La recente ordinanza della Cassazione n. 11509 del 2 maggio 2025 ha stabilito che le spese di ristrutturazione sostenute da una società su un immobile detenuto in comodato devono essere contabilizzate tra le immobilizzazioni immateriali e non tra quelle materiali. Questo principio, benché già affermato dai principi contabili e da precedenti sentenze, merita particolare attenzione per le sue rilevanti conseguenze in materia di società di comodo. Gli interventi migliorativi su beni di terzi sono infatti soggetti al coefficiente del 15% ai fini del test di operatività, significativamente più alto rispetto al 3% previsto per gli immobili di proprietà.
La vicenda processuale e il percorso giurisprudenziale
Il caso esaminato riguarda una società in accomandita semplice che deteneva un immobile in forza di un contratto di comodato a tempo indeterminato, concesso da uno dei soci. La società aveva contabilizzato le spese di ristrutturazione sostenute tra le immobilizzazioni materiali nel conto immobili, ottenendo così la congruità rispetto allo studio di settore allora vigente e la conseguente esclusione dalla disciplina delle società di comodo prevista dall’art. 30 comma 2 n. 6-sexies della L. 724/94.
L’Agenzia delle Entrate aveva contestato tale modalità di contabilizzazione, innescando un contenzioso che aveva visto prevalere la società nei primi due gradi di giudizio. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva infatti ritenuto corretta la condotta della società, basandosi sulla natura sostanziale del bene (lavori che, se effettuati su un immobile di proprietà, sarebbero stati registrati ad incremento del costo dell’immobile) e sulla durata indeterminata del contratto di comodato, che lasciava presumere l’esistenza di un progetto imprenditoriale di lungo periodo.
La Suprema Corte ha però ribaltato l’esito dei precedenti giudizi, richiamando espressamente i principi contabili (OIC 24, appendici A.22 e A.23) e la precedente giurisprudenza in materia (sentenze nn. 15572/2016 e 20814/2017). Il principio affermato è chiaro: la contabilizzazione delle migliorie su beni di terzi deve seguire criteri precisi che non ammettono deroghe basate su valutazioni di carattere sostanziale.
Il principio contabile: come classificare le migliorie su beni di terzi
La Cassazione ha ribadito che le migliorie su beni di terzi devono essere contabilizzate secondo criteri rigorosi che dipendono dalla loro natura. Queste spese possono essere iscritte:
- Tra le immobilizzazioni materiali solo se risultano separabili dal bene cui afferiscono, conservando una propria autonoma funzionalità;
- Tra le immobilizzazioni immateriali quando non sono separabili dal bene, pur incrementandone il valore.
In nessun caso, però, è ammissibile la contabilizzazione autonoma nel conto dei beni immobili quando questi non sono di proprietà della società. La corretta applicazione dei principi contabili non lascia spazio a valutazioni alternative basate sulla natura o sulla destinazione delle spese sostenute.
Questa distinzione può sembrare una sottigliezza contabile, ma ha conseguenze pratiche di grande rilievo, soprattutto nell’applicazione della disciplina delle società non operative.
Implicazioni per le società di comodo: coefficienti e test di operatività
L’impatto della corretta classificazione contabile si riflette direttamente sul test di operatività previsto dall’art. 30 comma 1 della L. 724/94 per le società non operative, comunemente note come “società di comodo”.
Nel caso specifico, la contabilizzazione delle spese di ristrutturazione tra le immobilizzazioni immateriali comporta l’applicazione del coefficiente presuntivo dei ricavi del 15%, notevolmente più elevato rispetto a quello previsto per gli immobili, che l’art. 20 del DLgs. 192/2024 ha recentemente ridotto dal 6% al 3%.
Un semplice esempio può chiarire la portata della questione: Una società che ha sostenuto spese di ristrutturazione per 500.000 euro su un immobile in comodato dovrà dimostrare ricavi presunti pari a 75.000 euro (15% di 500.000) se le spese sono correttamente contabilizzate tra le immobilizzazioni immateriali. Se invece le stesse spese fossero erroneamente iscritte tra gli immobili, il ricavo presunto sarebbe di soli 15.000 euro (3% di 500.000). La differenza di 60.000 euro nei ricavi presunti può facilmente determinare il mancato superamento del test di operatività, con tutte le conseguenze negative previste dalla disciplina delle società di comodo.
L’effettiva operatività come argomento difensivo
Un aspetto interessante della vicenda, menzionato solo incidentalmente nell’ordinanza, riguarda la possibilità di dimostrare l’effettiva operatività della società a prescindere dall’esito del test numerico.
La società aveva infatti rivendicato, come argomento difensivo, l’esistenza di un concreto progetto imprenditoriale e la sua effettiva operatività, a prescindere dall’esito del test di cui all’art. 30 comma 1 della L. 724/94. Benché questo argomento non sia stato preso in considerazione nell’ordinanza n. 11509/2025 in quanto trattato solo incidentalmente nella sentenza di secondo grado, rappresenta nella pratica uno strumento difensivo efficace, come testimoniato da diverse sentenze della Cassazione, tra cui le nn. 9339/2023 e 4946/2021.
Le società che si trovano nella condizione di non superare il test di operatività possono quindi ancora dimostrare la loro effettiva operatività, evidenziando l’esistenza di oggettive situazioni che hanno impedito il conseguimento dei ricavi presunti, come previsto dal comma 4-bis dell’art. 30 della L. 724/94.
Immobili: rimanenze o immobilizzazioni?
Il tema affrontato dalla Cassazione richiama una questione affine che nella pratica risulta ancora più frequente: la corretta iscrizione in bilancio degli immobili tra le immobilizzazioni o tra le rimanenze.
La distinzione è cruciale ai fini della disciplina delle società di comodo, poiché gli immobili iscritti tra le immobilizzazioni sono soggetti ai coefficienti presuntivi del test di operatività, mentre quelli classificati come rimanenze nell’attivo circolante ne sono esclusi.
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 25/2007 (§ 3.2.2), ha chiarito che l’esclusione dei beni immobili dal test di operatività, in quanto iscritti tra le rimanenze, deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino l’effettiva destinazione dell’immobile alla vendita e non al mero godimento.
La Cassazione ha affrontato questo tema anche nella sentenza n. 2785/2021, confermando l’importanza della corretta applicazione dei principi contabili per determinare la classificazione degli immobili e, di conseguenza, l’applicabilità della disciplina delle società di comodo.