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Richieste documentali fisco: i vincoli normativi alle verifiche ripetute

21 Ottobre, 2025

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Terminata la sospensione estiva delle notifiche, dal 5 settembre scorso gli Uffici hanno ricominciato a inviare ai contribuenti comunicazioni di irregolarità e solleciti di chiarimento. La cosiddetta tregua fiscale – che aveva bloccato l’invio di atti dal primo agosto fino al 4 settembre – appartiene ormai al passato. E con la ripresa ordinaria si è registrato, come spesso accade, un incremento piuttosto marcato delle richieste di documentazione.

L’Agenzia delle Entrate, del resto, dispone oggi di strumenti di controllo automatizzato sempre più raffinati. Le dichiarazioni vengono vagliate attraverso procedure che incrociano dati provenienti da fonti diverse: modelli F24, fatture elettroniche, versamenti. Qualsiasi difformità – anche minima – può innescare una verifica. E qui nasce il problema, o meglio: la questione che molti professionisti del settore si pongono da tempo riguarda la legittimità di certe richieste. Perché se da un lato gli Uffici hanno ampliato enormemente la loro base informativa (grazie appunto alla fatturazione elettronica e alle interconnessioni tra banche dati pubbliche), dall’altro continuano a domandare ai contribuenti documenti che, in teoria, potrebbero già reperire autonomamente.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Dal 5 settembre riprendono le richieste di documentazione fiscale: l’Agenzia dispone di controlli automatizzati che incrociano dati telematici (F24, fatture, versamenti).
  • Le richieste sono legittime solo per atti non già in possesso delle PA: vietato domandare bilanci, dichiarazioni o atti già acquisibili da altre banche dati pubbliche.
  • Gli Uffici richiedono spesso formati specifici digitali (PDF/A, TIFF), dimensioni massime degli allegati (5 MB) e invio documenti “omogenei” per tipologia.
  • Nel primo invio tramite intermediario obbligatori delega firmata e documento d’identità; tutto passa dal Nuovo Sistema Documentale NSD e può essere integrato via CIVIS.
  • Il formato XML è fiscalmente rilevante solo per la fattura elettronica, ma i dati di dettaglio restano visibili solo per controlli specifici e con apposita autorizzazione.
  • Documenti strettamente a carico del contribuente: registri contabili non acquisiti telematicamente, libro giornale, inventari, registri IVA, libri sociali, ecc.
  • La duplicazione delle richieste viola lo Statuto del Contribuente; la Cassazione stabilisce che occorre evitare aggravi ingiustificati per i contribuenti.
  • Il principio di leale collaborazione impone correttezza reciproca e rispetto delle garanzie: intermediari fondamentali nel mediare tra esigenze degli Uffici e diritti dei cittadini.

La questione dei formati digitali richiesti

Quando l’Amministrazione finanziaria chiede documentazione, non si limita a indicare quali atti servono. Stabilisce anche in quale formato devono essere trasmessi. E qui le cose si complicano, specie per chi non ha dimestichezza con certi tecnicismi informatici.

Il PDF/A, tanto per fare un esempio pratico, è una versione “blindata” del PDF tradizionale. Non consente collegamenti ipertestuali né incorpora script, video o font esterni. L’obiettivo? Garantire che il file resti leggibile identico anche tra vent’anni, senza alterazioni. Il TIFF (o TIF, che è la stessa cosa), invece, funziona diversamente: si tratta di un formato immagine, quello che tecnicamente viene definito raster. I dati vengono conservati senza compressione con perdita, quindi restano intatti. La sigla più corta – TIF – deriva semplicemente da limiti di vecchi sistemi operativi come MS-DOS, che non accettavano estensioni a quattro lettere.

Ma non è tutto. L’Agenzia pone anche limiti di dimensione: ogni allegato non può superare i 5 megabyte. Questo perché i sistemi informatici devono protocollare, archiviare e processare migliaia di file ogni giorno. Inoltre viene richiesto che i documenti siano “omogenei” per tipologia: meglio un file unico per ciascuna categoria (detrazioni, ritenute, crediti d’imposta, spese sanitarie, eccetera) piuttosto che decine di allegati sparsi.

Delega e identità: cosa serve per il primo invio

Gli intermediari abilitati – commercialisti, consulenti del lavoro, CAF – che operano per conto dei clienti devono allegare due elementi imprescindibili al primo invio di documentazione tramite il portale dell’Agenzia. Primo: la delega sottoscritta dal contribuente, che formalizza il mandato. Secondo: la copia del documento d’identità del delegante, necessaria per attestare l’autenticità della firma.

Una volta completato l’invio (che sia effettuato dall’intermediario o direttamente dal contribuente), il sistema consente di integrare ulteriormente la documentazione oppure di consultare le ricevute. Tutto passa attraverso il Nuovo Sistema Documentale, la piattaforma informatica dell’Agenzia. Il meccanismo è abbastanza lineare: i file vengono acquisiti, protocollati automaticamente e assegnati al funzionario competente.

Grazie alla funzione “visualizza ricevute”, l’utente può verificare quali documenti sono stati accettati e quali invece sono stati scartati (magari perché in formato sbagliato, troppo pesanti o incompleti). In caso di scarto, occorre reinviare tramite CIVIS – il canale telematico di assistenza – usando la funzione di integrazione documentazione. In alternativa si può sempre presentare tutto di persona presso un ufficio territoriale, anche se questa modalità è ormai residuale.

Il funzionario dell’Agenzia, dal canto suo, accede al proprio profilo NSD, prende in carico i documenti e avvia la lavorazione. Le fasi successive – analisi, istruttoria, chiusura del procedimento – non vengono però tracciate all’interno di CIVIS. Seguono l’iter ordinario previsto dalla Direzione Centrale Accertamento.

Il divieto di duplicazione delle richieste documentali

Qui si tocca il cuore della questione. Lo Statuto dei diritti del contribuente stabilisce con chiarezza che gli Uffici finanziari non possono pretendere dal contribuente la produzione di documenti già detenuti dall’Amministrazione oppure da altre amministrazioni pubbliche indicate dallo stesso soggetto verificato. È un principio ribadito anche dalla Legge n. 241 del 1990, che pone a carico della Pubblica Amministrazione un preciso dovere di acquisizione d’ufficio della documentazione in possesso di altri enti pubblici.

Nella prassi quotidiana, tuttavia, non è raro che vengano richiesti – per dire – bilanci d’esercizio facilmente scaricabili dalla piattaforma Telemaco di Infocamere. Oppure dichiarazioni fiscali già trasmesse telematicamente. La giurisprudenza di legittimità ha affrontato più volte la questione, qualificando tali pretese come indebite (si veda, tra le altre, Cassazione ordinanza n. 15147/2019 e sentenza n. 16097/2000). La reiterazione di richieste relative ad atti già acquisibili aliunde costituisce, secondo i giudici, una violazione del principio di leale collaborazione. E comporta un aggravio ingiustificato per il contribuente e per gli intermediari delegati.

Il caso particolare della fattura elettronica

La fattura elettronica merita un discorso a parte. Il suo formato fiscalmente rilevante è l’XML (eXtensible Markup Language), un formato di testo strutturato che descrive i dati attraverso tag gerarchici (tipo <Importo> o <Partita IVA>). Però c’è un aspetto delicato: per effetto delle misure di minimizzazione richieste dal Garante della Privacy – e recepite dall’Agenzia – la fattura elettronica è resa disponibile ai verificatori solo limitatamente ai dati fiscalmente rilevanti. Le descrizioni di riga (natura, qualità e quantità dei beni o servizi) sono oscurate.

Tali informazioni possono essere consultate esclusivamente per finalità di analisi del rischio e controllo, da soggetti espressamente autorizzati, con tracciamento degli accessi. Nei casi in cui occorra verificare i requisiti di certezza, inerenza e competenza – cioè quando serve capire se una spesa è realmente inerente all’attività d’impresa oppure se è stata correttamente contabilizzata – l’Amministrazione può richiedere al contribuente la documentazione di dettaglio non presente nei propri archivi.

Se l’invio avviene tramite CIVIS, i documenti devono essere preventivamente convertiti nei formati ammessi (PDF/A o TIFF), altrimenti la procedura scarta tutto. Se invece la consegna avviene di persona, si possono presentare documenti cartacei oppure copie digitali su supporti come chiavette USB. Questo scambio documentale rientra in una logica di collaborazione tra amministrazione e contribuente, finalizzata a facilitare l’istruttoria e garantire la leggibilità dei dati.

Quali documenti restano a carico del contribuente

Non tutta la documentazione, però, è già nella disponibilità dell’Amministrazione. Rimangono a carico del contribuente – e devono essere esibiti su richiesta – i registri e le scritture contabili non acquisiti telematicamente. Si pensi al libro giornale, al libro inventari, ai libri sociali, alle situazioni contabili infrannuali. Oppure ai registri IVA, al registro dei beni ammortizzabili, al libro unico del lavoro, al prospetto delle variazioni fiscali.

Il rifiuto di esibizione – che include sia la dichiarazione di inesistenza sia la sottrazione intenzionale – determina l’inutilizzabilità del documento a favore del contribuente, sia in sede amministrativa che contenziosa. La ratio è chiara: mentre le dichiarazioni e i bilanci transitano per via telematica o per il Registro delle imprese, i registri e le scritture interne rimangono nella disponibilità esclusiva del soggetto. Solo attraverso la loro produzione l’Amministrazione può verificarne la corretta tenuta.

Un equilibrio tra certezza e collaborazione

Il sistema normativo costruisce, in sostanza, un equilibrio tra l’esigenza di certezza probatoria e l’onere collaborativo del contribuente. Secondo quanto previsto dall’art. 32 del D.P.R. 600/1973, i verificatori possono accedere ai locali, esaminare i documenti, richiedere chiarimenti. Ma questo potere incontra un limite preciso: non può tradursi in una duplicazione inutile di adempimenti quando la documentazione è già nella disponibilità della Pubblica Amministrazione.

La Cassazione ha ribadito più volte (si veda anche la sentenza n. 16097/2000) che il principio di buona fede e leale collaborazione impone all’Amministrazione di non aggravare la posizione del contribuente con richieste ridondanti. Nella pratica professionale si osserva, tuttavia, che talvolta gli Uffici continuano a chiedere documenti facilmente reperibili. Questo accade, probabilmente, per prassi consolidate o per difficoltà operative nell’accesso diretto a certe banche dati.

Formati, protocolli e garanzie procedurali

Il rispetto delle coordinate normative – formati digitali, limiti dimensionali, tempi di risposta – evita inutili duplicazioni. Garantisce la linearità dei controlli. Assicura la piena tutela delle parti in sede di accertamento e, se necessario, in contenzioso. La chiave di volta resta la leale collaborazione tra Amministrazione e contribuente, principio che permea l’intero sistema tributario (come emerge dall’art. 10 della Legge 212/2000, lo Statuto del contribuente).

Gli intermediari abilitati svolgono, in questo contesto, un ruolo cruciale. Fungono da tramite, traducono le richieste dell’Amministrazione in adempimenti concreti, curano la corretta formalizzazione dei documenti. E spesso devono anche mediare tra le pretese degli Uffici e i diritti dei contribuenti, segnalando eventuali richieste illegittime.

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