L’evoluzione del commercio elettronico ha reso necessario un ripensamento dell’architettura fiscale europea, sopratuttto in materia a IVA e-commerce extra-UE. L’approvazione del pacchetto ViDA da parte del Consiglio Ecofin – raggiunta dopo un negoziato particolarmente articolato – introduce modifiche sostanziali nella gestione dell’imposta sul valore aggiunto per gli acquisti provenienti da paesi terzi. Il nuovo assetto normativo, che troverà applicazione a partire dal 1° luglio 2028, sposta l’onere dell’adempimento fiscale dai consumatori finali agli operatori di piattaforma.
IVA e-commerce extra-UE: Il modello del “deemed supplier”
La disciplina introdotta si basa sul concetto di “deemed supplier” o fornitore presunto. In sostanza – e questa è una semplificazione che nella prassi presenta numerose sfumature – le piattaforme digitali quali Temu, Shein e altri operatori analoghi assumono la responsabilità diretta per la riscossione dell’IVA.
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Il meccanismo funziona così: la piattaforma incassa l’imposta al momento della transazione e successivamente la versa all’amministrazione finanziaria del paese di destinazione. Si tratta di un cambio di paradigma notevole, se si considera che fino ad oggi molti venditori extra-UE semplicemente… be’, diciamolo francamente, ignoravano gli obblighi fiscali europei.
Nella prassi professionale si osserva come l’attuale sistema presenti falle evidenti. I consumatori spesso si trovano a dover gestire procedure doganali complesse, con ritardi nelle consegne e costi aggiuntivi non previsti al momento dell’acquisto.
Coordinamento con il regime IOSS: aspetti tecnici e criticità
Il sistema Import One Stop Shop rappresenta già oggi uno strumento consolidato (seppur non privo di criticità applicative) per i venditori extracomunitari. Secondo quanto previsto dal Regolamento (UE) n. 904/2010, come modificato dal pacchetto ViDA, il regime IOSS permette di centralizzare gli adempimenti IVA in un unico Stato membro.
La nuova disciplina rafforza questo meccanismo – ed è qui che emergono le prime complessità operative. Quando un fornitore non aderisce al sistema IOSS, la responsabilità si trasferisce automaticamente alla piattaforma che facilita la vendita. È un’architettura normativa che presenta indubbiamente vantaggi in termini di controllo fiscale, ma che comporta oneri organizzativi significativi per gli operatori digitali.
Occorre considerare che l’IVA viene assolta upstream (se mi si passa l’espressione tecnica) anziché alla frontiera. Questo dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – velocizzare le operazioni doganali e ridurre i margini di evasione.
Tempistiche di attuazione e discrezionalità degli Stati membri
L’implementazione della riforma segue un cronoprogramma graduale. Dal 1° luglio 2028 gli Stati membri potranno scegliere se applicare immediatamente il nuovo regime oppure attendere il 1° gennaio 2030, quando l’applicazione diventerà obbligatoria per tutti.
Questa flessibilità – che riflette le diverse sensibilità nazionali emerse durante il negoziato – consente agli Stati di modulare l’entrata in vigore in base alle proprie specificità amministrative. Inoltre, ai sensi dell’art. 9-bis della direttiva modificativa, resta la possibilità di esentare le piccole e medie imprese dalle nuove responsabilità.
Si tratta di una scelta pragmatica, considerando le difficoltà che realtà imprenditoriali più piccole potrebbero incontrare nel gestire adempimenti IVA transfrontalieri particolarmente complessi.
Estensione dello sportello unico: semplificazione o complicazione?
Il pacchetto ViDA amplia significativamente l’ambito applicativo del sistema One Stop Shop. Non si tratta più soltanto di operazioni transfrontaliere – come spesso accade, la realtà è più articolata di quanto possa apparire a prima vista.
Lo sportello unico si estende ora alle vendite business-to-consumer di prodotti specifici (energia elettrica, gas) effettuate all’interno di singoli Stati membri. Include anche i trasferimenti di scorte tra paesi diversi – situazione frequente per le aziende che movimentano merci per successive vendite dirette ai consumatori.
Nella teoria, questo dovrebbe semplificare la vita alle imprese. Nella pratica… vedremo. L’esperienza professionale insegna che spesso le semplificazioni normative portano con sé complessità applicative inattese.
La questione irrisolta della soglia dei 150 euro
Qui arriviamo a quello che forse è l’aspetto più controverso dell’intera riforma. La soglia di esenzione doganale di 150 euro per i piccoli pacchi extra-UE resta invariata. Francia e Italia avevano sostenuto con forza l’eliminazione di questa “mini-tassa” – ma il Consiglio ha preferito rinviare la questione.
La decisione è stata rinviata ai negoziati sulla riforma del codice doganale europeo. Un rinvio che, francamente, sa tanto di compromesso politico più che di scelta tecnica. Questa soglia rappresenta un vantaggio competitivo non indifferente per le piattaforme asiatiche, che possono offrire prodotti a basso costo senza l’aggravio di dazi doganali.
È una questione che divide gli Stati membri: da una parte chi teme l’impatto sui consumatori, dall’altra chi lamenta distorsioni della concorrenza.
Impatti sui modelli di business delle piattaforme
Per gli operatori di piattaforma, la riforma comporta necessariamente investimenti tecnologici considerevoli. I sistemi informatici dovranno essere adeguati per gestire calcolo, riscossione e versamento dell’IVA in tutti i paesi di destinazione – e non è un’operazione banale, considerando le diverse normative nazionali.
La complessità aumenta se si considera che ogni Stato membro mantiene specificità proprie nell’applicazione dell’IVA. Aliquote diverse, regimi particolari, modalità di versamento… insomma, un puzzle normativo che richiede competenze tecniche specialistiche.
Dal punto di vista dei consumatori, invece, il principale beneficio dovrebbe essere la trasparenza sui prezzi finali. Niente più sorprese all’arrivo dei pacchi, niente procedure doganali complesse. L’IVA sarà già inclusa nel prezzo mostrato al checkout.
Prospettive di gettito e contrasto all’evasione fiscale
Le stime della Commissione europea – che come sempre vanno prese con le dovute cautele – prevedono risparmi per 4,3 miliardi di euro grazie alle dichiarazioni IVA anticipate. Altri 1,9 miliardi dovrebbero arrivare dalla semplificazione nella gestione delle spedizioni postali.
Numeri che, se confermati, testimoniano l’inefficienza dell’attuale sistema. La centralizzazione della responsabilità IVA presso le piattaforme dovrebbe inoltre permettere controlli più efficaci delle transazioni.
È ragionevole aspettarsi una riduzione delle possibilità di evasione che caratterizzano gli attuali acquisti da venditori extra-UE non registrati. Ma – e c’è sempre un “ma” – l’esperienza insegna che spesso i fenomeni elusivi si spostano piuttosto che scomparire.