreno di contenzioso. Non tanto sulla proporzione della quota, quanto sulla solvibilità del donatario. Si crea un nuovo ciclo di problemi potenziali che la legge non elimina ma sposta su un piano diverso. Il mercato immobiliare viene liberato, ma il contenzioso familiare potrebbe aumentare.
Nuovi scenari e punti ancora irrisolti
La riforma semplifica e modifica, però non cancella la necessità di valutare caso per caso. Una donazione recente, con un patrimonio familiare complesso, potrebbe generare conflitti difficili da assorbire. Al contrario, donazioni molto risalenti potrebbero risultare finalmente libere da un rischio che fino ad oggi pesava in modo irragionevole.
Esiste poi un altro interrogativo. Se lo scopo del sistema successorio è garantire la stabilità della quota riservata, la scelta di monetizzarla rappresenta davvero un vantaggio strutturale? O è una soluzione che sacrifica il principio sostanziale in favore dell’efficienza economica?
La questione non ha una risposta univoca, ma chi opera nel settore immobiliare osserva che la certezza dei trasferimenti produce effetti benefici concreti. Nella prassi i legittimari tutelavano raramente il proprio diritto sul bene e, quando lo facevano, creavano una paralisi. Ora la gestione diventa più lineare, ma occorre monitorare il comportamento dei tribunali nei prossimi anni.


