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Rinuncia dividendi soci: nessuna sopravvenienza attiva ma ritenuta obbligatoria

17 Luglio, 2025

Le Entrate chiariscono definitivamente che quando i soci persone fisiche rinunciano ai dividendi deliberati, la società non deve contabilizzare sopravvenienze attive. Tuttavia – e qui sta il nodo della questione – la ritenuta del 26% rimane dovuta per effetto dell’incasso giuridico. Una pronuncia che conferma l’orientamento consolidato dell’amministrazione finanziaria su un tema spesso controverso nella pratica professionale.

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Rinuncia dividendi soci: quadro normativo di riferimento

La risposta ad interpello numero 182, pubblicata martedì 8 luglio dall’Agenzia delle Entrate, affronta una fattispecie ricorrente negli studi professionali: la rinuncia dividendi soci persone fisiche non esercenti attività d’impresa e le relative conseguenze fiscali. Il pronunciamento si inserisce nel solco interpretativo tracciato dall’articolo 88, comma 4-bis del TUIR, introdotto dal decreto legislativo 147 del 2015.

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La disposizione normativa – è opportuno ricordarlo – stabilisce che la rinuncia dei soci ai crediti costituisce sopravvenienza attiva esclusivamente per la parte eccedente il relativo valore fiscale. Una regola che, nella sua apparente semplicità, nasconde insidie applicative non trascurabili.

Il caso sottoposto all’amministrazione finanziaria

L’istanza origina dalla società ALFA, con compagine sociale composta da persone fisiche (Tizio e Caio), che aveva deliberato in assemblea la distribuzione di riserve di utili. Dopo un’erogazione parziale, i soci hanno formalizzato – tramite comunicazione PEC – la rinuncia al credito residuo derivante da utili deliberati ma non ancora materialmente percepiti.

Una situazione, questa, che nella prassi si verifica spesso quando le società preferiscono trattenere liquidità per esigenze operative piuttosto che procedere alla distribuzione integrale degli utili deliberati. La questione posta all’amministrazione finanziaria verteva sostanzialmente su due profili: l’eventuale configurazione di sopravvenienza attiva in capo alla società e l’obbligo di operare la ritenuta del 26% quale sostituto d’imposta.

L’interpretazione delle entrate: momento impositivo e incasso giuridico

L’Agenzia delle Entrate, richiamando il citato articolo 88, comma 4-bis del TUIR, chiarisce che nel caso di specie non si configura alcuna sopravvenienza attiva. La ratio della decisione si fonda su una distinzione fondamentale: i soci persone fisiche non esercenti attività d’impresa dispongono di un credito il cui valore fiscale corrisponde al rispettivo valore nominale, non essendo azzerato come avviene per altre categorie di soggetti.

Come spesso accade nella giurisprudenza tributaria, la questione non verte tanto sulla sussistenza di un eventuale “salto di imposta” – problematica cui hanno posto rimedio le disposizioni degli articoli 88, comma 4-bis, 94, comma 6 e 101, comma 7 del TUIR – quanto piuttosto sul momento in cui un componente reddituale diviene imponibile in capo al soggetto passivo.

Incasso giuridico: principio consolidato nella prassi amministrativa

Il principio dell’incasso giuridico, ormai consolidato nell’orientamento dell’amministrazione finanziaria, trova qui piena applicazione. Secondo quanto chiarito nella risoluzione numero 124/E del 13 ottobre 2017 e nella risposta ad interpello numero 59 del 2025, i dividendi deliberati dall’assemblea dei soci generano un diritto di credito che si considera fiscalmente rilevante indipendentemente dalla materiale percezione delle somme.

Questa impostazione – che talvolta genera perplessità negli operatori del settore – si giustifica con l’esigenza di evitare comportamenti elusivi che potrebbero derivare dalla mera rinuncia formale ai dividendi già deliberati. L’Agenzia delle Entrate ritiene pertanto che detti dividendi siano da considerare “giuridicamente incassati” e quindi da assoggettare a ritenuta a titolo d’imposta del 26% ai sensi dell’articolo 27 del DPR numero 600 del 1973.

Distinzione dal precedente giurisprudenziale

Particolare rilievo assume la distinzione operata dall’amministrazione finanziaria rispetto alla sentenza della Corte di Cassazione numero 16595 del 2023. In quel caso, il credito oggetto di rinuncia derivava da un contratto di finanziamento tra società, con successiva cessione del credito alla controllante che aveva poi rinunciato al medesimo.

La differenza sostanziale risiede nel fatto che, nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, la rinuncia avveniva successivamente all’acquisizione del credito da parte del soggetto rinunciante. Nel caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate, invece, si tratta di dividendi originariamente spettanti ai soci in virtù della delibera assembleare.

Aspetti operativi: obblighi del sostituto d’imposta

Sul piano operativo, la società ALFA dovrà procedere all’applicazione della ritenuta del 26% sull’importo dei dividendi oggetto di rinuncia, versando le relative somme secondo le ordinarie scadenze previste per i sostituti d’imposta. È necessario che la società provveda inoltre alla presentazione della certificazione unica (CU) e del modello 770, documentando l’avvenuta applicazione della ritenuta.

La questione assume particolare rilevanza anche sotto il profilo contabile: mentre la rinuncia non genera sopravvenienze attive in capo alla società, quest’ultima deve comunque adempiere agli obblighi fiscali derivanti dalla qualifica di sostituto d’imposta. Una circostanza che, nell’esperienza applicativa, spesso genera difficoltà interpretative negli operatori.

Criticità ricorrenti nella gestione pratica

Nella prassi professionale si osserva frequentemente una certa resistenza da parte delle società nell’applicare la ritenuta su dividendi formalmente rinunciati dai soci. Tale atteggiamento, comprensibile dal punto di vista logico-economico, si scontra tuttavia con l’orientamento consolidato dell’amministrazione finanziaria che privilegia la sostanza economica dell’operazione rispetto alla sua forma giuridica.

La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo diverso il principio dell’incasso giuridico, ma l’orientamento delle Entrate appare ormai stabilizzato nel senso di considerare fiscalmente rilevante la delibera assembleare piuttosto che l’effettiva percezione delle somme. Si tratta di un aspetto spesso trascurato nella consulenza aziendale, che merita invece particolare attenzione nella pianificazione fiscale.

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