info@studiopizzano.it

Controlli enti del Terzo settore

Sospensione plusvalenze enti terzo settore: le novità della riforma 2026

24 Novembre, 2025

[print_posts pdf="yes" word="no" print="yes"]

Il passaggio dal regime fiscale tradizionale a quello del Codice del Terzo settore rischia di generare plusvalenze tassabili per molti enti. Una situazione paradossale che il Governo ha cercato di affrontare con l’introduzione del nuovo articolo 79-bis nel D.Lgs. 117/2017, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 novembre 2025. La misura consente agli enti del terzo settore di congelare temporaneamente le plusvalenze emerse quando un’attività viene riqualificata da commerciale a non commerciale, evitando un immediato impatto fiscale che potrebbe compromettere la continuità operativa di queste realtà.

1

Stanco di leggere? Ascolta l’articolo nell’innovativo formato podcast.

1

🕒 Cosa sapere in un minuto

Il nuovo articolo 79-bis

  • Dal 1° gennaio 2026 entrano in vigore i nuovi criteri del Codice del Terzo settore per qualificare le attività
  • Enti considerati commerciali con i vecchi criteri TUIR potrebbero diventare non commerciali con i nuovi parametri
  • Il passaggio può generare plusvalenze tassabili sui beni strumentali secondo l’art. 86 comma 1 lett. c) TUIR
  • L’art. 79-bis consente di sospendere la tassazione delle plusvalenze finché i beni restano destinati a finalità istituzionali

Condizioni per la sospensione

  • Opzione da esercitare in dichiarazione dei redditi
  • Beni devono essere utilizzati per attività statutaria con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
  • La sospensione decade se i beni vengono destinati a finalità diverse, ceduti a titolo oneroso, o persi/danneggiati con risarcimento
  • In caso di decadenza, la plusvalenza può essere tassata in un’unica soluzione o rateizzata fino a 4 anni (se i beni erano posseduti da almeno 3 anni)

Altre novità del decreto

  • Riduzione del limite per il regime forfetario ODV/APS da 130.000 a 85.000 euro
  • Conferma del limite di 400.000 euro per il regime forfetario sportivo (L. 398/1991)
  • Estensione del regime sportivo alle società sportive dilettantistiche anche in forma cooperativa
  • Separazione netta dal 2026: enti sportivi non iscritti RUNTS mantengono regime L. 398/1991, quelli iscritti applicano solo D.Lgs. 117/2017

Tempistiche

  • Decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 novembre 2025
  • Entrata in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
  • Applicazione delle nuove disposizioni fiscali dal 1° gennaio 2026

Il nuovo scenario dal primo gennaio 2026

Dal primo gennaio 2026 entrerà pienamente a regime il Titolo X del D.Lgs. 117/2017, che ridisegna completamente i criteri per individuare la natura delle attività svolte dagli enti iscritti nel RUNTS. Non si applicheranno più le vecchie regole del TUIR basate sul concetto di impresa commerciale secondo l’articolo 55, ma criteri completamente diversi previsti dall’articolo 79 del Codice. Un cambiamento che comporta conseguenze rilevanti per molte organizzazioni.

Succede che un ente potrebbe trovarsi nella seguente situazione: fino al 31 dicembre 2025 risulta commerciale secondo i parametri del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, mentre dal primo gennaio 2026 diventa non commerciale applicando i nuovi criteri del Codice. Non è solo una questione formale di etichette, perché questo passaggio può far emergere plusvalenze latenti sui beni strumentali che l’organizzazione possiede.

Il meccanismo che genera la tassazione si trova nell’articolo 86, comma 1, lettera c) del TUIR. Quando un bene passa dalla sfera imprenditoriale a quella istituzionale, si realizza tecnicamente una destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa. E questo trasferimento viene considerato fiscalmente rilevante, anche se materialmente non è cambiato nulla nella gestione quotidiana dell’ente.

L’articolo 79-bis e il meccanismo di sospensione

Il decreto legislativo approvato inserisce proprio per questo il nuovo articolo 79-bis all’interno del Codice del Terzo settore. La norma interviene specificatamente nei casi in cui il passaggio di beni dall’attività commerciale a quella non commerciale avviene per effetto del mutamento della qualificazione fiscale, non per una scelta gestionale dell’ente ma per l’applicazione delle nuove regole.

Gli enti possono optare in dichiarazione dei redditi per la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile della plusvalenza realizzata. Un’opzione che rappresenta più che un beneficio, una necessità operativa per molte organizzazioni che si troverebbero altrimenti a dover pagare imposte su plusvalenze meramente figurative.

La sospensione plusvalenze enti terzo settore funziona a una condizione precisa: i beni devono essere effettivamente utilizzati per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Non basta che restino formalmente nel patrimonio dell’ente, serve un utilizzo concreto coerente con gli scopi istituzionali.

Si pensi a un ente culturale che possiede un edificio dove svolge le proprie attività. Fino al 2025 l’attività è classificata come commerciale secondo i vecchi criteri, dal 2026 diventa non commerciale con i nuovi parametri dell’articolo 79. L’immobile ha un valore di mercato di 500.000 euro ma un valore contabile residuo di 300.000. Emergerebbe una plusvalenza di 200.000 euro potenzialmente tassabile, anche se l’ente continua a utilizzare lo stesso edificio per le medesime attività culturali. Con il nuovo articolo 79-bis questa plusvalenza può essere sospesa.

Quando decade il beneficio della sospensione

La sospensione non è però definitiva, ma condizionata al mantenimento della destinazione istituzionale dei beni. Viene meno in tre situazioni specifiche che la normativa individua con precisione.

Prima ipotesi: i beni vengono destinati dall’ente a finalità diverse da quelle civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Se l’organizzazione decide di utilizzare il bene per attività che non rientrano nelle sue finalità statutarie, la plusvalenza sospesa diventa immediatamente tassabile. La determinazione avviene considerando il valore normale del bene al momento della destinazione a finalità diverse.

Seconda ipotesi: i beni vengono ceduti a titolo oneroso. Una vendita comporta la tassazione della plusvalenza originariamente sospesa, calcolata sul corrispettivo effettivamente conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione.

Terza ipotesi: i beni vengono persi o danneggiati con conseguente risarcimento, anche in forma assicurativa. Anche in questo caso la plusvalenza concorre a formare il reddito, determinata sull’indennizzo ottenuto al netto degli oneri accessori.

Per la tassazione delle plusvalenze che emergono quando decade la sospensione, il legislatore ha previsto una certa flessibilità. L’ente può scegliere se far concorrere l’intero ammontare al reddito dell’esercizio in cui si verifica l’evento che fa venir meno la sospensione, oppure rateizzare l’imponibile in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.

La rateizzazione è però subordinata a un requisito temporale: i beni devono essere stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni. Una condizione che favorisce chi ha mantenuto a lungo la destinazione istituzionale dei beni prima di cederli o destinarli ad altri scopi. La scelta tra tassazione immediata e rateizzazione va espressa nella dichiarazione dei redditi del periodo in cui si realizza l’evento.

La riduzione delle soglie per il regime forfetario

Il decreto non si limita a introdurre l’articolo 79-bis, ma contiene altre modifiche significative per il mondo del terzo settore. Una riguarda direttamente le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale.

Il limite di ricavi per accedere al regime forfetario previsto dall’articolo 86 del D.Lgs. 117/2017 passa da 130.000 euro a 85.000 euro. Una riduzione che può sembrare penalizzante ma che risponde a esigenze di armonizzazione con le soglie europee e con altri regimi forfetari presenti nell’ordinamento italiano.

Il regime forfetario consente alle ODV e alle APS di semplificare notevolmente la gestione delle attività commerciali svolte, applicando un coefficiente di redditività ai ricavi conseguiti invece di determinare analiticamente il reddito d’impresa. Per organizzazioni di piccole dimensioni rappresenta un alleggerimento importante degli adempimenti contabili e fiscali.

La nuova soglia di 85.000 euro è stata confermata anche nella versione definitiva approvata dal Consiglio dei Ministri, dopo che lo schema preliminare di luglio aveva già anticipato questa modifica. Si tratta di una scelta che va nella direzione di riservare il regime forfetario a realtà effettivamente piccole, mentre organizzazioni con volumi commerciali più consistenti dovranno applicare le regole ordinarie di determinazione del reddito.

Gli interventi sullo sport dilettantistico

Il decreto legislativo introduce anche alcune modifiche di coordinamento relative agli enti sportivi dilettantistici, già presenti nella versione preliminare approvata a luglio. L’intervento riguarda l’articolo 1 della Legge 398/1991, che disciplina il regime agevolato per le associazioni sportive.

La norma viene modificata per recepire direttamente l’attuale limite di 400.000 euro per l’accesso e la permanenza nel regime forfetario sportivo. Viene inoltre esplicitata l’applicabilità del regime alle associazioni e alle società sportive dilettantistiche, anche in forma cooperativa, di cui all’articolo 6, comma 1, lettere a), b) e c) del D.Lgs. 36/2021.

Una precisazione che diventa necessaria in vista del 2026, quando si realizzerà una netta separazione tra due categorie di enti sportivi. Da un lato quelli che non si iscrivono nel RUNTS, che potranno continuare ad applicare il regime della Legge 398/1991 con i suoi criteri e i suoi limiti. Dall’altro quelli che assumono la doppia qualifica di ente sportivo ed ente del Terzo settore, per i quali non sarà ammesso il regime agevolato sportivo.

Per questi ultimi si applicheranno esclusivamente le disposizioni del D.Lgs. 117/2017 e quelle del TUIR, ove compatibili. Una biforcazione che comporta scelte strategiche importanti per le associazioni e le società sportive dilettantistiche, che dovranno valutare attentamente se iscriversi o meno nel Registro Unico del Terzo Settore considerando tutti gli effetti fiscali connessi.

Le prospettive operative per gli enti

L’introduzione dell’articolo 79-bis risponde a un’esigenza concreta emersa dal mondo del non profit. Durante la fase di consultazione dello schema di decreto, molte organizzazioni avevano segnalato il rischio di dover pagare imposte su plusvalenze meramente figurative, generate non da operazioni di realizzo ma dal semplice cambiamento dei criteri di qualificazione fiscale.

Secondo le stime contenute nella relazione illustrativa del decreto, un numero significativo di enti che oggi risultano commerciali applicando i vecchi criteri del TUIR potrebbero essere riqualificati come non commerciali con i nuovi parametri dell’articolo 79. Il fenomeno riguarderebbe particolarmente alcune categorie di attività di interesse generale.

Si pensi agli enti che svolgono formazione professionale o gestiscono servizi educativi. Molti di questi oggi sono considerati commerciali perché l’attività educativa a pagamento rientra tra quelle d’impresa secondo l’articolo 55 del TUIR. Con i nuovi criteri, se rispettano il parametro di marginalità del 6% tra ricavi e costi previsto dall’articolo 79, comma 2-bis, potrebbero essere riqualificati come non commerciali.

Lo stesso vale per gli enti che gestiscono strutture residenziali o semiresidenziali per anziani o persone con disabilità. Attività che il TUIR considera tipicamente commerciali, ma che potrebbero rientrare tra quelle non commerciali secondo i criteri del Codice se svolte con modalità che rispettano i parametri previsti.

La sospensione delle plusvalenze consente a questi enti di attraversare la transizione senza dover affrontare immediati esborsi fiscali. Restano però alcuni aspetti che necessiteranno di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, in particolare sulle modalità di annotazione contabile dei beni per i quali si opta per la sospensione e sui criteri per verificare il mantenimento della destinazione istituzionale.

Il decreto dovrebbe ora completare l’iter con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dopo di che entrerà in vigore il giorno successivo. Gli enti del terzo settore avranno quindi pochi mesi per prepararsi all’applicazione delle nuove regole dal primo gennaio 2026, valutando attentamente la propria posizione e le opzioni disponibili per gestire al meglio la transizione.

Articoli correlati per Categoria