Il meccanismo dell’inversione contabile nel settore della logistica e del trasporto merci subisce modifiche sostanziali con l’intervento del decreto fiscale 2025. L’eliminazione del requisito della prevalente manodopera amplia significativamente l’ambito applicativo della misura antifrode, nella prospettiva di un’autorizzazione europea ancora in attesa.
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Il doppio binario introdotto dalla manovra 2025
La Legge di Bilancio 2025 aveva delineato un sistema articolato per contrastare le frodi IVA nel comparto logistico. Due le strade previste dal legislatore: da un lato l’introduzione del reverse charge vero e proprio attraverso la modifica dell’art. 17, comma 6-quinquies del DPR 633/72, dall’altro un regime transitorio opzionale che consente al committente di versare l’IVA per conto del prestatore.
Quest’ultimo meccanismo – che nella prassi operativa viene spesso confuso con il reverse charge tradizionale – mantiene ferma la responsabilità solidale del prestatore ma trasferisce l’onere del versamento sul committente. Una soluzione di compromesso, si potrebbe dire, in attesa dell’autorizzazione comunitaria necessaria per rendere efficace l’inversione contabile.
Le criticità della formulazione originaria
Nella versione iniziale della norma, l’applicazione del meccanismo era subordinata a condizioni piuttosto stringenti. Si richiedeva infatti che i contratti fossero caratterizzati “da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma“.
Questa formulazione creava non poche difficoltà interpretative. Come si valuta la “prevalenza” della manodopera? E quando i beni strumentali possono considerarsi “riconducibili” al committente? Quesiti che nell’esperienza applicativa si traducevano spesso in incertezze operative per gli operatori del settore.
L’intervento ampliativo del decreto fiscale
L’art. 9 del decreto fiscale interviene proprio su questi aspetti problematici. La nuova formulazione elimina ogni riferimento alla prevalenza della manodopera e all’utilizzo di beni strumentali del committente. Il reverse charge si applicherà ora a “tutte le prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alle precedenti lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati“.
L’unico requisito che rimane è che tali prestazioni siano rese nei confronti di imprese operanti nel trasporto, movimentazione merci e servizi di logistica. Come chiarisce la Relazione illustrativa al decreto, l’intento è quello di estendere il perimetro applicativo “anche agli appalti di trasporto merci“, eliminando vincoli che non si adattano alla generalità dei contratti di trasporto per conto terzi.
Le esclusioni dal nuovo regime
Anche nella versione ampliata, il meccanismo del reverse charge mantiene alcune esclusioni significative. Non si applica infatti alle prestazioni rese nei confronti:
- delle amministrazioni pubbliche e degli altri enti soggetti al regime dello split payment ex art. 17-ter del DPR 633/72;
- delle agenzie per il lavoro disciplinate dall’art. 4 del D.Lgs. 276/2003.
Esclusioni che si giustificano con la natura già particolare di questi soggetti nell’ambito del sistema IVA. Per le PA, in particolare, la presenza dello split payment rende superflua l’applicazione del reverse charge.
Il regime transitorio e le sue peculiaritÃ
Parallelamente al reverse charge “definitivo”, resta in piedi il regime transitorio introdotto dall’art. 1, commi 59 ss. della Legge 207/2024. Questo meccanismo – che richiede ancora l’emanazione di un provvedimento attuativo del direttore dell’Agenzia delle Entrate – presenta caratteristiche peculiari.
L’opzione per il versamento dell’IVA da parte del committente può essere esercitata separatamente da ciascun soggetto della catena dei subappalti. Non è necessario, come precisa la Relazione illustrativa, che tutti i livelli della catena abbiano esercitato la medesima opzione. Ogni rapporto di subappalto mantiene la propria autonomia decisionale.
I nodi ancora da sciogliere
Nonostante l’ampliamento dell’ambito applicativo, restano aperti alcuni interrogativi. L’autorizzazione europea ai sensi dell’art. 395 della direttiva 2006/112/CE rappresenta ancora un passaggio obbligato per l’efficacia definitiva della misura. I precedenti tentativi del legislatore italiano – si pensi al D.L. 124/2019 – non hanno avuto successo proprio per la mancanza di questo via libera comunitario.
La Commissione europea, nel parere COM(2020) 243 del 22 giugno 2020, aveva contestato l’eccessiva ampiezza della misura precedente e l’accumulo di deroghe richieste dall’Italia. La nuova formulazione, più circoscritta al settore della logistica e del trasporto, potrebbe avere maggiori chance di ottenere l’autorizzazione.